Vicenza, Domenica 28 Aprile 2024

Associazione in partecipazione. Il trattamento tributario

di Giuliano Borriero
Il Commercialista Veneto, N. 153 maggio-giugno 2003

1. Introduzione

Il contratto di associazione in partecipazione è disciplinato dal Codice Civile dagli artt. 2459 e seguenti.

In particolare l'art 2459 c.c. individua il contratto di associazione in partecipazione come quel contratto con il quale "l'associante attribuisce all'associato una partecipazione agli utili della sua impresa o di uno o più affari verso corrispettivo di un determinato apporto". Questo tipo di contratto può essere inquadrato tra i contratti consensuali con due elementi essenziali: l'apporto dell'associato e la sua partecipazione agli utili dell'impresa. Ancora molto dibattuta è la collocazione del contratto di associazione in partecipazione tra i contratti di scambio piuttosto che tra i contratti associativi.[1] Nei contratti di scambio "le parti contraenti sono contrapposte, atteso che ognuna di esse tende a concretizzare un proprio ed esclusivo interesse. La connessa confliggenza postula l'obbligo di prestazioni corrispettive, di contenuto diverso ed opposto nonché la presenza di due, e non di più, parti". [2] Nei contratti di associazione vi è, invece, una comunione di interessi tra le parti che possono essere due o più. La parte di dottrina che ritiene il contratto di associazione in partecipazione un contratto associativo, sottolinea che l'apporto dell'associato è finalizzato al conseguimento di uno scopo comune, finalizzazione tipica dei contratti associativi. [3] Non vi sono dubbi invece sulle differenze tra contratto di associazione in partecipazione e rapporto di lavoro subordinato: "l'associato in partecipazione, se pur conferisce il proprio lavoro, non è un lavoratore subordinato, perché non si inserisce in una azienda altrui per finalità a lui estranee; non è obbligato a prestare una collaborazione. Ma solo il proprio lavoro nei limiti del valore attribuito all'apporto, non è subordinato ad un datore di lavoro, ma solo alle direttive dell'assodante al quale non competono quei poteri disciplinari e di controllo spettanti al datore di lavoro anche nel silenzio del contratto di lavoro, non ha infine diritto ad una retribuzione o, comunque, ad un minimo garantito di guadagno e, se pur non partecipa alle perdite, partecipa tuttavia al rischio dell'impresa potendo non conseguire utile di sorta." [4]

I contratti di associazione in partecipazione presentano, soprattutto dal punto di vista del trattamento fiscale, differenze a seconda che il tipo di apporto dell'associato sia di solo capitale, di solo lavoro o contemporaneamente di capitale e lavoro.

2. Le parti del contratto

2.1 L'associato

L'associato, verso il corrispettivo di un determinato apporto, acquista il diritto di partecipare agli utili conseguiti dall'impresa o dal compimento di uno specifico affare. Il primo elemento fondamentale per la costituzione del rapporto di associazione in partecipazione risulta quindi l'apporto dell'associato. Questo apporto può assumere diverse forme: apporto di capitale (beni o danaro), apporto esclusivo di lavoro, apporto misto lavoro-capitale (beni o denaro). A fronte del contributo dell'associato all'impresa (o all'affare), l'associante concede una partecipazione agli utili della propria impresa. Al fine di poter raggiungere gli obiettivi posti dal contratto, all'associato deve essere riconosciuto un, se pur limitato, potere gestorio dell'impresa. I limiti del potere di gestione e organizzazione dell'associato rappresentano un elemento particolarmente delicato del contratto; infatti, a differenza del contratto associativo, nell'associazione in partecipazione i contraenti non partecipano in modo paritetico alla gestione dell'impresa, che rimane unica prerogativa dell'associante.

L'associato deve quindi svolgere la propria attività utilizzando il potere gestorio entro i limiti posti dal contratto stesso o dagli accordi con l'associante.[5]

In un rapporto di associazione in partecipazione, pur rimanendo l'associante l'unico imprenditore titolare del diritto di gestione dell'impresa, devono però venire attribuiti all'associato alcuni limitati e subordinati poteri di gestione della stessa, in modo da poter garantire all'associato il raggiungimento del fine contrattuale (che può essere la conclusione di uno specifico affare piuttosto che la ordinaria attività aziendale). L'art. 2552 c.c. attribuisce la paternità della gestione dell'impresa: "la gestione dell'impresa o dell'affare spetta all'assodante. Il contratto può determinare quale controllo possa esercitare l'associato sull'impresa o sullo svolgimento dell'affare per cui l'associazione è stata contratta." Dal tenore letterale dell'art. 2552 c.c., risulta indubbio che un certo potere gestorio spetta anche all'associato; alcuni autori però si sono spinti oltre, sottolineando l'inesistenza di qualsiasi ostacolo alla delega di rappresentanza a tutti gli effetti conferita all'associato. [6]

Altro aspetto fondamentale del contratto di associazione in partecipazione è la partecipazione agli utili dell'impresa. Dal punto di vista dell'associato il contratto in esame risulta essere un contratto oneroso ed aleatorio poiché, ad una prestazione certa (l'apporto), corrisponde una prestazione incerta e indeterminata (la partecipazione agli eventuali utili). Nel caso in cui dall'attività aziendale o dalla conclusione del singolo affare derivi una perdita, è necessario stabilire se e in che misura l'associato se ne debba accollare una parte.

L'art. 2553 c.c. stabilisce che "Salvo patto contrario, l'associato partecipa alle perdite nella stessa misura in cui partecipa agli utili, ma le perdite che colpiscono l'associato non possono superare il valore del suo apporto". Il codice civile stabilisce i limiti inderogabili di partecipazione dell'associato alle perdite e stabilisce anche la facoltà delle parti di escludere contrattualmente ogni partecipazione dell'associato alle perdite.

2.2 L'associante

L'associante è il soggetto che, in cambio di un apporto dell'associato, divide parte degli utili della propria impresa o quelli derivanti da un singolo affare.

L'associante mantiene la titolarità esclusiva dell'impresa e rimane l'unico soggetto che acquisisce e risponde delle obbligazioni assunte dall'impresa. I terzi acquistano diritti ed assumono obblighi soltanto verso l'associante. L'art. 2552 c.c. individua quali siano gli obblighi dell'associante:

- dirigere l'attività dell'impresa secondo buona fede;

- non assumere iniziative tali da mutare il rischio valutato dall'associato all'atto della stipula del contratto;

- adempiere ai propri doveri con diligenza;

- non attribuire altre partecipazioni senza il consenso del precedente associato;

- dare inizio all'impresa, se questa non esiste, investendo l'apporto dell'associato.

Essendo l'associante l'unico titolare delle obbligazioni assunte dall'impresa, l'associazione in partecipazione si scioglie per il fallimento dell'assodante (art. 77 L.F.). In caso di fallimento dell'associante, l'associato ha diritto ad insinuarsi al passivo del fallimento per la parte di credito che gli deriva dai conferimenti effettuati, dopo averli compensati con la eventuale quota di perdita a suo carico. [7] Diverse sono le conseguenze in caso di fallimento dell'associato. Essendo il potere gestorio di competenza dell'associante (e solo in via subordinata dell'associato), in caso di fallimento dell'associato non comporterà automaticamente lo scioglimento del contratto di associazione. Spetterà al curatore fallimentare l'onere di decidere se subentrare nel contratto o chiederne lo scioglimento.[8]

3. Aspetti fiscali. Le imposte dirette.

3.1 Il reddito dell'associato

11reddito percepito dall'associato assume caratteristiche differenti in base a due elementi: la natura dell'apporto e la qualifica dell'associato. L'associato persona fisica (non titolare di partita IVA) che apporta capitale o capitale e lavoro, in base all'art. 41, comma 1, lettera f) del TUIR, qualifica come redditi da capitale gli utili derivanti da associazione in partecipazione, salvo quanto disposto dalla lettera c) del secondo comma dell'art. 49 del TUIR.

La lettera c) del secondo comma dell'art. 49 del TUIR stabilisce che "sono redditi di lavoro autonomo: c) le partecipazioni agli utili di cui alla lettera f) del comma 1 dell'art. 41 quando l'apporto è costituito esclusivamente dalla prestazione di lavoro.

Per cui, in caso di apporto di solo capitale o misto capitale-lavoro, gli utili percepiti dall'associato persona fisica sono considerati redditi di capitale; se l'apporto è invece costituito da solo lavoro gli utili sono considerati redditi di lavoro autonomo. Nel caso di apporto misto capitale-lavoro, il reddito viene determinato ai sensi dell'art. 42, comma 1, TUIR; tale reddito sconterà l'IRPEF senza alcuna deduzione dall'importo lordo e su di esso deve essere operata una ritenuta d'acconto.[9]

Per gli utili spettanti all'associato d'opera, trova applicazione il comma ottavo dell'art. 50 del TUIR. [10] Sia nel caso di apporto di solo lavoro, che nel caso di apporto di capitale o misto, opera il principio di cassa.

Nel caso in cui l'associato sia titolare di partita IVA, gli utili percepiti, indipendentemente dalla natura dell'apporto, concorrono a formare il reddito d'impresa nell'esercizio di competenza.

3.2 Deducibilità fiscale degli utili erogati all'associato

I compensi erogati dall'associante all'associato costituiscono componente negativo di reddito d'impresa, indipendentemente dall'imputazione a conto economico.[11]

IIComunicato del Ministero delle Finanze del 13 maggio 1987[12] ha chiarito gli elementi essenziali per poter scomputare in diminuzione dal reddito d'impresa dell'associante le somme erogate all'associato:

- il contratto di associazione in partecipazione deve risultare da atto pubblico o da scrittura privata autenticata e deve, tra l'altro, contenere la specificazione dell'apporto e, qualora questo sia costituito da denaro ed altri valori, deve altresì contenere elementi certi e precisi comprovanti l'avvenuto apporto;

- con riguardo all'ipotesi di apporto costituito dalla prestazione di lavoro, gli associati non devono essere familiari dell'associante compresi tra quelli nell'art. 15 del D.P.R. 29/ 09/1973, n. 597;

- l'attribuzione delle quote di utili spettanti agli associati in partecipazione, da portare in diminuzione del reddito d'impresa dell'associante, deve trovare obiettiva giustificazione nel lavoro effettivamente prestato o nell'entità dell'apporto di altri beni.

La più recente C.M. n. 50/E del 12 giugno 2002, ha ribadito le condizioni per la deducibilità dei compensi erogati all'associato:

- il contratto deve essere stipulato nella forma di atto pubblico o da scrittura privata autenticata. Si fa presente che anche la scrittura privata registrata è un documento idoneo a provare l'esistenza dell'associazione in partecipazione, atteso che la registrazione attribuisce data certa all'atto e, quindi, spiega effetti anche nei confronti dell'Amministrazione Finanziaria;[13] il contratto deve contenere la specificazione dell'apporto e, qualora questo sia costituito da denaro ed altri valori, deve contenere elementi certi a precisi comprovanti l'avvenuto apporto;

- qualora l'apporto sia costituito da prestazioni di lavoro, gli associati non devono essere familiari dell'associante, ai sensi dell'art. 62, comma 2, del TUIR.[14] La circolare precisa anche che, in mancanza di atti aventi data certa, la quota spettante all'associato non deve assumere alcuna rilevanza fiscale, né per l'associato, per il quale non concorre a formare il reddito complessivo, né per l'associante come costo nell'ambito del reddito di impresa.

4 Aspetti fiscali. Le imposte indirette.

Dal punto di vista delle imposte indirette il D.L. n. 282/2002 ha apportato una significativa modifica alla disciplina dei contratti di associazione in partecipazione. Per effetto del citato D.L., l'art. 5, comma 2, D.P.R. n. 633/72 attualmente prevede che "non si considerino effettuate nell'esercizio di arti e professioni le prestazioni di servizi inerenti ai rapporti di collaborazione coordinata e continuativa, nonché le prestazioni di lavoro effettuate dagli associati nell'ambito dei contratti di associazione in partecipazione di cui all'articolo 49, comma 2, lettera c), del TUIR, rese da soggetti che non esercitino per professione abituale altre attività di lavoro autonomo". Questa modifica legislativa ribalta una recente Risoluzione dell'Agenzia delle Entrate[15] che affermava la necessità di assoggettare ad IVA il compenso spettante all'associato in partecipazione che presta esclusivamente la propria opera, tenuto conto che per tale fattispecie si realizzano i presupposti oggettivo e soggettivo di imponibilità ai fini IVA. Questa risoluzione aveva portato con sé la necessità di aprire una posizione IVA per tutti i soggetti persona fisica che apportano nell'associazione in partecipazione esclusivamente lavoro. Con l'entrata in vigore delle modifiche del D.L. n. 282/2002, tutti i soggetti che non esercitano, oltre all'attività di associazione in partecipazione, altra attività di lavoro autonomo non devono più assoggettare ad IVA i compensi percepiti e possono quindi, chiudere la propria posizione IVA. Per quanto riguarda l'assoggettamento ad IVA nei casi di apporto diverso dal solo lavoro, si possono configurare le seguenti fattispecie:

- apporto di denaro: l'operazione non rientra nel campo di applicazione dell'IVA ai sensi dell'art. 2, comma 3, D.P.R. n. 633/72;

- nel caso di apporto da parte di persona fisica di beni diversi dal denaro o di apporto misto lavoro-beni, i compensi non sono soggetti ad IVA per mancanza del presupposto soggettivo;

- nel caso di apporto da parte di ditta individuale o società di beni diversi dal denaro o di apporto misto lavoro-beni, i compensi sono soggetti ad IVA essendo presenti sia il requisito soggettivo che quello oggettivo.

5 Conclusione

Dal punto di vista civilistico si può ritenere il contratto di associazione in partecipazione un contratto consensuale (che si perfeziona con il consenso delle parti), a titolo oneroso (all'apporto dell'associato corrisponde un corrispettivo, anche se incerto), di scambio e non associativo per mancanza dell'aspetto organizzativo. Dal punto di vista delle imposte dirette è necessario distinguere la natura dell'apporto e la configurazione giuridica dell'associato: i compensi percepiti dall'associato imprenditore sono sempre considerati parte del reddito d'impresa. I compensi percepiti dall'associato persona fisica sono considerati reddito da lavoro autonomo, nel caso in cui l'apporto sia costituito da prestazione d'opera, o redditi di capitale nel caso di apporto di beni o misto beni-lavoro. Dal punto di vista delle imposte indirette, se l'associato è un imprenditore i compensi percepiti sono sempre assoggettati ad IVA tranne nel caso in cui l'apporto iniziale sia stato in denaro. Nel caso in cui l'associato apporti esclusivamente il proprio lavoro e non svolga altra attività di lavoro autonomo, i compensi percepiti non sono soggetti ad IVA. Nel caso in cui l'associato sia persona fisica e l'apporto sia costituito da denaro, altri beni o misto, i compensi percepiti non sono mai assoggettati ad IVA.




[1] Sul dibattito dottrinale tra contratti di scambio e contratti associativi si segnala: M. De Acutis, L'associazione in partecipazione, Padova, 1999; G. De Ferra, Associazione in partecipazione, in Commentario del c.c., Roma, 1973; M. Ghidini, L'associazione in partecipazione, Milano, 1959; G. Gaffuri, L'associazione in partecipazione nel nuovo Testo Unico, in Le Società. 1988, pag. 1084; S. Lattanzi, Associazione in partecipazione, in Enc. Giur. Treccani, Roma, 1988.

[2] Danilo Bondavalli, L'associazione in partecipazione, Giuffrè, Milano, 2000

[3] Ferrara-Corsi, Gli imprenditori e le società, Milano, 1987, pagg. 217 e seg.

[4] Corte d'Appello di Napoli, Sentenza 1 febbraio 1963. Conforme Corte Cassazione, Sentenza del 6 febbraio 1971, n. 313 "Nell'associazione in partecipazione l'apporto dell'associato può essere costituito da una prestazione di attività lavorativa. In tal caso il rapporto si distingue da quello di lavoro subordinato, perché mancano il vincolo di dipendenza e la garanzia di guadagno, che sono connaturati al rapporto di lavoro".

[5] Cass. Sez. Lavoro, 5 gennaio 1984, n. 32

[6] Ghidini, Associazione in partecipazione, in Enciclopedia del diritto, Giuffrè, Milano, 1958; Ferri, Associazione in partecipazione, in Novissimo Digesto Italiano, Utet, Torino, 1958.

[7] P. Meneghetti, C.A. Leardi, L'associazione in partecipazione, Centro Studi Tributari, Verona, 2000

[8] 8 Sul subentro del curatore fallimentare si veda De Ferra, Associazione in partecipazione, Zanichelli, Bologna, 1973.

[9] La ritenuta si applica in base al'art. 26, quinto comma, D.P.R. n. 600/73

[10] Art. 50, comma 8, TUIR: "....I redditi indicati alla lettera c), d), e), del comma 2 dell'art. 49 costituiscono reddito per l'intero ammontare percepito nel periodo d'imposta.

[11] Art. 62, comma 4, TUIR: " le partecipazioni agli utili spettanti ai lavoratori dipendenti e agli associati in partecipazione sono computate in diminuzione del reddito dell'esercizio di competenza indipendentemente dalla imputazione al conto dei profitti e delle perdite".

[12] In banca dati Quattro codici della riforma tributaria, Ipsoa.

[13] Sulla indeducibilità dei compensi per mancanza di registrazione del contratto di associazione in partecipazione si veda: Decisione Commissione tributaria centrale, sez. XXI, 21/06/90, n. 4868. Sulla necessità di data certa del contratto di associazione in partecipazione si veda : Sentenza Cassazione Civile, sez. tributaria, 30/05/2002, n. 7934.

[14] Cass. Civile, Sentenza n. 11383, 30/08/2000: "L'indeducibilità dal reddito d'impresa dei compensi, oltre che dell'imprenditore, di alcuni suoi stretti familiari risponde all'esigenza di collegare il prelievo impositivo all'intrinseca natura ed all'effettiva entità complessiva del provento netto dell'impresa, evitando abbattimenti d'imponibile o riduzione di aliquote, per il tramite di un atto negoziale, in sé lecito, che trasformi il fisiologico godimento dei profitti da parte di quei familiari in un costo di produzione, segnatamente quando il loro impegno nell'impresa medesima, come nell'ipotesi di figli minori od ancora impegnati negli studi, non possa superare la soglia di una modesta, per quanto lodevole collaborazione".

[15] Risoluzione n. 252/E del 30/07/2002

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