Retroattività delle norme tributarie nella giurisprudenza della Corte Costituzionale e della Corte di Cassazione
di Giuseppe Rebecca e Luca Comito
Il Fisco, N. 21/2007 - 28 maggio 2007
1. Introduzione
Le norme non dispongono che per il futuro, almeno generalmente. Ci sono, tuttavia, casi in cui alle norme è attribuito il carattere di retroattività, oppure occasioni in cui se ne chiarisce posteriormente la valenza interpretativa, a volte anche travalicando i limiti imposti dalla Costituzione. Ciò accade anche per le norme tributarie.
In questo articolo analizzeremo la giurisprudenza del Giudice delle leggi e del Giudice di legittimità riguardante la retroattività tributaria.
Le leggi tributarie retroattive possono essere leggi di interpretazione autentica, o leggi innovative con efficacia retroattiva in virtù di una specifica regolazione dello stesso legislatore.
Nel primo caso, la retroattività deriva dalla tipologia della norma stessa.
Nel secondo caso, al contrario, deve esserci la esplicita previsione del legislatore o, come vedremo, deve quantomeno risultare una inequivocabile volontà del legislatore in tal senso.
Nell’articolo esamineremo la differenza tra le due tipologie di disposizioni, e soprattutto i requisiti che le leggi di interpretazione autentica o innovative con efficacia retroattiva devono soddisfare per essere legittime.
Queste due specie di norme possono provocare diverse conseguenze in capo al contribuente. In via di prima approssimazione, si può affermare che le leggi di interpretazione autentica assecondano i principi costituzionali, e soprattutto riducono una incertezza che può minare la certezza del diritto. Con queste disposizioni si assegna una definita accezione ad una previsione normativa della quale si hanno più interpretazioni. La legge innovativa retroattiva, al contrario, ha usualmente il mero obiettivo di aumentare il prelievo fiscale.
L’obiettivo della prima tipologia è particolarmente importante nell’attuale sistema tributario.
Quest’ultimo è caratterizzato, come notato dal Prof. Franco Gallo,[1] da “un’estrema avarizia in materia di principi generali del diritto tributario”, con la conseguenza che si è venuto a formare in modo caotico e complesso. Lo stesso Tuir (approvato con D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917) è certamente un sistema “casistico”, nel senso che prevede quasi tutto come casi; l’unico esplicito riferimento ai principi lo si ha in materia di elusione, motivo anche questo di difficoltà interpretativa, risultando di norma difficile conciliare un principio con i casi. Proprio per questo le stesse interpretazioni portate dalla giurisprudenza, dal legislatore, dalla dottrina, dalla pratica, risultano spesso incomplete o comunque non del tutto appaganti.
Questa obiettiva situazione di incertezza è stata esplicitamente riconosciuta dallo stesso legislatore, che con l’art. 10, comma 3, della L. 27 luglio 2000, n. 212 (Statuto dei diritti del contribuente), ha previsto che “Le sanzioni non sono comunque irrogate quando la violazione dipende da obiettive condizioni di incertezza sulla portata e sull’ambito di applicazione della norma tributaria...”, volendo così tutelare il contribuente da errori interpretativi derivanti dalla lettera delle norme.
In questo articolo esamineremo la differenza, in termini di vincoli alla loro adozione, delle leggi di interpretazione autentica e delle leggi retroattive innovative, e concluderemo, infine, con un giudizio circa la reale tutela fornita al cittadino-contribuente in questo ambito.
2. Il comportamento del legislatore
Il legislatore, nell’adottare la tipologia di provvedimenti che qui trattiamo, cerca di contemperare diversi obiettivi: preservare e aumentare la certezza del diritto, e nel contempo anche soddisfare le esigenze di cassa.
Le ragioni di cassa hanno spesso il sopravvento, a scapito delle conseguenze negative in capo al cittadino, con evidenti conseguenze in termini di affievolimento della certezza del diritto.
Per questo, l’intervento del legislatore con forza retroattiva dovrebbe essere limitato ai soli casi di reale necessità. Ed è difficile ravvisare questa situazione nel caso di norme tributarie recanti nuove disposizioni con aggravi per il contribuente
Quanto all’abuso delle norme di interpretazione autentica, utilizzate per fini di cassa e non per quello che dovrebbe essere loro proprio, è stato osservato anche da rappresentanti imprenditoriali che questa pratica “non facilita l’instaurarsi di un rapporto di fiducia tra Amministrazione e contribuente, basato sul principio della collaborazione e della buona fede, come esplicitamente prevede lo Statuto del contribuente”. [2]
L’utilizzo “patologico” di questo strumento è stato recentemente denunciato anche dalla Corte di Cassazione, [3] che, nella fattispecie considerata, ha affermato come “l’Amministrazione finanziaria [si è] ‘vestita’ da legislatore” e “l’intervento interpretativo ... può apparire inutilmente e dichiaratamente di parte. Infatti il legislatore è intervenuto quando già le Sezioni Unite erano state investite del contrasto e, quindi, era imminente la rimozione del contrasto stesso da parte di un giudice terzo, nell’esercizio della specifica funzione istituzionale di garante dell’uniforme interpretazione della legge ... Si aggiunga, poi, che, come è accaduto nel caso di specie, in materia fiscale gli interventi interpretativi sono sempre pro Fisco, in quanto dettati da ragioni di cassa (nell’intento di realizzare maggiori entrate). Non sono ispirati, quindi, alla esigenza di realizzare la certezza del diritto, ma soltanto a garantire gli interessi di una delle parti in causa”.
Al contrario di quanto ci si potrebbe aspettare, la giurisprudenza della Consulta appare “conformarsi” al legislatore, ammettendo pacificamente norme di interpretazione autentica che recepiscono interpretazioni anche in aperto contrasto con indirizzi omogenei del giudice dì legittimità.
Nei paragrafi seguenti saranno esposte le garanzie costituzionali, e le altre tutele fornite dal sistema giuridico nei confronti di simili comportamenti.
3. Tutela fornita dalle norme costituzionali
3.1. L’inesistenza di un divieto espresso di norme tributarie retroattive
La problematica costituita dalle norme tributarie retroattive deriva dalla mancanza, nella Costituzione, di una disposizione che vieti espressamente questo tipo di norme. L’unico divieto di retroattività riguarda le norme penali: l’art. 25 della Carta fondamentale si limita a questa tipologia; di conseguenza non è di per sé illecito l’utilizzo di norme retroattive in altri ambiti.
Al riguardo, la Corte Costituzionale è molto esplicita: “questa Corte ha infatti ripetutamente precisato che il divieto di retroattività della legge
- pur costituendo fondamentale valore di civiltà giuridica e principio generale dell’ordinamento, cui il legislatore deve in linea di principio attenersi
- non è stato tuttavia elevato a dignità costituzionale, se si eccettua la previsione dell’art. 25 della Costituzione, limitatamente alla legge penale ... Il legislatore ordinario, pertanto, nel rispetto del suddetto limite, può emanare norme con efficacia retroattiva, interpretative o innovative che esse siano, a condizione però che la retroattività trovi adeguata giustificazione sul piano della ragionevolezza e non si ponga in contrasto con altri valori ed interessi costituzionalmente protetti”.[4]
Dunque, ogniqualvolta il legislatore emana disposizioni retroattive, è necessaria, per valutare la loro legittimità costituzionale, una analisi del rispettò dei precetti costituzionali che saranno analizzati nel prossimo punto. Fin da ora, sappiamo comunque che tra questi ci deve essere una ragionevole giustificazione.
Non potendoci affidare a criteri precisamente definiti, sarà necessario procedere sempre alla ponderazione dei diversi valori costituzionali coinvolti.
3.2. I vincoli all’azione del legislatore
Escluso un divieto assoluto riguardante norme tributarie che vadano a regolare periodi temporali passati, vedremo a quali vincoli è sottoposto il legislatore.
Come affermato dalla Corte Costituzionale, Tir-retroattività ha “valore di principio generale ... cui il legislatore deve in via preferenziale attenersi: ma la possibilità di adottare norme dotate di efficacia retroattiva non può essere esclusa, ove esse vengano a trovare un’adeguata giustificazione sul piano della ragionevolezza e non si pongano in contrasto con altri principi o valori costituzionalmente protetti”. [5]
Emerge come la retroattività abbia carattere di eccezionalità. Questo dovrebbe comportare, per l’interprete di una norma, la preferenziale qualificazione della stessa come non retroattiva, conformemente alla previsione contenuta nell’art. 11, comma 1, delle preleggi (“La legge non dispone che per l’avvenire: essa non ha effetto retroattivo”).
Di conseguenza, in virtù dell’autonomo valore attribuito alla irretroattività, appare corretto affermare che la retroattività, non escludibile a priori, deve tuttavia trovare una corretta giustificazione nel perseguimento di altri valori del pari rilevanti. Infatti, devono sussistere motivazioni adeguate, dato il possibile, e spesso probabile, tradimento dell’affidamento del contribuente che può verificarsi a seguito di un cambiamento della disciplina fiscale relativamente ad alcuni atti avvenuto dopo il loro compimento, e il conseguente venir meno della certezza del diritto.
Per questi motivi, ci si potrebbe aspettare un vaglio rigoroso da parte della Corte Costituzionale. Tuttavia, essa non appare caratterizzata, in questo caso, da una forte coerenza logica, posto che tendenzialmente accetta interventi del legislatore con valenza retroattiva anche in casi di assenza dei requisiti indicati dalla stessa Corte.
Alcuni criteri sono maggiormente rilevanti per l’analisi di legittimità; essi sono stati indicati in alcune occasioni, e, come detto, devono essere ponderati. Il primo è costituito dalla capacità contributiva ex art. 53 della Costituzione; altri sono il rispetto dei “principi generali di ragionevolezza e uguaglianza; la tutela dell’affidamento legittimamente posto sulla certezza dell’ordinamento giuridico; il rispetto delle funzioni costituzionalmente riservate al potere giudiziario”.[6]
Per quanto riguarda quest’ultimo aspetto, la Corte Costituzionale ha sempre respinto qualsiasi ricorso che lamentasse la lesione del principio di separazione dei poteri; secondo alcuni Autori, “anche allorquando l’intento del legislatore di interferire nei giudizi in corso appariva palese”. [7]
Il menzionato principio di capacità contributiva ex art. 53 della Costituzione costituisce un vincolo stringente. La lettera dell’articolo (art. 53, comma 1, della Costituzione: “Tutti sono tenuti a concorrere alle spese pubbliche in ragione della loro capacità contributiva”) presenta, per unanime consenso, diversi precetti: la capacità contributiva è allo stesso tempo un parametro per l’imposizione ed una soglia massima per la stessa. Questo limite assoluto alla libertà del legislatore è generale, e vale ovviamente anche nel caso eccezionale di valenza retroattiva di una disposizione. La capacità contributiva deve sussistere o, in altri termini, essere attuale.
La giurisprudenza costituzionale non ha indicato criteri netti per individuarne l’attualità; tuttavia, un reddito conseguito tre anni prima dell’emanazione della norma è stato giudicato come possibile oggetto di imposizione[8] (nel caso specifico, prima dell’emanazione della disposizione era acceso il dibattito circa l’imponibilità della fattispecie poi oggetto dell’intervento; questo, secondo la Corte, ha determinato la prevedibilità dell’intervento normativo).
La fattispecie riguardava la L. 30 dicembre 1991, n. 413, che estendeva al triennio precedente un regime di tassazione riguardante l’espropriazione e la cessione volontaria di aree nel corso di provvedimenti ablatori. In questo caso era stata denunciata una violazione dei principi di capacità contributiva e di ragionevolezza, ai quali è stata opposta dalla Corte Costituzionale un’argomentazione basata sulla presumibile sussistenza attuale dei proventi realizzati, sul carattere oggettivo della fattispecie esaminabile dalla Corte stessa, su una qualche misura di “prevedibilità” derivante da un orientamento “emerso talora nei dibattiti in mate-ria”(!).[9]
Al contrario, una retroattività di dieci anni è stata giudicata incostituzionale.[10] In questo caso non è stata giudicata sussistente la necessaria presenza della capacità contributiva. Il caso vagliato dalla Consulta concerne la L. 5 marzo 1,963, n. 246, che prevedeva la possibilità, per i comuni, di stabilire un termine, fino a 10 anni precedente l’emanazione della disposizione, a partire dal quale gli incrementi di valore delle aree fabbricabili potevano essere oggetto di imposizione. In questa fattispecie risultava spezzato il legame tra l’imposizione e la capacità contributiva, e si determinava quindi l’illegittimità della norma.
È comunque necessario considerare la garanzia offerta dall’art. 53 della Costituzione congiuntamente ai principi di solidarietà (art. 2 della Costituzione) e di libertà di iniziativa economica (art. 41 della Costituzione), e ai vincoli all’espropriazione (art. 42 della Costituzione). [11]
Ovviamente, è necessario considerare anche gli altri vincoli all’azione legislativa. Come abbiamo visto, tra questi c’è la tutela dell’affidamento. Il valore attribuito all’affidamento del contribuente, derivante, come detto, da quello della certezza del diritto, deve essere annoverato tra i principi regolanti il rapporto tra l’Amministrazione finanziaria e il cittadino.[12]
Il necessario rispetto di questo principio da parte del legislatore non può venir meno. Per utilizzare le parole della Corte Costituzionale, esso “non può essere leso da norme con effetti retroattivi che incidano irragionevolmente su situazioni regolate da leggi precedenti” e si traduce, in materia processuale, “nell’esigenza che le parti conoscano il momento in cui sorgono oneri con effetti per loro pregiudizievoli, nonché nel legittimo affidamento delle parti stesse nello svolgimento del giudizio secondo le regole vigenti all’epoca del compimento degli atti processuali”. [13]
Un esempio di violazione del legittimo affidamento del cittadino è indicato nella sentenza n. 416 del 27 ottobre 1999. In questo caso la Corte Costituzionale ha ravvisato l’illegittimità di una norma che escludeva, in modo retroattivo, la possibilità di cumulo tra ratei di pensione di anzianità e redditi di lavoro autonomo. La retroattività è stata giudicata irrazionale, in quanto i soggetti interessati che avevano intrapreso attività libero professionale o autonoma (dopo la decadenza di un decreto-legge non convcrtito prevedente anch’esso il divieto di cumulo) potevano legittimamente confidare nella regolamentazione vigente, senza il timore di mutamenti normativi retroattivi.
Il principio di tutela del legittimo affidamento è valorizzato anche dalla giurisprudenza della Corte di Cassazione. Nella sentenza n. 21513 del 6 ottobre 2006 (in “il fisco” n. 40/2006, fascicolo n. 1, pag. 6281) il giudice di legittimità ha precisato che esso trae origine dagli artt. 3, 23, 53 e 97 della Costituzione, è immanente nell’ordinamento tributario, e limita l’attività legislativa e amministrativa.
4. La valenza delle principali garanzie dello Statuto dei diritti del contribuente e dell’art. 11 delle preleggi
Il contribuente dispone di altre fonti di tutela, aggiuntive a quelle di rango costituzionale.
In questo ambito, si indica spesso lo Statuto dei diritti del contribuente (L. 27 luglio 2000, n. 212). Questo prevede diversi istituti e diverse innovazioni, quali una (limitata) tutela dell’affidamento, i principi di semplificazione amministrativa e di effettiva conoscenza degli atti, l’interpello, l’istituzione del Garante, la chiarezza e la motivazione degli atti, diverse garanzie nelle verifiche fiscali. [14]
Ad esempio, per quanto riguarda la tutela dell’affidamento, l’art. 10, comma 3, dello Statuto prevede che, in caso di violazione di una disposizione, “Le sanzioni non sono ... irrogate quando la violazione dipende da obiettive condizioni di incertezza sulla portata e sull’ambito di applicazione della norma tributaria ...”.
Ci soffermiamo sugli artt. 1 e 3 dello Statuto, concernenti l’ambito temporale nel quale hanno effetto le nuove disposizioni e le norme interpretative.
L’art. 3 elenca dei requisiti che le norme di interpretazione autentica devono rispettare:
- deve trattarsi di casi eccezionali;
- è necessario che siano leggi ordinarie;
- è indispensabile che ci sia la qualificazione di legge di interpretazione autentica.
Le conseguenze della mancanza di uno dei requisiti non sono esplicitamente previste; per indagare sugli effetti di questa eventualità è indispensabile attribuire allo Statuto la sua reale valenza in relazione alle norme costituzionali ed alle altre norme di legge.
La portata della difesa del contribuente costituita da questa legge non è mai stata chiaramente definita. Poiché essa ha la veste formale di legge ordinaria, non è possibile attribuirle una diretta valenza costituzionale, nonostante l’enfasi posta da molti sulla sua efficacia. [15]
Si può, invece, affermare che la stessa recepisce valori di rilevanza costituzionale; questi valori sono da soppesare ai fini di una valutazione di legittimità costituzionale di una nuova norma. Tra questi valori si annoverano, ad esempio, l’affidamento del contribuente e la generale irretroattività delle disposizioni legislative.
Per questi motivi la giurisprudenza ha dichiarato che il contrasto di un provvedimento legislativo con principi dello Statuto, quali la necessità di autoqualificazione della legge di interpretazione autentica, la derogabilità solo espressa dello Statuto, o l’applicazione delle modifiche ai tributi periodici solamente dal periodo successivo, non sia di per sé incostituzionale, ma che debba essere in ogni caso considerato per l’interpretazione della norma in esame: in caso di possibile duplice interpretazione, una secondo i principi dello Statuto, una, viceversa, in contrasto, la prima è da preferire.
Ad esempio, in tema di retroattività, la Cassazione ha affermato:[16] “Ogni qual volta una normativa fiscale sia suscettibile di una duplice interpretazione, una che ne comporti la retroattività ed una che l’escluda, l’interprete dovrà dare preferenza a questa seconda interpretazione come conforme a criteri generali introdotto con lo Statuto del contribuente, e attraverso di esso ai valori costituzionali intesi in senso ampio e interpretati direttamente dallo stesso legislatore attraverso lo Statuto”.
Allo stesso modo, è corretto sostenere che l’art. 11, comma 1, delle preleggi (“La legge non dispone che per l’avvenire: essa non ha effetto retroattivo”) afferma un principio fondamentale dell’ordinamento giuridico, quello di irretroattività. E, nonostante questa disposizione non sia stata elevata a rango costituzionale, dovrebbe comunque essere considerata dall’interprete di una norma.
Dunque, non si dovrebbe esprimere una interpretazione in contrasto con i suddetti principi senza una seria, riflessione. Questo non tanto per escludere una possibile incostituzionalità, quanto per poter assicurare la correttezza stessa della lettura.
Per i dubbi riguardanti il suo rapporto con altre disposizioni di legge, l’introduzione dello Statuto è stata accompagnata da una evidente incertezza, a causa della formulazione del suo primo articolo (art. 1, comma 1: “Le disposizioni della presente legge, in attuazione degli articoli 3, 23, 53 e 97 della Costituzione, costituiscono princìpi generali dell’ordinamento tributario e possono essere derogate o modificate solo espressamente e mai da leggi speciali”).
Le distinte disposizioni dello Statuto hanno, come osservato, diversa valenza: in alcuni casi, contengono previsioni del tutto innovative; in altri, sono esplicative di principi costituzionali, cioè di valori immanenti e preesistenti nell’ordinamento giuridico. [17] Questo è particolarmente vero per il tema dell’affidamento del cittadino-contribuente.
Al contrario, perlomeno in una occasione, lo Statuto sembra recare disposizioni in conflitto rispetto ad interpretazioni comunemente accolte della Costituzione: è il caso costituito dall’art. 4, recante il divieto di adozione di decreti-legge per l’adozione di nuovi tributi o per l’estensione di tributi già esistenti ad altre categorie di soggetti. Questa previsione si pone in contrasto con la lettura comunemente accettata dell’art. 23 della Cosituzione, secondo la quale i decreti-legge, in quanto leggi sostanziali, ben possono rispettare la riserva di legge prevista dall’art. 23 della Carta fondamentale.
Questo non implica certo una limitazione della legittimità costituzionale dell’utilizzo dei decreti-legge e dei decreti legislativi per l’adozione di nuovi tributi o per l’estensione di quelli esistenti; tuttavia, può portare, in caso di dubbio in sede interpretativa, a conclusioni restrittive circa l’esistenza di un nuovo tributo o l’estensione di un tributo già presente. .
Quindi, la reale portata della disposizione contenuta nell’art. 1, comma 2, della L. n. 212/2000 non è immediatamente percepibile. Nonostante l’importanza attribuita a questa legge dalla giurisprudenza e dalla dottrina, e malgrado il suo esplicito richiamo a principi costituzionali, questa non ha certamente un rango costituzionale. Neppure l’art. 11 delle preleggi ha una tale valenza, cosicché le nuove norme dispongono generalmente per il futuro, ma nulla vieta che la loro portata sia estesa fino a ricomprendere anche il passato. Al riguardo, l’ordinanza n. 428 del 19 dicembre 2006 della Corte Costituzionale (in “il fisco” n. 1/2007, fascicolo n. 1, pag. 127) è estremamente chiara ed asserisce che “né hanno rango costituzionale - come più volte affermato da questa Corte - l’art. 11 delle disposizioni preliminari al codice civile e l’art. 3, comma 1, della L. 27 luglio 2000, n. 212”.
Avendo più chiara la valenza delle disposizioni dello Statuto nel loro rapporto con le norme di valore costituzionale, si possono esaminare le sue previsioni con una maggior consapevolezza circa la loro portata.
Ad esempio, il tenore dell’art. 1, comma 1, dello Statuto (la “clausola di rafforzamento”), a norma del quale “Le disposizioni della presente legge ... possono essere derogate o modificate solo espressamente e mai da leggi speciali”, potrebbe suscitare qualche dubbio circa l’efficacia di una disposizione derogatoria in modo implicito o contenuta in una legge speciale.
Al riguardo, può essere utile sapere che la giurisprudenza della Corte Costituzionale ha indicato, in relazione ad una norma simile (art. 1, comma 3, della L. 8 giugno 1990, n. 142: “... le leggi della Repubblica non possono introdurre deroghe ai principi della presente legge se non mediante espressa modificazione delle sue disposizioni”), come la presenza di una simile previsione di inderogabilità implicita valga come criterio interpretativo.
La Corte di Cassazione supporta la medesima tesi, sostenendo che il dubbio interpretativo di una norma tributaria deve essere risolto nel senso conforme allo Statuto dei diritti del contribuente: “il dubbio interpretativo o applicativo sul significato e sulla portata di qualsiasi disposizione tributaria, che attenga ad ambiti materiali disciplinati dalla L. n. 212 del 2000, deve essere risolto dall’interprete nel senso più conforme ai principi statutari”. [18]
Una interpretazione che non ne tenga conto deve essere reputata errata, ma non per questo in contrasto con norme costituzionali.
5. La legge di interpretazione autentica e la legge innovativa
La legge di interpretazione autentica ha la funzione di precisare il significato di una precedente disposizione legislativa, attribuendole il significato concepito originariamente dal legislatore.
Quando questo intervento si pone l’obiettivo di ridurre una effettiva incertezza interpretativa, realizza fisiologicamente valori dell’ordinamento giuridico.
Certamente essa non dovrebbe essere utilizzata, come invece è accaduto[19] ed accade, almeno secondo la Corte di Cassazione, Sezioni Unite, per altri fini, quali soddisfare le (mai cessanti) esigenze di cassa. Queste potrebbero spingere ad interventi che influenzino anche il contenzioso in corso.
Al riguardo, la Corte stessa[20] ha prospettato una possibile violazione dell’art. 111 della Costituzione, nel caso in cui l’emanazione di una norma retroattiva incida su un procedimento in corso, nel quale l’Amministrazione finanziaria sia parte in causa.
La presenza di interpretazioni contrastanti non costituisce un requisito per l’emanazione di una norma di interpretazione autentica. Infatti, è sufficiente che. essa accolga, come interpretazione corretta della precedente disposizione, una delle possibili varianti, anche nel caso in cui vi sia un consenso della giurisprudenza su una posizione differente.[21] Si suole giustificare tale stranezza con l’attribuzione all’organo legislativo della responsabilità di definire la “politica di diritto”.
Tuttavia, deve essere sempre presente il rispetto di fondamentali valori di civiltà giuridica, tra i quali il principio generale di ragionevolezza (espresso in primo luogo nel divieto di discriminazione) e la tutela dell’affidamento legittimamente sorto. [22]
La semplice qualificazione di una norma come interpretativa, anziché semplicemente retroattiva, non ha un rilievo immediato ai fini di un giudizio di incostituzionalità. Però, una norma interpretativa propriamente tale non dovrebbe essere in contrasto con “valori e interessi costituzionalmente protetti” (vd. supra, paragrafo 3.1); al contrario, dovrebbe rafforzare la certezza del diritto, dato il suo obiettivo di chiarire la valenza di una disposizione di legge.
6. Conclusioni
La retroattività è dunque generalmente ammessa. Le disposizioni con valenza nel passato devono però rispettare il requisito di ragionevolezza, la capacità contributiva, la certezza del diritto e l’affidamento del contribuente, la autonomia del potere giudiziario, e gli altri valori costituzionalmente tutelati.
Nei fatti, la Corte Costituzionale ha quasi sempre negato la loro violazione, in alcuni casi apparendo troppo tollerante nei confronti delle scelte del legislatore. Le uniche sentenze di illegittimità costituzionale rilevanti in questo ambito hanno riguardato una retroattività di ben 10 anni concernente l’imposizione sulla cessione di aree (vd. supra, paragrafo 3.2) e un intervento in materia processuale palesemente volto a tutelare gli interessi dell’Amministrazione finanziaria a scapito di quelli del contribuente.
In questo secondo caso, il Governo (operando con delega del Parlamento) ha emanato una disposizione “fittiziamente” di interpretazione autentica, con la quale ha stabilito un obbligo di notifica certamente innovativo e lesivo della posizione processuale del cittadino-contribuente: con le parole del Giudice delle leggi, “anche il contribuente più scrupoloso difficilmente avrebbe potuto pensare che la notifica ... dovesse essere effettuata presso l’Avvocatura distrettuale dello Stato”, in quanto tale interpretazione non rientrava tra quelle accolte in sede giurisprudenziale, ed era nettamente minoritaria anche nella dottrina. Per questo, la norma è stata censurata, “poiché in questo modo è stato frustrato l’affidamento dei soggetti nella possibilità di operare sulla base delle condizioni normative presenti nell’ordinamento in un dato periodo storico, senza che vi fosse una ragionevole necessità di sacrificare tale affidamento nel bilanciamento con altri interessi costituzionali”.[23]
L’adozione di provvedimenti retroattivi deve essere eccezionale; questo in quanto la irretroattività è un “fondamentale valore di civiltà giuridica e principio generale dell’ordinamento”.[24] Inoltre, anche i precetti costituzionali sopra menzionati sono esposti al rischio di subire lesioni da questa tipologia di interventi.
Oltre a ciò, il legislatore ordinario ha previsto, con lo Statuto dei diritti del contribuente, la irretroattività in ambito tributario. Questo, come abbiamo visto, vale quale criterio interpretativo: per questo, in caso di incertezza, è corretto assegnare alle disposizioni valenza solo futura.
Tuttavia, non mancano casi in cui anche la Corte di Cassazione, l’istituzione deputata a garantire la corretta interpretazione delle leggi, sembri, al contrario, accogliere nelle sue sentenze letture che si pongono in modo diverso.
Ne è un recente esempio l’interpretazione fornita da giurisprudenza di Commissioni tributarie[25] e di legittimità[26] della norma riguardante la determinazione del momento nel quale un’area è da considerare edificabile, contenuta nell’alt. 36, comma 2, del D.L. n. 223/2006. La Corte di Cassazione ha dichiarato come la norma esaminata sia una disposizione di interpretazione autentica, come tale avente effetto ex tunc. Al contrario, seguendo le argomentazioni addotte dal Giudice delle leggi e dalla Corte di Cassazione stessa in precedenti sentenze, si doveva invece pervenire ad una conclusione diversa, a favore di una valenza ex nunc.
In particolare, nel caso accennato è assente almeno uno dei requisiti richiesti dallo Statuto dei diritti del contribuente per l’emanazione di una norma di interpretazione autentica (l’utilizzo di una legge ordinaria; oltre a ciò, la sussistenza del requisito della autoqualificazione è quantomeno dubbia, e, sebbene chiaramente presente per un’altra disposizione dello stesso decreto-legge, non lo è per quella in esame).
Inoltre, nello stesso decreto-legge erano presenti apposite previsioni per l’entrata in vigore di altre disposizioni normative in data diversa da quella ordinaria del decreto-legge, con la specifica individuazione di casi di applicazione retroattiva. E, nel caso della norma in questione, tale previsione è assente. Infine, la disposizione si riferiva a tributi distinti, diversi per formulazione e per ratio, andando a porre una definizione comune di area edificabile.[27]
Quindi, in virtù del carattere di residualità delle norme retroattive, derivante dall’essere la irretroattività un valore fondamentale dell’ordinamento giuridico[28] e delle previsioni di cui all’art. 11 delle preleggi e dello Statuto dei diritti del contribuente [valenti come criteri interpretativi],[29] sarebbe, forse, stata più coerente una interpretazione a favore dell’attribuzione di efficacia ex nunc alla disposizione.[30] Queste conclusioni derivano dalle indicazioni fornite dalla Corte Costituzionale e dalla Corte di Cassazione stessa; in particolare, quest’ultima ha indicato, nella sentenza n. 7080/2004, come il conflitto tra due possibili interpretazioni, una a favore della irretroattività, ed una al contrario per la valenza limitata al futuro, debba essere risolto a favore di questa ultima.
In conclusione, la irretroattività è ammessa, se rispetta i precetti costituzionali (che devono essere tra loro ponderati).
Tuttavia, essa è eccezionale, e, in caso di dubbio interpretativo, è corretto attribuire alle disposizioni una efficacia solamente ex nunc, in virtù dell’art. 11 delle preleggi e dello Statuto dei diritti del contribuente.
PRINCIPI DI NORME ORDINARIE E COSTITUZIONALI
Norma |
Principio espresso |
Art. 3 della Costituzione |
Principio di uguaglianza. La Repubblica rimuove gli ostacoli economici e sociali che limitano la libertà e l’uguaglianza (principio di ragionevolezza) |
Art. 23 della Costituzione |
Riserva di legge per la norma tributaria |
Art. 53 della Costituzione |
Principio di capacità contributiva |
Art. 97 della Costituzione |
Buon andamento e imparzialità dell’ Amministrazione |
Art. 11 delle preleggi |
Irretroattività della legge |
Art. 1, comma 1, dello Statuto dei diritti del contribuente (L. 27 luglio 2000, n. 212) |
Clausola di rafforzamento dello Statuto |
Art. 1, comma 2, dello Statuto dei diritti del contribuente (L. 27 luglio 2000, n. 212) |
Requisiti per le norme interpretative: 1) presenza di casi eccezionali 2) adozione di una legge ordinaria 3) qualificazione come legge di interpretazione autentica |
Art. 3 dello Statuto dei diritti del contribuente (L. 27 luglio 2000, n. 212) |
Irretroattività della norma tributaria, fatta eccezione per la previsione di cui sopra (art. 1, comma 2, dello Statuto dei diritti del contribuente) |
PRINCIPI DELLA GIURISPRUDENZA - CORTE COSTITUZIONALE
Principio espresso |
Pronuncia |
||
L’art. 11 delle preleggi e l’art. 3, comma 1, dello Statuto dei diritti del contribuente non hanno rango costituzionale |
Ord. n. 428 del 19 dicembre 2006 |
||
I principi dello Statuto sono criteri di interpretazione adeguatrice della legislazione tributaria |
Ord. n. 216 del 5 luglio 2004 |
||
È possibile l’emanazione di disposizioni di interpretazione autentica anche in presenza di un diverso indirizzo omogeneo della Cassazione |
Sent. n. 525 del 22 novembre 2000 |
||
Per l’emanazione di disposizioni di interpretazione autentica, è sufficiente che l’interpretazione accolta rientri tra le possibili varianti interpretative del testo originale |
Sent. n. 525 del 22 novembre 2000 |
||
Tra i limiti alla retroattività delle norme si annovera il rispetto dei principi: 1) di ragionevolezza 2) di uguaglianza 3) di tutela dell’affidamento legittimamente posto sulla certezza dell’ordinamento giuridico 4) di rispetto delle funzioni del potere giudiziario |
Sent. n. 525 del 22 novembre 2000 |
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Una norma, qualificata di interpretazione autentica, non può contrastare con l’affidamento nella certezza giuridica. È considerata contraria all’affidamento in materia processuale una legge di interpretazione autentica, con valenza retroattiva e assolutamente non prevedibile, riguardante un obbligo di notifica, e che determina la possibilità per l’Amministrazione finanziaria di ricorrere contro pronunce altrimenti coperte dal giudicato |
Sent. n. 525 del 22 novembre 2000 |
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Il divieto di retroattività costituisce un fondamentale valore di civiltà giuridica e un principio generale dell’ordinamento |
Sent. n. 419 del 9 ottobre 2000 e sent. n. 229 dell’I 1 giugno 1999 |
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Il divieto di retroattività non ha dignità costituzionale |
Sent. n. 419 del 9 ottobre 2000 e sent. n. 229 dell’11 giugno 1999 |
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Sono ammesse disposizioni retroattive, a condizione che ci sia un’adeguata giustificazione sul piano della ragionevolezza e non si pongano in contrasto con altri valori costituzionalmente tutelati |
Sent. n. 419 del 9 ottobre 2000 e sent. n. 229 dell’11 giugno 1999 |
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L’affidamento nella sicurezza giuridica non può essere leso da disposizioni retroattive che regolino in modo irrazionale situazioni fondate su leggi precedenti |
Sent. n. 416 del 27 ottobre 1999 |
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Il legittimo affidamento non può fondarsi su una interpretazione contestata di una norma |
Sent. n. 229 dell’11 giugno 1999 |
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Le clausole di rafforzamento valgono quali criteri interpretativi |
Sent. n. 111 del 22 aprile 1997 |
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Tra i limiti per l’emanazione di disposizioni retroattive, sono presenti: 1) la ragionevolezza della scelta 2) il divieto di ingiustificata disparità di trattamento 3) la coerenza e la certezza del diritto 4) il rispetto del potere giudiziario |
Sent. n. 376 del 13 luglio 1995 |
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La irretroattività è principio generale, a cui il legislatore deve in via preferenziale attenersi. La retroattività è ammessa nel caso in cui sia giustificata sul piano della ragionevolezza, e non sia in contrasto con altri valori costituzionalmente tutelati |
Sent. n. 376 del 13 luglio 1995 |
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Tra i limiti all’emanazione di norme di interpretazione autentica, ci sono: 1) il principio di ragionevolezza (e il divieto di ingiustificate disparità di trattamento) 2) la tutela del legittimo affidamento 3) il rispetto del potere giudiziario |
Sent. n. 376 del 13 luglio 1995 |
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Una disposizione tributaria retroattiva non viola di per sé il principio di capacità contributiva |
Sent. 315 del 20 luglio 1994 |
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Le leggi retroattive sono soggette al sindacato di ragionevolezza. La irretroattività è un principio generale dell’ordinamento a cui il legislatore deve attenersi, salva un’effettiva causa giustificatrice |
Sent. n. 155 del 4 aprile 1990 (in banca dati “fisconline”) |
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La capacità contributiva di cui all’art. 53 della Costituzione deve essere attuale. Non è presumibile la sussistenza della stessa in relazione ad operazioni avvenute 10 anni prima dell’emanazione di una norma |
Sent. n. 44 del 4 maggio 1966 |
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PRINCIPI DELLA GIURISPRUDENZA - CORTE DI CASSAZIONE
Principio espresso |
Pronuncia |
L’emanazione di norme interpretative che incidono su procedimenti in corso, nei quali l’Amministrazione finanziaria è parte in causa, può essere in contrasto con l’art. 111 della Costituzione |
Sent. n. 25506 del 30 novembre 2006, SS.UU. civ. |
Il principio di tutela del legittimo affidamento trae origine dagli artt. 3, 23, 53, 97 della Costituzione. Esso è immanente nell’ordinamento tributario e limita l’attività legislativa e amministrativa |
Sent. n. 21513 del 6 ottobre 2006, Sez. trib. |
Il divieto di irretroattività ha valore interpretativo. L’attribuzione, ad una nuova norma, di efficacia ex nunc è sempre preferibile. Questo deriva dai criteri generali di cui allo Statuto dei diritti del contribuente e dai valori costituzionali intesi in senso ampio |
Sent. n. 7080 del 14 aprile 2004, Sez. trib. |
Il dubbio interpretativo di una norma tributaria deve essere risolto nel senso conforme allo Statuto dei diritti del contribuente |
Sent. n. 17576 del 1° dicembre 2002, Sez. trib. |
[1] d. F.P. D’Orsogna, L. 27luglio 2000, n. 212: i principi di irretroattività e di legittimo affidamento, in “il fìsco”n. 45/2006, fascicolo n. 1, pag. 6950.
[2] V. Mincato (Presidente dell’Assonimi), Rifondare il rapporto tra fisco e imprese, atti del Convegno dell’Assolombarda “Finanziaria 2007; prime osservazioni”, 24 gennaio 2007,
[3] Sentenza della Cassazione 25506 del 28 settembre 2006, dep. il 30 novembre 2006 (in “il fisco’’ n. 47/2006, fascicolo n. 1, pag. 7313). Il caso si riferisce al concetto di area fabbricabile ai fini Ici, e non solo. La Cassazione ha commentato, in modo stizzito, il D.L. 4 luglio 2006, n. 223, nella parte in cui, appunto, è intervenuto retroattivamente, ad avviso della Cassazione, del tutto inutilmente. Per un eventuale approfondimento vedasi G. Rebecca, Retroattività forzata sulle aree fabbricabili, in “Il Sole-24 Ore” del 26 settembre 2006, e Il nuovo concetto di area fabbricabile: effetti retroattivi?, in “il fisco” n. 16/2007, fascicolo n. 1, pag. 2309.
[4] Sentenza della Corte Costituzionale n. 229 dell’11 giugno 1999 (in banca dai “fisconline”).
[5] Sentenza della Corte Costituzionale n. 376 del 13 luglio 1995
[6] Sentenza della Corte Costituzionale n. 525 del 22 novembre 2000 (in “il fisco” n. 45/2000, pag. 13473, con commento di G. Caputi).
[7] L. Perrone, Certezza del diritto e leggi di interpretazione autentica in materia tributaria, in “Rassegna tributaria” n. 4/2001, pag. 1050.
[8] Sentenze della Corte Costituzionale n. 410 del 27 luglio 1995 (in banca dati “fìsconline”) e n. 315 del 20 luglio 1994 (in banca dati “fisconline”)
[9] Sentenza della Corte Costituzionale n. 315/1994.
[10] Sentenza della Corte Costituzionale n. 44 del 4 maggio 1966.
[11] E. Grassi, I reiterati interventi del giudice di legittimità sulla tematica concernente lo Statuto dei diritti del contribuente, con particolare riguardo al principio dell’affidamento, in “il fisco” n. 32/2005, fascicolo n. 1, pag. 4943.
[12] Vd. F.P. D’Orsogna, L. 27 luglio 2000, n. 212: i principi di irretroattività e di legittimo affidamento, cit., e E. Grassi, I reiterati interventi del giudice di legittimità sulla tematica concernente lo Statuto dei diritti del contribuente, con particolare riguardo al principio dell’affidamento, cit., dove sono riportati riferimenti giurisprudenziali del Consiglio di Stato in tal senso e dove è proposto un interessante parallelo tra il principio di affidamento e il principio civilistico di buona fede, declinazioni di uno stesso valore dell’ordinamento.
[13] Sentenza della Corte Costituzionale n. 525/2000.
[14] Vd. G. Marongiu, Lo Statuto dei diritti del contribuente, in “il fisco” n. 1/2006, fascicolo n. 1, pag. 20.
[15] F.P. D’Orsogna, L. 27 luglio 2000, n. 212: i principi di irretroattività e di legittimo affidamento, cit.
[16] Sentenza della Cassazione n. 7080 del 14 aprile 2004 (in “il fisco” n. 27/2004, fascicolo n. 1, pag. 4238).
[17] E. Grassi, I reiterati interventi del giudice di legittimità sulla tematica concernente lo Statuto dei diritti del contribuente, con particolare riguardo al principio dell’affidamento, cit.
[18] Sentenza della Cassazione n. 17576 del 10 dicembre 2002 (in “il fisco” n. 1/2003, fascicolo n. 1, pag. 137).
[19] Vd. supra, anche la citata sentenza n. 25506/2006 della Corte di Cassazione.
[20] Sentenza della Cassazione n. 25506/2006.
[21] Vd. sentenza della Corte Costituzionale n. 525/2000.
[22] Sentenza della Corte Costituzionale n. 376/1995 (ove si utilizza anche l’espressione “coerenza e certezza del diritto”).
[23] Sentenza della Corte Costituzionale n. 525/2000.
[24] Sentenza della Corte Costituzionale n. 229/1999.
[25] Sentenza della Commissione tributaria regionale del Lazio n. 238 del 3 ottobre 2006 (in banca dati “fisconline”).
[26] Sent. Cassazione n. 25506/2006.
[27] S. Giovagnoli- G. Rebecca, La sentenza n. 25506/2006 delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione conferma la natura interpretativa della nuova definizione di area fabbricabile, in “il fisco” n. 2/2007, fascicolo n. 1, pag. 237.
[28] Sentenza della Corte Costituzionale n. 376/1995.
[29] Sentenza della Corte Costituzionale n. 111 del 22 aprile 1997 (in banca dati “fisconline”).
[30] Vd. anche P. Puri, La nuova nozione di terreno edificabile nella disciplina dei diversi tributi, in Fondazione Italiana per il Notariato, “Novità e problemi nell’imposizione tributaria relativa agli immobili”, Ed. “Il Sole-24 Ore”, 2006.