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L'accertamento in rettifica delle perdite fiscali

di Giuseppe Rebecca e Maurizio Zanni
Il Fisco, N. 20 - 17 maggio 2010 

Negli ultimi anni, l’Agenzia delle Entrate ha inasprito le attività di controllo e accertamen­to nei confronti dei contribuenti che hanno dichiarato perdite fiscali per più annualità. In questo articolo analizziamo le conseguen­ze, sul piano sanzionatone, dell’esposizione in dichiarazione di perdite fiscali superiori a quel­le effettive, nonché i termini a disposizione degli uffici finanziari per rettificare le perdite fiscali eventualmente non spettanti.

1. L’attività di controllo sulle perdite fiscali

1.1. La reiterata dichiarazione di perdite quale indice di evasione d’imposta

Considerato che l’obbiettivo di un’impresa com­merciale è, in generale, la massimizzazione del profitto economico, le imprese che chiudono più esercizi in perdita fiscale rappresentano delle posizioni quantomeno anomale e, perciò, “sospette” agli occhi del Fisco, anche se, in un contesto di grave crisi economico-finanziaria co­me quello attuale, cresce la probabilità per le a­ziende di soffrire realmente di risultati redditua­li di segno negativo.

La diffidenza del Fisco nei confronti della reite­rata dichiarazione di perdite emerge con chia­rezza dalla lettura di alcune recenti circolari dell’Agenzia delle Entrate recanti gli indirizzi opera­tivi per lo sviluppo dell’attività di prevenzione e contrasto all’evasione fiscale. Nello specifico, ci riferiamo:

• alla circ. n. 13/E del 9 aprile 2009,[1] in cui, con riferimento alle imprese di minori dimensio­ni [2] e ai lavoratori autonomi, l’Amministrazio­ne finanziaria ha individuato nella presenza di perdite fiscali dichiarate per più annualità uno dei maggiori indicatori di rischio di evasione, da utilizzarsi, perciò, ai fini della selezione delle posizioni da sottoporre a veri­fica nel corso del 2009;

• alla circ. n. 20/E del 16 aprile 2010,[3] nella qua­le, con riguardo alla categoria dei cosiddetti “grandi contribuenti”,[4] l’Agenzia delle Entrate ha sottolineato come, ai fini dell’individuazio­ne delle posizioni da controllare tramite atti­vità istruttorie esterne, particolare attenzione debba essere rivolta dagli uffici finanziari alla “genesi di perdite fiscali, in quanto le stes­se potrebbero rappresentare indicatori sin­tetici dell’avvenuta attuazione di schemi di pianificazione fiscale aggressiva”.

È bene, inoltre, rammentare che, anche secondo la Corte di Cassazione,[5] la circostanza che un’im­presa dichiari, per diversi anni di seguito, rilevanti perdite fiscali rappresenta una condotta com­merciale anomala, in contrasto con i principi di ragionevolezza, anche sotto il profilo dell’antieconomicità del comportamento, idonea a giustifi­care da parte dell’Amministrazione finanziaria una rettifica della dichiarazione dei redditi, secondo il metodo induttivo, a meno che l’im­presa non dimostri concretamente l’effettiva sus­sistenza delle perdite fiscali dichiarate.

1.2. I controlli sull’entità e sulla natura delle perdite

Gli uffici finanziari controllano la reale esisten­za e consistenza delle perdite fiscali riportabili, al fine di individuare eventuali utilizzi di per­dite fittizie, cioè ottenute deducendo spese ine­sistenti, od omettendo la contabilizzazione di ri­cavi, oppure ricorrendo a qualche alchimia con­tabile.

I controlli sull’esatta quantificazione delle per­dite dichiarate possono, inoltre, riguardare l’osser­vanza delle disposizioni di legge che prevedono una riduzione dell’ammontare delle perdite stesse, laddove l’impresa abbia conseguito proventi esenti da imposta [6] o si avvalga di regimi di esenzione de­gli utili, ovvero eserciti attività che fruiscono della parziale o totale detassazione del reddito.[7] L’Amministrazione finanziaria verifica, poi, che l’utilizzo delle perdite fiscali sia avvenuto in con­formità alle regole previste dagli artt. 8 e 84 del Tuir ed, in particolare, che siano stati rispettati dal contribuente i vincoli temporali cui è sog­getta la ricuperabilità delle perdite pregresse. [8] A questo proposito, va ricordato che, al fine di mantenere memoria delle perdite non compen­sate, è prevista la compilazione di un apposito prospetto nella dichiarazione dei redditi,[9] in cui il contribuente deve indicare separatamente le perdite riportabili senza limiti di tempo da quelle soggette, invece, al vincolo quinquennale, distinguendo quest’ultime in base al rispettivo anno di formazione.

Occorre dire, peraltro, che la compilazione di ta­le prospetto, secondo l’opinione dell’Ammini­strazione finanziaria, [10] non può essere conside­rata una condizione necessaria ai fini della recuperabilità delle perdite.

Ciò significa che il contribuente che si dimentica di indicare, nel prospetto in parola, le perdite non compensate non decade dal diritto al ri­porto delle stesse, ma incorre semplicemente in una violazione formale, per la quale l’Agenzia delle Entrate potrebbe applicare la sanzione am­ministrativa da euro 258 a euro 2.065, prevista dall’art. 8, comma 1, del D.Lgs. 18 dicembre 1997, n. 471.

Infine, con riguardo alle perdite relative ai primi tre esercizi dell’impresa, che siano state qualifica­te in dichiarazione come illimitatamente ripor­tabili, è plausibile che gli organi verificatori vada­no ad accertare se tali perdite si riferiscano effetti­vamente a una nuova iniziativa produttiva, es­sendo questa una condizione oggettiva imprescin­dibile ai fini del riporto illimitato delle perdite.

I principali controlli del Fisco sulle perdite

Controlli relativi all’entità delle perdite

Verifiche volte ad accertare:

• la reale esistenza e consistenza delle perdite dichiarate, attraverso un esame analitico dei documenti e delle scritture contabili;

• l’applicazione delle disposizioni che prevedono una riduzione delle perdite riportabili, in presenza di proventi esenti o di regimi di detassazione degli utili o del reddito.

Controlli relativi al riporto delle perdite

Verifiche volte ad accertare:

• l’osservanza delle regole di compensazione, ex artt. 8 e 84 del Tuir e, in particolare, del vincolo quinquennale al riporto;

• l’effettiva sussistenza delle condizioni previste per il riporto illimitato.

2. Le sanzioni relative all’accertamento in rettifica delle perdite fiscali

La normativa sulle sanzioni amministrative per violazioni in materia di imposte dirette, conte­nuta nel D.Lgs. 18 dicembre 1997, n. 471, non indica espressamente le conseguenze, sotto il profilo sanzionatone della dichiarazione di perdite maggiori di quelle accertate. Non sembra, infatti, corretto ricondurre tale vio­lazione tributaria alla fattispecie della presenta­zione di dichiarazione infedele, delineata dal­l’art. 1, comma 2, del decreto sopra menzionato, il quale sanziona soltanto il contribuente che ab­bia indicato in dichiarazione “un reddito impo­nibile inferiore a quello accertato, o, comunque, un’imposta inferiore a quella dovuta o un credi­to superiore a quello spettante”. Peraltro, laddove si volesse forzare il testo di tale norma per ricomprendere, nel suo ambito ogget­tivo di applicazione, anche l’ipotesi, qui in esa­me, della rettifica in diminuzione della perdita fiscale, saremmo in presenza di una violazione di fatto non sanzionabile, atteso che la base di commisurazione della sanzione per infedele di­chiarazione dei redditi è rappresentata dalla maggiore imposta dovuta o dal minor credito spettante a seguito dell’accertamento. È, infatti, evidente che, nel caso di accertamento in rettifica della perdita fiscale dichiarata, si ha evasione d’imposta soltanto se detta perdita sia stata riportata a nuovo e utilizzata per compen­sare i redditi imponibili dei periodi di imposta successivi a quello della sua formazione.

In sostanza, in presenza di perdite fiscali, la par­tita con il Fisco si gioca “a valle”, quando, cioè, le perdite sono utilizzate per ridurre il carico fi­scale degli esercizi successivi a quello in cui so­no state realizzate e non, invece, quando esse sono meramente dichiarate e riportate a nuovo. È, quindi, da ritenersi che la sanzione per infe­dele dichiarazione dei redditi, prevista dal citato art. 1, comma 2, del D.Lgs. n. 471/1997, debba essere applicata con riguardo alla presentazione della o delle dichiarazioni in cui è avvenuta la compensazione della perdita oggetto di rettifica, mentre con riferimento alla dichiarazione in cui la perdita stessa è stata esposta,( l’Agenzia delle Entrate potrebbe applicare la sanzione per di­chiarazione inesatta, prevista dall’art. 8, comma 1, del decreto testé citato.[11]

Va, infine, osservato che, laddove, invece, per ef­fetto dei rilievi formulati dall’Ufficio, l’impresa dovesse passare, con riferimento all’annualità oggetto di accertamento, da una situazione di perdita fiscale a una di reddito imponibile, si renderà applicabile la sanzione amministrativa per infedele dichiarazione dei redditi con riferi­mento alla dichiarazione in cui è stata indicata la perdita accertata.

L’accertamento dovrà, inoltre, essere esteso alla o alle annualità in cui la perdita inesistente e, per questo, annullata dall’Ufficio, sia stata even­tualmente utilizzata in compensazione.

Le sanzioni amministrative correlate all’accertamento in rettifica delle perdite fiscali

Fattispecie

Sanzioni applicabili

Accertamento di una perdita in­feriore a quella dichiarata dal contribuente

Perdita non utilizzata in compensazione

• sanzione da euro 258 a euro 2.065 per dichiarazione inesatta (art. 8, comma 1, del D.Lgs. n. 471/1997)

Perdita utilizzata in compensazione

• sanzione da euro 258 a euro 2.065 con riferimento alla dichiarazione in cui la perdita eccedente è stata indica­ta (art. 8, comma 1, del D.Lgs. n. 471/1997)

• sanzione dal 100 al 200% della maggiore imposta do­vuta o della differenza del credito con riferimento al­la o alle dichiarazioni in cui la perdita è stata utilizza­ta (art. 1, comma 2, del D.Lgs. n. 471/1997)

Accertamento di un reddito im­ponibile con riferimento ad una annualità per la quale è stata dichiarata una perdita

Perdita non utilizzata in compensazione

• sanzione dal 100 al 200% della maggiore imposta do­vuta o della differenza del credito con riferimento alla dichiarazione in cui la perdita inesistente è stata di­chiarata (art. 1, comma 2, del D.Lgs. n. 471/1997)

Perdita utilizzata in compensazione

• sanzione dal 100 al 200% della maggiore imposta do­vuta o della differenza del credito con riferimento alla dichiarazione in cui la perdita inesistente è stata di­chiarata e alla o alle dichiarazioni in cui la perdita stessa è stata utilizzata (art. 1, comma 2, del D.Lgs. n. 471/1997).


3. I termini per l’accertamento delle perdite fiscali

È necessario verificare entro quali termini

l’Amministrazione finanziaria può effettuare ac­certamenti sulle perdite fiscali oggetto di com­pensazione.

Al riguardo, si segnala che, secondo alcuni uffici dell’Agenzia delle Entrate, sarebbe legittimo pro­cedere alla rettifica dell’utilizzo di perdite fi­scali non spettanti, anche qualora le stesse si ri­feriscano a periodi di imposta non più accertabili; ciò in quanto, ai fini della decorrenza dei termi­ni per l’accertamento, previsti dall’art. 43 del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, rileverebbe l’an­no di utilizzo in compensazione delle perdite fiscali e non quello della loro formazione. A sostegno di tale tesi, viene addotta la circostan­za che la perdita fiscale dichiarata non può inci­dere sul debito d’imposta fintantoché non vie­ne portata in diminuzione di redditi imponibili. Quanto affermato dall’Agenzia delle Entrate non ci sembra tuttavia corretto.

Anzitutto, si deve osservare che il citato art. 43, nel prevedere i termini di decadenza dell’attività di accertamento, non distingue l’ipotesi in cui la rettifica dell’Ufficio abbia per oggetto una perdi­ta fiscale da quella in cui la rettifica riguardi, in­vece, un reddito imponibile. Inoltre, va rilevato che la tesi sostenuta dall’Am­ministrazione finanziaria è in evidente contrasto con le esigenze di stabilità e di rapidità nella de­finizione dei rapporti tributari, atteso che essa implica una inammissibile dilatazione dei termini ordinari per l’accertamento, che ri­sulterebbero di fatto più che raddoppiati, laddo­ve la perdita fosse utilizzata nell’ultimo anno del quinquennio di riportabilità della stessa. Nel caso di utilizzo di perdite illimitatamente riportabili, si arriverebbe, addirittura, alla con­seguenza assurda di dover riconoscere all’Ammi­nistrazione finanziaria un potere di accertamen­to di durata illimitata.

Il contribuente potrebbe essere costretto a di­fendersi in relazione a periodi di imposta assai risalenti, atteso che la contestazione in ordine alla consistenza della perdita implica necessaria­mente una rettifica delle poste che l’hanno de­terminata.

Sulla scorta delle considerazioni sopra esposte, si deve, perciò, ritenere che il termine per l’ac­certamento in rettifica di una perdita fi­scale non possa che decorrere dalla presenta­zione della dichiarazione in cui la perdita stessa è stata quantificata e qualificata come limitata­mente o illimitatamente riportabile. Il momento di utilizzo in compensazione della perdita è, invece, rilevante ai fini del recupero della maggiore imposta dovuta e dell’applica­zione della sanzione per infedele dichiara­zione, ma per poter rettificare la dichiarazione interessata dall’utilizzo della perdita oggetto di riporto non deve risultare già prescritto il perio­do d’imposta in cui la perdita stessa è stata ge­nerata.

Nel senso che le perdite fiscali vanno contestate da quando sono state dichiarate, e non con de­correnza successiva, si è espressa la Commissio­ne tributaria regionale del Veneto, Sezione VI, nella sent. n. 18 del 12 giugno 2007. La Commissione ha, infatti, accolto il ricorso in appello di un contribuente che aveva sollevato l’eccezione di intervenuta decadenza dei termini di accertamento in relazione a un avviso di retti­fica, con cui l’Agenzia delle Entrate aveva prov­veduto a disconoscere, nel 2005, una perdita fi­scale risalente al 1996, perché generata intera­mente da proventi esenti da imposta, e a recupe­rare, per l’anno 2001, un reddito imponibile az­zerato grazie all’utilizzo di detta perdita. I giudici di appello hanno evidenziato che, dal 1° gennaio 2003, l’Amministrazione finanziaria non poteva più fare accertamenti sulla perdita del­l’anno 1996 e che, quindi, l’Ufficio era intervenu­to su un esercizio (il 2001) che poteva ancora es­sere accertato, rettificando, però, una perdita già divenuta definitiva nell’anno in cui è stato emes­so l’avviso di accertamento, cioè il 2005. L’Ufficio dell’Agenzia delle Entrate aveva affer­mato, nella fattispecie, che l’accertamento in ret­tifica era possibile con riferimento all’utilizzo, e non alla formazione della perdita, in quanto ve­niva contestata solo la qualificazione della perdi­ta come riportabile, non la sua entità. Peraltro, come è stato correttamente osservato nella sentenza dei giudici di 2° grado, la quantifi­cazione e la qualificazione della perdita come ri­portabile rappresentano due momenti imprescin­dibili e strettamente consequenziali fra loro, i qua­li non possono assolutamente essere distinti. Riportare negli esercizi successivi una perdita significa stabilirne l’entità e, al tempo stesso, ri­conoscerne la natura di perdita limitatamente o illimitatamente riportabile. Di conseguenza i termini per l’accertamento del­la consistenza e della riportabilità della perdita non possono che essere gli stessi.

La rettifica di una perdita utilizzata in compen­sazione non può prescindere dalla verifica di quei dati, relativi all’esercizio di realizzazione della perdita stessa, che hanno rilevato ai fini della sua quantificazione, come, ad esempio, il conseguimento di proventi esenti, che, in base all’art. 84 del Tuir, vanno a diminuire la perdita riportabile.

Laddove, quindi, non sia possibile contestare l’en­tità della perdita fiscale compensata, per interve­nuta decadenza dei termini per l’accertamento del periodo d’imposta in cui la perdita stessa è stata prodotta, si dovrà ritenere egualmente decaduta anche l’azione di accertamento per attribuire alla perdita una natura diversa (ossia di perdita non riportabile) rispetto a quella indicata in dichiara­zione.

Se da un lato la tesi sostenuta dall’Amministrazio­ne finanziaria non può, per le ragioni sopra dette, essere accolta, dall’altro non si può fare a meno di rilevare come la disciplina in esame si possa pre­stare, almeno in astratto, a dei comportamenti scorretti da parte del contribuente. Alludiamo, nello specifico, alla dichiarazione di perdite fiscali non reali e al loro utilizzo in anni in cui le stesse non sono più accertabili. Le conseguenze sanzionatone di tale com­portamento, alla luce di quanto detto in prece­denza, appaiono piuttosto limitate. Infatti, ove la perdita dichiarata in misura supe­riore a quella effettiva dovesse essere rettificata dall’Ufficio, prima di un suo utilizzo in compen­sazione, non si renderebbe applicabile alcuna sanzione per violazioni sostanziali, ma, semmai, soltanto quella fissa da euro 258 a euro 2.065, prevista per le dichiarazioni irregolari. Va, peraltro, osservato che le compensazioni di perdite fiscali oltre il periodo di accettabilità delle stesse non sono, in realtà, molto frequenti. Ciò è dovuto al fatto che il contribuente non può scegliere l’esercizio in cui compensare le perdite

pregresse, essendo previsto che, in presenza di redditi imponibili, le perdite disponibili debbano essere necessariamente utilizzate per l’intero im­porto che trova capienza in essi. Salvo, quindi, le situazioni di perdite protrattesi per più anni - che, comunque, sono sotto i riflet­tori del Fisco - è difficile che l’utilizzo della per­dita avvenga a distanza di molti anni dalla sua formazione.

4. Conclusioni

I controlli degli uffici finanziari sulla consisten­za e sulla riportabilità (limitata o illimitata) delle perdite fiscali devono essere effettuati entro il termine del 31 dicembre del quarto an­no successivo a quello in cui le perdite stesse sono state dichiarate dal contribuente, a nulla ri­levando, sotto il profilo della decorrenza dei ter­mini per l’accertamento, il momento di utilizzo delle perdite.

Nel caso in cui, entro il suddetto termine, non sia pervenuto alcun accertamento, la perdita fi­scale dichiarata diventa definitiva e il Fisco non può più contestarne l’utilizzo.

La compensazione delle perdite con i redditi im­ponibili assume, invece, rilevanza ai fini della determinazione delle maggiori imposte dovute e delle correlate sanzioni amministrative. Si ritiene che la dichiarazione di perdite ecce­denti quelle effettive possa configurare:

• la violazione formale di dichiarazione irre­golare, ex art. 8, comma 1, del D.Lgs. n. 471/1997, con riferimento alla dichiarazione in cui la perdita è stata esposta;

• la violazione sostanziale di infedele dichia­razione, ex art. 1, comma 2, del decreto ap­pena citato, con riguardo alla o alle dichiara­zioni in cui la perdita rettificata è stata com­putata in diminuzione di redditi imponibili.



[1] In banca dati “fisconline”.

[2] Si tratta delle imprese con volume d’affari Iva o di ricavi dichiarati non superiore a 5.164.568 euro.

[3] In banca dati “fisconline”.

[4] Sono i soggetti che hanno conseguito un volume d’affari Iva o di ricavi dichiarati non inferiore a 200 milioni di euro.

[5] Si veda la sent. 2 ottobre 2008, n. 24436, in banca dati “fisconline”.

[6] Si vedano gli artt. 56, comma 2, e 84, comma 1, del Tuir.

[7] Si vedano gli artt. 83, comma 1, e 84, comma 1, del Tuir.

[8] Per un esame delle regole di utilizzo e di riporto delle per­dite fiscali, si veda M. Zanni-G. Rebecca, L’utilizzo delle perdite fiscali: la disciplina generale, in “il fisco” n. 15/2010, fascicolo n. 1, pag. 2290.

[9] Il prospetto delle perdite è contenuto nel quadro RS del Modello UNICO 2010.

[10] Si veda la ris. 5 novembre 1976, n. 1429 - Min. finanze -Imposte dirette, in banca dati “fisconline”.

[11] In tal senso, R. Fanelli, Sanzioni fiscali, previdenziali e so­cietarie, Ipsoa, 2008, pag. 159.

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