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La responsabilità contrattuale del professionista intellettuale

di Carlotta Pilotto
Il Commercialista Veneto, N. 155 settembre-ottobre 2003

Le professioni intellettuali sono quelle attività caratterizzate dall’importanza assunta dalla cultura e dall’intelligenza del soggetto che la svolge ed eseguite nel rispetto della piena autonomia, con ampi poteri discrezionali affidati al professionista stesso. Queste professioni sono disciplinate dalla Costituzione, all’art. 33, comma 5, che prevede la necessità di superare un esame di Stato al fine di ottenere l’abilitazione professionale e dal codice civile, nell’ambito della disciplina del lavoro autonomo, dall’art 2229 all’art. 2238 . Una specificazione dell’art. 33, comma 5 della Cost., è contenuta nell’art. 2229 c.c., che prevede l’obbligo di iscrizione in appositi albi professionali per l’esercizio di alcune professioni intellettuali, espressamente previste dalla legge. In relazione al fatto che le norme in materia sono contenute nel titolo terzo del libro quinto che regola lo svolgimento del lavoro autonomo, si deduce che il professionista intellettuale è stato considerato un lavoratore autonomo con la conseguenza che egli possiede un certo potere discrezionale sulle modalità di esecuzione della prestazione che gli è stata commissionata. Inoltre, come si evince dall’art. 2230 c.c., la normativa dettata per il contratto d’opera in generale è applicabile anche alla fattispecie delle professioni intellettuali, se ciò è compatibile con la natura del contratto. La maggiore differenza tra i due contratti è che mentre nel contratto d’opera l’attività lavorativa è volta al raggiungimento di un determinato risultato, nel contratto d’opera intellettuale la prestazione consiste in un determinato comportamento rispetto ad un risultato stabilito dal cliente. La prima viene definita come obbligazione di risultato in quanto è a questo che si fa riferimento per proporre eventuali azioni di responsabilità, la seconda è considerata un’obbligazione di mezzi che comporta la necessità di dimostrare che l’attività non è stata svolta con la diligenza necessaria a tutelare in modo adeguato il cliente. L’inadempimento del professionista non può quindi derivare dal mancato raggiungimento del risultato posto come obiettivo dal cliente, ma deve considerare la violazione dei doveri inerenti allo svolgimento dell’attività professionale e della diligenza prevista dall’art. 1176, comma 2 c.c. che considera la natura dell’attività esercitata e si riferisce dunque alla diligenza media che il professionista medio deve avere nello svolgimento di un incarico. Una limitazione della responsabilità del professionista è prevista dall’art. 2236 c.c., il quale prevede che nel caso in cui il professionista sia chiamato a risolvere problemi tecnici di particolare difficoltà, questo risponde solo in caso di dolo o di colpa grave. La conseguenza di queste considerazione è che mentre nel contratto d’opera in generale il rischio ricade sul prestatore d’opera, nel caso di prestazioni effettuate dal professionista intellettuale, questo grava sul cliente. La libertà di scelta del professionista è un’altra peculiarità della professione intellettuale che si manifesta con la facoltà di assumere o meno un incarico, la possibilità di scegliere le modalità reputate più adatte a realizzare l’oggetto del contratto, l’assenza di vincoli di subordinazione rispetto al cliente.

Altro aspetto che caratterizza questa professione è la discrezionalità con cui opera il professionista nello svolgimento del suo incarico in relazione al comportamento che deve tenere e ai mezzi tecnici che deve adottare, con l’obiettivo di raggiungere i risultati illustrati dal cliente. Il contratto d’opera intellettuale è un contratto a prestazioni corrispettive in quanto il professionista si obbliga ad eseguire una prestazione di carattere intellettuale a favore del cliente, in cambio del compenso pattuito dalle parti o stabilito in base alle tariffe professionali. Il fatto che si tratti di un’obbligazione di mezzi e non di risultato, comporta che il compenso spettante al professionista è svincolato dalla realizzazione degli obiettivi fissati dal cliente. A tal proposito si deve ricordare che il carattere intellettuale dell’opera prestata e la conseguente discrezionalità concessa al professionista, gli permette di procedere liberamente nella scelta dei modi di attuazione dell’incarico ricevuto applicando quelli che ritiene più adeguati a raggiungere i risultati desiderati dal cliente. È comunque ammesso che le parti condizionino il diritto all’onorario del professionista, o di una sua parte, al raggiungimento di un risultato positivo per il cliente.

La responsabilità contrattuale

La responsabilità contrattuale del professionista intellettuale deriva dall’inadempimento delle obbligazioni previste dal contratto e definite dall’art. 2230 c.c., che indica come oggetto del contratto le prestazioni di opera intellettuale. Considerata la particolare natura dell’obbligazione assunta dal professionista, e cioè il fatto di identificarla come obbligazione di mezzi e non di risultato, l’inadempimento non può essere fatto discendere dal mancato raggiungimento dell’obiettivo posto dal cliente, ma deve essere valutato in base al dovere di diligenza, che prescinde dal criterio generale della diligenza del buon padre di famiglia e si adegua alla natura dell’attività esercitata. Il contenuto di tale diligenza è variabile e deve essere identificato in relazione alla singola fattispecie, rapportando la condotta tenuta dal debitore alla natura e alla specie dell’incarico professionale e alle circostanze concrete in cui la prestazione deve svolgersi. Nell’ipotesi in cui il professionista dimostri di aver concluso l’incarico affidatogli, spetta al cliente l’onere di provare la colpevole inosservanza, o la violazione da parte del professionista, delle regole tecniche in uso nello svolgimento dell’attività che gli è stata commissionata, in relazione agli elementi dai quali si deduce il vizio o l’insufficienza dell’opera svolta.

Al fine di valutare correttamente l’adempimento del soggetto incaricato, si deve altresì considerare che egli è tenuto ad informare il cliente sui rischi derivanti dall’attività che andrà a svolgere. Si considerano come fornite anche tutte le informazioni fornite nella fase precontrattuale e quelle contenute nella corrispondenza scambiata prima dell’ottenimento dell’incarico. Se il professionista, nello svolgimento dell’incarico che gli è stato affidato, si avvale della prestazione di sostituti o di ausiliari, in base all’art. 2232 c.c., egli è responsabile nei confronti del cliente, anche per gli atti compiuti dai collaboratori. Rimane comunque salva la possibilità per il professionista di procedere ad azioni disciplinari nei loro confronti e di esercitare il diritto di rivalsa nel caso in cui sia condannato al risarcimento dei danni causati. Al contrario, deve escludersi la possibilità per il cliente di agire direttamente nei confronti di questi soggetti in caso di inadempimento dell’obbligazione contrattuale. Diversa è la situazione in cui il contratto d’opera sia intervenuto tra il cliente e dei professionisti associati. In questo caso l’azione di responsabilità può essere promossa nei confronti di tutti gli associati che hanno collaborato alla realizzazione dell’opera in quanto non sussiste un vincolo di ausiliarietà e ognuno agisce per sé e per i colleghi. Il fatto che non ci siano dei criteri oggettivi volti ad identificare un modello di attività professionale che deve essere seguito da tutti i soggetti nello svolgimento della loro prestazione, comporta non pochi problemi di identificazione degli elementi che si devono considerare, al fine di individuare se l’obbligazione è stata eseguita in modo corretto o meno.

Si deve inoltre ricordare che, ai fini della determinazione della responsabilità contrattuale del professionista, non basta provare l’esistenza di un evento dannoso, ma si deve provare anche che questo è la conseguenza dell’inadempimento del contratto d’opera e che tale danno non si sarebbe realizzato se il professionista avesse eseguito in modo corretto l’obbligazione assunta. L’onere di dimostrare l’inadeguatezza della prestazione professionale e l’esistenza del rapporto di causalità tra il danno e l’inadempimento del prestatore d’opera intellettuale è a carico del cliente che agisce per il risarcimento mentre al professionista spetta dimostrare che era impossibile eseguire correttamente la prestazione commissionata per cause a lui non imputabili. In relazione al fatto che la prestazione d’opera intellettuale è una prestazione di mezzi e non di risultato, al fine di dimostrare la responsabilità del professionista, non basta l’indicazione del mancato raggiungimento dello scopo desiderato dal cliente e quindi l’esistenza di un danno, ma il committente deve anche provare che il danno subito è la conseguenza diretta e immediata dell’inadempimento del professionista. La valutazione da compiere ai fini dell’accertamento del danno sofferto deve considerare il pregiudizio causato al cliente in relazione al comportamento posto in essere dal professionista. Ai fini di una corretta stima deve essere opportunamente apprezzata anche la perdita di opportunità subita dal cliente in relazione all’opera prestata dal professionista. Il codice deontologico statuisce che il professionista ha l’obbligo di garantire il cliente in merito ai danni che possono derivare dalla sua opera stipulando un idoneo contratto di assicurazione che garantisca al cliente un congruo risarcimento dei danni. Il massimale deve essere proporzionato all’attività esercitata dal professionista stesso.

Tali contratti di assicurazione, mutuati dalla prassi americana, si stanno diffondendo molto rapidamente in relazione al fatto che il professionista sente la necessità di limitare i rischi derivanti dalla sua attività.

La diligenza

Il professionista è chiamato a svolgere l’incarico che gli è stato affidato compiendo tutte le attività che considera idonee a raggiungere lo scopo dichiarato dal cliente e quindi a raggiungere il risultato che desidera. Tale comportamento deve rispondere al principio della diligenza enunciato dall’art. 1176, comma 2, c.c. il quale prevede che, nell’esercizio di un’attività professionale, la diligenza deve valutarsi con riguardo alla natura dell’attività esercitata.

L’obbligo del professionista consiste quindi nel ricorrere a tutti quegli accorgimenti che si rivelano necessari a rendere raggiungibile gli obiettivi posti dal cliente, considerando adeguatamente la natura dell’attività esercitata. Si capisce quindi che per completare la fattispecie considerata si utilizza anche la perizia, ossia l’abilità tecnica richiesta per l’esercizio di quella professione. Questa situazione implica che la diligenza professionale presenta un contenuto variabile che deve essere accertato di volta in volta in relazione al caso concreto che si presenta. La condotta effettivamente tenuta dal professionista deve essere rapportata alla natura dell’incarico ottenuto e alle concrete circostanze in cui la prestazione deve essere svolta. La diligenza professionale non assume un ruolo integrativo della volontà espressa dalle parti nel contratto ma si riferisce all’osservanza delle regole emerse dalla prassi che si è consolidata nel tempo.

Se a livello teorico è semplice identificare la diligenza come un comportamento idoneo a realizzare il risultato atteso dal cliente, a livello pratico non risulta altrettanto facile individuare tale elemento che peraltro è indispensabile per riuscire a determinare cosa si deve considerare per adempimento.

La corretta definizione dell’inadempimento è importante in quanto l’art. 1218 c.c. prevede che, se il debitore non esegue esattamente la prestazione dovuta, è tenuto al risarcimento del danno se non prova che ciò è stato determinato da impossibilità della prestazione derivante da causa a lui non imputabile. L’attenuazione della responsabilità disciplinata dall’art. 2236 c.c. non esclude la rilevanza della colpa lieve in capo al professionista intellettuale in quanto si riferisce solo alla soluzione di problemi tecnici di speciale difficoltà. Il corretto assolvimento da parte del professionista dell’incarico affidatogli comporta che egli utilizzi la diligenza propria del professionista con la preparazione e l’attenzione media necessarie allo svolgimento di quella precisa attività.

In relazione a ciò, il concetto di inadempimento può essere ricondotto al mancato rispetto delle regole della professione considerata e degli accorgimenti che, nel loro insieme, costituiscono l’esperienza acquisita. È proprio in relazione a quest’ultimo aspetto che si individua il principio della personalità della prestazione in quanto, per il cliente, potrebbe non essere indifferente sapere che l’incarico viene svolto da un soggetto noto per le sue capacità o da un altro. Per quanto riguarda le società, la personalità della prestazione è rilevante in riferimento al possesso o meno di particolari abilitazioni da parte dei soggetti incaricati.

Quella appena espressa costituisce la parte oggettiva di determinazione dell’inadempimento che si rifà al corretto utilizzo delle regole tecniche diffuse nella prassi professionale, ma l’applicazione meccanica di tali regole non comporta l’esenzione dalla responsabilità. Infatti, a questo aspetto deve aggiungersi quello soggettivo che considera il concetto di colpa imputabile al professionista conseguente ad un comportamento non adeguato rispetto all’incarico che doveva svolgere e non rivolto ad evitare che si potessero realizzare delle situazioni in cui la prestazione sarebbe divenuta impossibile o inutile. In questo caso il soggetto incaricato deve essere considerato responsabile per inadempimento dell’obbligazione assunta. Infine, a completare il concetto di diligenza si deve considerare l’obbligo per il professionista di illustrare al cliente le caratteristiche della prestazione che andrà a svolgere. Al fine di non incorrere in azioni di responsabilità, il professionista deve accertarsi, ottenendo un consenso esplicito allo svolgimento dell’attività, che il cliente abbia una visione reale della situazione che gli è stata prospettata e che sia consapevole dei rischi ai quali può andare incontro. L’onere di dimostrare che il dovere di informazione non è stato assolto dal professionista grava sul cliente che agisce in giudizio per ottenere l’affermazione della responsabilità.

La colpa professionale: negligenza, imperizia, imprudenza

Il concetto di colpa professionale si ricava da quello di diligenza, in quanto il primo rappresenta la negazione del secondo. Infatti, la colpa professionale ricorre ogni volta in cui il professionista abbia tenuto un comportamento che non può essere considerato idoneo a permettere il raggiungimento delle finalità poste dal cliente e alle quali deve fare riferimento il soggetto incaricato nell’esecuzione della prestazione. Il professionista può essere considerato colpevole in relazione a tre tipologie di comportamento che vengono indicate come negligenza, imperizia e imprudenza.

La negligenza non è riconducibile alla semplice mancanza di diligenza, ma richiede che siano stati compiuti una serie di comportamenti negativi che hanno caratterizzato l’operato del professionista. Gli atteggiamenti che solitamente vengono considerati in relazione a tale fattispecie sono la dimenticanza, la svogliatezza e la pigrizia, che assumono rilevanza in quanto precludono l’attuazione di determinate azioni. Questi comportamenti sono riscontrabili nella pratica tutte quelle volte in cui si possa identificare una mera omissione da parte del professionista. L’ imperizia è riconducibile alla mancanza di competenze da parte del soggetto incaricato. In relazione all’esercizio delle professioni intellettuali, la cultura e l’esperienza del professionista costituiscono parte integrante della prestazione cui si è obbligato, con la conseguenza che il professionista è tenuto ad acquisire e a conservare le competenze necessarie e che l’attività che svolge, deve essere ispirata ai principi tecnici generalmente accettati. Il soggetto incaricato è tenuto ad offrire una prestazione che corrisponda ai canoni previsti nella definizione della diligenza media di un professionista sufficientemente preparato ed avveduto. Ciò comporta che nel valutare la responsabilità del professionista non si può prescindere dalle soluzioni indicate dalla scienza e che sono unanimemente accolte dalla pratica. Tali nozioni rappresentano il corredo necessario per lo svolgimento della professione intellettuale. L’inadeguatezza della preparazione deve essere verificata in relazione ad ogni singola fattispecie, in seguito all’accertamento delle circostanze in cui deve essere svolta la prestazione. Nel caso il cui il professionista sia consapevole di non possedere i requisiti necessari allo svolgimento dell’incarico, egli dovrà rifiutarlo al fine di non rischiare di incorrere in eventuali azioni di responsabilità.

L’imprudenza è rilevabile tutte le volte in cui il professionista dimostri disinteresse e superficialità per i beni primari che il cliente affida nelle mani del prestatore d’opera intellettuale. Il professionista, nello svolgimento dell’incarico, deve tralasciare di attuare comportamenti che possono rivelarsi incompatibili con il raggiungimento del risultato desiderato dal cliente. Conseguentemente, deve adottare i normali criteri di soluzione, evitando di adottare procedure innovative che comporterebbero un aumento ingiustificato dei rischi a carico del cliente. Il prestatore d’opera deve quindi mantenere un comportamento accorto nella scelta dei mezzi più idonei al conseguimento del risultato migliore. Il concetto di imprudenza rappresenta quindi il limite massimo oltre al quale non può spingersi la discrezionalità del professionista. La responsabilità del soggetto incaricato può essere fatta valere in tutti quei casi in cui, potendo scegliere, abbia deciso di adottare un comportamento che presenti il maggior numero di probabilità di insuccesso. In tutti i casi appena esposti il professionista risponde anche per colpa lieve in base all’art. 1176, comma 2, c.c. in quanto non ha applicato, per la soluzione di un problema di ordinaria difficoltà, le regole generalmente accettate in base ad una prassi consolidata.

L’errore professionale

Il professionista deve tenere un comportamento tale da assolvere il dovere di diligenza cui è tenuto e cioè quella del professionista medio, utilizzando le regole fornite dalla scienza ed adottate nella prassi consolidata, al fine di permettere il raggiungimento degli obiettivi posti dal cliente. L’inosservanza delle regole di condotta comporta il sorgere in capo al professionista di una responsabilità contrattuale e, nel caso in cui il cliente riesca a dimostrare il legame tra questa e i danni subiti, dovrà procedere al risarcimento dei danni derivanti dal suo comportamento che può essere stato negligente, imperito, imprudente. La conseguenza di questi atteggiamenti è il sorgere della colpa professionale che consiste nell’aver seguito delle regole di condotta che non rientrano nei doveri di diligenza ai quali è tenuto ad uniformarsi.

Per il semplice fatto di aver adottato un comportamento colpevole, in quanto non ha applicato in modo adeguato le regole fornite dalla tecnica o non ha prestato l’attenzione richiesta dall’attività svolta, il professionista deve considerarsi responsabile. Per limitare il campo di responsabilità del prestatore d’opera intellettuale è stato introdotto il concetto di errore professionale che indica un comportamento diverso da quello che avrebbe richiesto la situazione considerata ma che non è colposo. L’errore professionale si identifica quindi con un comportamento non adatto alla situazione concreta, posto in essere da un professionista che abbia agito diligentemente, nel rispetto delle conoscenze del professionista medio appartenente a quella categoria e delle informazioni a lui note nel momento della redazione della relazione finale, ma non conforme alle tecniche diffuse nella pratica e agli aggiornamenti della scienza. Tale comportamento può essere sintetizzato come un’attività tecnicamente sbagliata ma non colposa che è causa del mancato raggiungimento dell’obiettivo posto dal cliente. Perché si possa affermare la responsabilità del professionista è necessario che oltre ad accertare l’esistenza dell’errore, si riesca a dimostrare che questo è dovuto ad incuria o da incapacità del soggetto incaricato. L’esclusione della responsabilità non si ha quando il comportamento del professionista risulta incompatibile con il minimo di cultura e di esperienza che deve avere un soggetto abilitato all’esercizio di una data professione. L’errore professionale non può considerarsi scusabile per il fatto che deriva da un’opinione personale espressa in buona fede, ma occorre che tale opinione trovi sostegno nella difficile e controversa interpretazione delle regole che devono essere applicate nello svolgimento dell’attività commissionata. Ciò significa che devono esistere delle condizioni oggettive idonee ad indurre in errore il professionista e tali da escludere che abbia agito con superficialità o trascuratezza.

In relazione a quanto appena esposto si può osservare che la responsabilità del professionista è esclusa quando l’errore professionale si presenta come errore scusabile cioè inevitabile con l’uso della diligenza media del professionista appartenente ad una precisa categoria professionale. A questo si contrappone l’errore inescusabile, che si sarebbe potuto evitare con l’utilizzo della diligenza richiesta e che deriva dalla mancanza di cultura e di esperienza in quel particolare settore di attività.

L’attenuazione della responsabilità del professionista ex art. 2236 c.c

L’art. 2236 c.c. disciplina la responsabilità del prestatore d’opera e prevede che se la prestazione implica la soluzione di problemi tecnici di speciale difficoltà, il prestatore non risponde dei danni se non in caso di dolo o di colpa grave. Per quanto riguarda l’individuazione dei problemi tecnici di speciale difficoltà si deve fare riferimento a quelle situazioni in cui la soluzione presuppone un insieme di conoscenze e di esperienze che vanno oltre rispetto al normale bagaglio che deve possedere un buon professionista appartenente ad una determinata categoria. Inoltre, in questa fattispecie devono essere compresi quei problemi per i quali la prassi suggerisce due o più soluzioni, con uguali possibilità di risultati. La valutazione dell’inadempimento in relazione a tale fattispecie comporta che l’errore possa essere considerato rilevante solo quando è riconducibile al dolo o alla colpa grave. Tale limitazione trova la sua giustificazione nella necessità di garantire al professionista intellettuale un margine di discrezionalità insito nella natura stessa della prestazione e che comporta un rischio per il cliente che gli affida la tutela dei propri beni primari. L’articolo in questione non deve essere considerato in contrapposizione agli artt. 1176 e 1218 c.c., che contengono la disciplina generale in materia di diligenza dell’adempimento e di responsabilità del debitore, in quanto l’art. 2236 c.c. deve essere applicato solo alle situazioni previste, cioè ai casi in cui sia richiesta la soluzione di problemi tecnici di particolare difficoltà e non costituisce il criterio generale in materia di responsabilità per i prestatori d’opera intellettuale.

In base agli articoli considerati, si può rilevare che il professionista deve rispondere dei danni arrecati al cliente nei limite della colpa in relazione alla quale deve essere considerata l’incidenza dell’errore professionale da valutarsi rispetto al tipo di prestazione richiesta. Nel caso in cui lo svolgimento dell’attività commissionata al prestatore d’opera richieda la soluzione di problemi tecnici di particolare difficoltà, il professionista risponde solo nelle ipotesi in cui si può dimostrare che ha agito con dolo o con colpa grave.

La colpa grave può essere riscontrata tutte le volte in cui il professionista ha tenuto un

comportamento inadeguato rispetto alla prestazione richiesta, da valutarsi in relazione ad ogni singola situazione. Questa condotta comprende gli errori non scusabili, l’ignoranza incompatibile con la preparazione richiesta per l’esercizio di una data professione o che la notorietà del prestatore d’opera lascia intendere, le imprudenze compiute nello svolgimento dell’attività che dimostrino disinteresse per i beni primari del cliente. La colpa grave prevista dall’art. 2236 c.c. può essere assimilata alla colpa lieve, alla quale deve essere posto il vincolo derivante dalla difficoltà dell’attività che deve essere svolta dal professionista.

La limitazione della responsabilità si ha anche quando la prestazione richiesta al professionista non è ancora stata adeguatamente studiata dalla scienza o dibattuta nei convegni organizzati dalla sua categoria di professionisti oppure le tecniche disponibili comportano la sopportazione di rischi equiparabili in capo al cliente. L’art. 2236 c.c. prevede quindi che il comportamento del professionista debba essere valutato con minore rigore, ai fini della determinazione del corretto adempimento, quando la prestazione cui è tenuto abbia ad oggetto la soluzione di problemi di speciale difficoltà.

L’onere della prova

L’onere di provare la responsabilità del prestatore d’opera intellettuale spetta al cliente che, in relazione alla classificazione delle prestazioni intellettuali come obbligazioni di mezzi e non di risultato, deve dimostrare non solo l’esistenza di un concreto danno patrimoniale, ma deve anche provare il nesso causale tra il danno subito e il comportamento insufficiente o inadeguato del professionista rispetto all’obbligazione assunta, cioè la difettosa esecuzione della prestazione. Il cliente deve quindi fornire la prova attraverso l’indicazione di dati obiettivi, in base ai quali il giudice valuterà se, in relazione alla natura del caso concreto, fossero sufficienti una preparazione professionale media e una diligenza media nell’esercizio dell’attività professionale, nel qual caso basterà individuare una colpa lieve del professionista al fine di poterlo dichiarare responsabile, o se fosse richiesto un impegno professionale di livello superiore, il che implicherebbe l’applicazione dei limiti previsti dall’art. 2236 c.c.. Il professionista dovrà dimostrare che l’inadempimento del contratto è dipeso da cause a lui non imputabili. Ai fini della dimostrazione della responsabilità del professionista si deve ricordare che questo risponde anche per colpa lieve in relazione all’art. 1176 c.c., a meno che la prestazione dovuta non richieda la soluzione di problemi tecnici di particolare difficoltà, nel qual caso, in base all’art. 2236 c.c., risponde solo nei casi di dolo e colpa grave.

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