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Cessione infrannuale di quote di società di persone. Ripartizione degli utili

di Giuseppe Rebecca
commercialistatelematico.com - 26 febbraio 2024

L’imputazione dei redditi ai soci, nel caso di cessione di quote di società di persone nel corso dell’anno, non sempre è del tutto chiara ed evidente.

Ipotizziamo tre diverse fattispecie:

- cessione di quote a nuovi soci;

- cessione di quote tra soci;

- variazione di quote di partecipazione agli utili tra i vecchi soci, con o senza modifiche alle quote di partecipazione al capitale.

 

Cessione di quote a nuovi soci

In caso di cessione infrannuale delle quote a nuovi soci, i redditi dovranno essere dichiarati dai soci esistenti al 31 dicembre, nelle percentuali loro spettanti, a nulla influendo la data di trasferimento della proprietà.

Oramai si tratta di orientamento assolutamente condiviso, e fatto proprio anche dalla amministrazione finanziaria.

Sul punto si segnala una risalente sentenza della Corte di Cassazione (sentenza n. 8423 del 23 febbraio 1994 che conferma Commissione Tributaria Centrale n. 3220 del 24 aprile 1991).

In tale sentenza la Cassazione aveva specificato che, in caso di cessione di quote di società di persone nel corso dell’esercizio, gli utili si imputano per intero al soggetto che sia socio al momento dell’approvazione del rendiconto (socio cessionario), e non certamente ad entrambi i soci (cedente e cessionario) in misura proporzionale alla durata del periodo di partecipazione alla società nel corso dell’esercizio.

Infatti, la produzione del reddito da parte della società, seppure teoricamente progressiva, non è certamente continua ed uniforme nel tempo. Appare quindi del tutto irrazionale ipotizzare un frazionamento del reddito in base al tempo di possesso della quota.

Ma in tale sentenza il riferimento è alla data di approvazione del rendiconto, non alla data di chiusura dell’esercizio.

Quindi letteralmente l’utile della società andrebbe imputato esclusivamente al socio cessionario anche nel caso in cui il mutamento nella compagine sociale fosse avvenuto tra la data di chiusura dell’esercizio e la data di approvazione del rendiconto.

Si tratta di una tesi assolutamente non sostenibile; non si riscontra ragione alcuna per spostare il riferimento alla data di approvazione del rendiconto.

Non si è infatti nell’ambito delle società di capitali, ove il dividendo è deliberato dall’assemblea, che si tiene appunto l’anno successivo, ma nell’ambito delle società di persone.

La tassazione non è legata al criterio della cassa, come per i dividendi delle società di capitali, ma al concetto della trasparenza, secondo cui l’utile della società è ripartito tra i vari soci, in proporzione alle quote da ciascuno detenute.

Nello stesso senso, e quindi con specifico riferimento alla data di approvazione del rendiconto, si hanno anche altre sentenze successive; Cassazione n. 19238/2003, n. 9731 del 12 maggio 2016, n.20126 del 39 luglio 2018 e n. 14561 del 26 maggio 2921.

Invero abbiamo anche una sentenza più recente, la n. 29775 del 26 ottobre 2023, la quale, pur riferendosi ad una esclusione di un socio, conferma che il riferimento in generale si fa alla data di approvazione del rendiconto.

E nella fattispecie si trattava di maggiori redditi accertati da parte della Agenzie delle Entrate. Quanto alla esclusione, la data di efficacia è, anche ove fosse prevista una efficacia immediata, solo decorsi 30 giorni dalla comunicazione al socio escluso.

Peraltro, le stesse istruzioni alla dichiarazione dei redditi delle società di persone richiedono di indicare nel quadro specifico (dati relativi ai singoli soci) coloro che rivestono la qualità di socio alla data di chiusura dell’esercizio, e non dunque alla data di approvazione del rendiconto.

E si tratta di una impostazione valida sia dal punto di vista civilistico (l’approvazione del rendiconto della società è fatto accertativo e non costitutivo del diritto agli utili sorti a fine esercizio), sia sotto il profilo impositivo, rilevando il momento della maturazione, e non quello della percezione del reddito d’impresa prodotto dalla società.

La percezione è quindi del tutto ininfluente, ai fini della tassazione del socio.

 

Cessione di quote fra soci

La cessione di quote tra gli stessi soci non è stata oggetto di una analisi specifica. In ogni caso si ritiene che tale variazione abbia effetto dall’esercizio stesso in cui la cessione venga posta in essere, non certamente dall’esercizio successivo.

I soci dovranno, quindi, dichiarare l’utile in proporzione alle quote possedute alla fine dell’esercizio.

Anche il codice civile non ne tratta specificatamente. L’articolo 2263 codice civile si limita a porre, peraltro in via meramente dispositiva, il principio di proporzionalità alla base della disciplina legale della partecipazione agli utili e alle perdite.

L’articolo dispone infatti che:

“le parti spettanti ai soci nei guadagni e nelle perdite si presumono proporzionali ai conferimenti. Se il valore dei conferimenti non è determinato dal contratto, esse si presumono eguali”.

Taluno ha ritenuto necessario riferirsi all’art. 5, comma 2, del TUIR. Tale articolo stabilisce che:

“le quote di partecipazione agli utili si presumono proporzionate se non risultano determinate diversamente dall’atto pubblico o dalla scrittura privata autenticata di data anteriore all’inizio del periodo di imposta.”

Quindi, la variazione posta in essere influirebbe sulla determinazione dell’utile da imputare ai soci solo dall’anno successivo.

Alla fine dell’esercizio in corso, secondo tale interpretazione, i soci dovrebbero dichiarare il reddito proporzionalmente alle quote possedute all’inizio del periodo di imposta, non dando rilevanza alcuna ad atti nel frattempo intervenuti tra gli stessi soci.

Ma si deve osservare che l’articolo 5 del TUIR si riferisce unicamente alla limitata fattispecie (e sarà oggetto della prossima analisi) in cui vengono modificate solo le percentuali di partecipazione agli utili e alle perdite, permanendo invece immutata la partecipazione al capitale.

Nel caso qui analizzato, al contrario, si ha una reale variazione di quote di partecipazione al capitale tra soci, e di questa variazione se ne dovrà necessariamente tener conto. Gli utili andranno dichiarati dai soci esistenti al 31 dicembre, sulla base delle loro quote.

La Corte di cassazione, con sentenza 3946 del 18 febbraio, ha confermato che il reddito delle società di persone deve essere imputato dal fisco ai soci pro-quota e ha, inoltre, chiarito che le eventuali cessioni di partecipazioni societarie, per essere opponibili ai terzi, e nella fattispecie al fisco, devono essere trascritte antecedentemente nel registro delle imprese.

Variazione della quota di partecipazione agli utili

Si tratta di una fattispecie molto particolare, allorché in una società di persone i soci modificano la loro quota di partecipazione agli utili o alle perdite, senza però che necessariamente avvengano anche cessioni di quote di capitale. Quindi solo variazioni nelle percentuali di partecipazione agli utili; cosa ben possibile, nel campo delle società di persone.

Ecco due esemplificazioni, una con sola variazione delle quote di partecipazione agli utili, e un’altra con contemporanea variazione delle quote di capitale.

Società di persone con cinque soci al 20% del capitale sociale, con corrispondente partecipazione agli utili.

Si ipotizza una variazione delle quote di partecipazione agli utili, che diventano le seguenti: 10%, 15%, 15%, 30%, 30%; la nuova e diversa suddivisione sarà operante solo per i redditi prodotti nell’anno successivo, mentre per i redditi prodotti nell’anno in corso si manterranno invece le precedenti quote di partecipazione agli utili (20% ciascuno).

Si evitano in questo modo possibili manovre elusive, mirate a redistribuire a fine anno l’utile tra i soci in modo arbitrario, modificando le quote di partecipazione agli utili. In particolare, si vuole evitare l’imputazione degli utili ai soci con la minore aliquota marginale Irpef.

Ricordiamo come il “vecchio” articolo 5 del Tuir (Dpr 597/73) non prescrivesse espressamente che l’atto di modifica delle quote di partecipazione all’utile dovesse avere data anteriore all’inizio del periodo di imposta; specificazione invece aggiunta con il nuovo art. 5 (DPR 917/86).

Prima di questa modifica, infatti, un meccanismo elusivo talvolta praticato dai contribuenti consisteva nel vincere la presunzione di proporzionalità tra le quote di capitale e le quote di partecipazione agli utili semplicemente stipulando un atto dichiarativo dei soci, anche alla vigilia del termine per la presentazione della dichiarazione dei redditi, per trasferire l’onere tributario da un socio a un altro.

Sull’effetto solo dall’esercizio successivo delle sole variazioni di percentuale di spettanza degli utili l’Amministrazione finanziaria si è pronunciata con la circolare n. 49 del 22 novembre 2004, par. 3.10, ancorché il riferimento di base fosse alle società di capitali.

Consideriamo ora il caso di una società con tre soci, il cui capitale è così ripartito: socio A 30%, socio B 40%, socio C 30%. La partecipazione all’utile è la seguente: socio A 50%, socio B 25%, socio C 25%.

Durante l’esercizio viene stipulato un atto che varia la partecipazione al capitale sociale, ma non varia le quote di partecipazione all’utile. In base al nuovo atto il socio A possiede perciò il 20% del capitale, B il 50%, C il 30%. Le quote di partecipazione all’utile rimangono invariate (50% ad A, 25% a B, 25% a C).

In tal caso ci si chiede come vada ripartito il reddito dell’esercizio in corso.

Sembra logica una ripartizione dell’utile basata sulle invariate quote di partecipazione allo stesso. L’atto stipulato dai soci non è chiaramente finalizzato ad una diversa imputazione dell’utile; tanto meno è ipotizzabile una ragione elusiva, visto che le quote di partecipazione agli utili non vengono variate dall’atto stipulato tra i soci.

Quest’ultimo mostra palesemente l’intenzione dei tre soci di lasciare immutate le quote di partecipazione all’utile. Quindi anche per l’esercizio di stipulazione dell’atto la quota di partecipazione all’utile rimane per il socio A del 50%, per B del 25%, per C del 25%.

Un caso diverso si ha con la contemporanea variazione delle quote di capitale e delle quote di partecipazione all’utile.

Si ipotizza una partecipazione al capitale da parte del socio A per il 20%, da parte del socio B per il 40% e da parte del socio C per il 40%, mentre le quote di partecipazione all’utile sono rispettivamente: A 50%, B 25 % e C 25%.

Nel corso dell’esercizio i soci stipulano un atto che varia sia le quote di partecipazione al capitale sia le quote di partecipazione all’utile. In base al nuovo atto, A partecipa al capitale per il 20%, B per il 50% e C per il 30%; le nuove quote di partecipazione all’utile sono invece: A 45%, B 15% e C 40%.

La norma non tratta specificatamente questo caso; potrebbe quindi sorgere il dubbio su come debba essere imputato fiscalmente l’utile nell’esercizio di stipulazione dell’atto tra i soci.

L’atto, per quanto riguarda la variazione delle quote di partecipazione al capitale, ha effetto immediato, quindi dall’esercizio stesso. L’incertezza riguarda invece la imputazione dell’utile.

Se la validità dell’atto fosse anche fiscalmente immediata, l’utile andrebbe così ripartito tra i soci: A 45%, B 15% e C 40%. Occorre però tenere in considerazione il disposto dell’art. 5 del TUIR.

Ci si chiede allora se si debbano applicare le percentuali dell’esercizio precedente (A 50%, B 25%, C 25%) oppure si debba considerare il principio di proporzionalità della quota di partecipazione all’utile alla quota di partecipazione al capitale.

In tal caso l’utile viene così ripartito: A 20%, B 50% e C 30%, in base appunto alle nuove quote di partecipazione al capitale stabilite dall’atto stipulato tra i soci nell’esercizio in corso.

Riteniamo che la ripartizione dell’utile dovrebbe restare inalterata, per l’esercizio in corso e perciò: A 50%, B 25%, C 25%. L’effetto della variazione delle quote di partecipazione agli utili deve quindi essere differito; soluzioni alternative, pur possibili non paiono, infatti, del tutto convincenti.

Casi particolari

In caso di recesso di un socio da una società di persone, la data di efficacia dello stesso è dalla data di iscrizione del provvedimento presso il Registro delle Imprese, essendo ininfluente la data della comunicazione del recesso stesso.

In questo senso Risposta ad interpello n. 306 di aprile 2021.

Nel caso di trasformazione del socio d’opera in socio di capitali, con variazione della quota di partecipazione dell’utile, la variazione avrà effetto solo dall’esercizio successivo. Risposta ad interpello n. 116 del 23 aprile 2020.

Conclusione

È oramai acclarato che il reddito delle società di persone va dichiarato dai soci esistenti al 31 dicembre di ogni anno, indipendentemente dalle variazioni di possesso intervenute nel frattempo.

Unica diversità la si riscontra nel caso di variazione nelle quote di partecipazioni agli utili, indipendentemente dalle variazioni delle quote di capitale possedute.

In questo caso la semplice variazione nella percentuale di attribuzione all’utile ha effetto solo dall’esercizio successivo.

Stupisce in ogni caso osservare come la Cassazione insista sempre a far riferimento ai soci esistenti al momento di approvazione del rendiconto, e non a quelli esistenti al 31 dicembre.

L’Amministrazione finanziaria in ogni caso fa sempre riferimento solo alla data di chiusura dell’esercizio, e quindi al 31 dicembre.

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