Vicenza, Domenica 28 Aprile 2024

>> Anno 2012

Tesi di laurea: Leasing, risoluzione di diritto e azione revocatoria

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di Amedeo Albè
Concorso Premio OCI - Osservatorio sulle crisi di impresa per laureati con tesi sulle discipline concorsuali della crisi d'impresa, elaborato arrivato tra le quattordici tesi finaliste.

Il contratto di leasing è un contratto atipico riconducibile alla libertà contrattuale sancita dall'art. 1322 cod. civ.. Esso infatti deriva dall'esperienza anglosassone e ha avuto in Italia una notevolissima espansione, pur non avendo finora formato oggetto di una specifica disciplina. La dottrina più autorevole qualifica infatti questo negozio come "contratto atipico ma socialmente tipico" in considerazione della grande diffusione nella pratica commerciale.

La Suprema Corte così ne definisce l'essenza "... una parte concede all'altra il godimento di un bene dietro corresponsione di un canone periodico determinato; al termine del periodo di godimento è previsto, in via alternativa e a favore della parte che ha ricevuto il godimento, la restituzione del bene o l'acquisto di esso per una somma residua predeterminata.

La dottrina ha nel tempo ravvisato la sua assimilabilità alla locazione, o comunque ai contratti di durata, oppure alla vendita con riserva di proprietà con corrispondente applicazione analogica in caso di risoluzione, rispettivamente, del regime di cui all'art. 1458 cod. civ. , ovvero dell'art. 1526 cod. civ. Le motivazioni che portano ad assimilare tale contratto a quello di locazione si possono riassumere nell'obbligazione di godimento per un determinato arco di tempo di un bene contro il versamento di un corrispettivo. Le argomentazioni a favore della vendita con riserva di proprietà sono riconducibili al fatto che il rischio e le spese di manutenzione sono addossati all'utilizzatore fin dall'inizio del rapporto e che la somma normalmente prevista a titolo di riscatto è talmente esigua da far ritenere che i precedenti canoni versati in corso di contratto siano in realtà delle vere e proprie rate di prezzo.

In merito alla scelta tra le due diverse figure, la Suprema Corte è giunta a distinguere l'ipotesi di finanziamento a scopo di godimento, ed. "leasing di godimento", da quella preordinata al trasferimento, ed. "leasing traslativo".

Il primo leasing ha per oggetto un bene a rapida obsolescenza, rispetto al quale l'interesse dell'utilizzatore verso il bene si esaurisce, di solito, con il consumarsi del periodo contrattualmente stabilito per il godimento e quindi tale bene non verrà riscattato perché ha perso la sua utilità o comunque verrà riscattato ad un prezzo molto esiguo, di regola corrispondente al valore venale del bene al termine del rapporto: ad esso si applica l'art. 1458 cod. civ.

Nel leasing traslativo, invece, il bene oggetto del contratto conserva un valore residuo elevato e comunque superiore alla somma richiesta quale diritto di opzione e i canoni scontano anche una quota di prezzo in previsione del successivo acquisto; per tale ragione quindi, il godimento del bene è strumentale rispetto a quella principale del trasferimento della proprietà: ad esso si applica l'art. 1526 cod. civ. Il concedente, pertanto, nell'ipotesi di risoluzione per inadempimento del contratto di locazione finanziaria, deve restituire i canoni percepiti durante l'esecuzione del contratto, ma ha diritto ad un "equo compenso" per l'uso della cosa da parte dell'utilizzatore , oltre al risarcimento del danno.

Questa tesi ha il principale fine di approfondire la materia della revocatoria fallimentare avente ad oggetto un atto di risoluzione di diritto di un contratto di locazione finanziaria avvenuto prima della dichiarazione di fallimento della società utilizzatrice.

In via preliminare, verranno analizzati sinteticamente i concetti di risoluzione del contratto e di revocatoria fallimentare, per poi addentrarsi più analiticamente nell'argomento oggetto del presente studio.

La risoluzione di un contratto viene generalmente definita dalla dottrina come un'anomalia sopravvenuta nella corrispettività. Il contratto nasce infatti valido ed efficace, ma per motivi sopravvenuti diviene invalido e/o inefficace.


Il codice civile disciplina tre tipologie di risoluzione: per impossibilità sopravvenuta, per eccessiva onerosità e per inadempimento (che statisticamente è l'ipotesi più ricorrente). In quest'ultimo caso, in seguito all'inadempimento di una parte, la parte non inadempiente può scegliere se mantenere in vita il contratto e di conseguenza pretendere l'adempimento, oppure chiedere la risoluzione del contratto.

La risoluzione del contratto può avvenire non soltanto per effetto di una sentenza del giudice (avente natura costitutiva), ma può anche essere consensuale o di diritto (ed. risoluzione automatica), in tre casi espressamente regolati dal codice civile: in seguito alla comunicazione di una "diffida ad adempiere"

rimasta senza effetto ai sensi dell'art. 1454 cod. civ. ; in seguito a un'intimazione in base a "clausola risolutiva espressa" ai sensi dell'art. 1456 cod. civ. ; o in seguito alla scadenza del "termine essenziale" ai sensi dell'art. 1457 cod. civ..

La diffida ad adempiere consiste in una dichiarazione scritta, con la quale si intima al contraente inadempiente di provvedere all'adempimento entro un termine congruo (di regola non inferiore a 15 giorni) con espressa avvertenza che, ove il termine fissato dovesse decorrere senza che si faccia luogo all'adempimento, il contratto, a partire da quel momento, si intenderà senz'altro risolto.

Nella clausola risolutiva espressa, invece, le parti prevedono espressamente che il contratto dovrà considerarsi automaticamente risolto qualora una determinata obbligazione non venga adempiuta affatto o comunque non venga eseguita rispettando le modalità pattuite. Quando in un contratto figura una tale clausola, la risoluzione in caso di inadempienza si ha quando la parte non inadempiente comunica all'altra parte l'intenzione di avvalersi della clausola risolutiva, e non in maniera automatica (e infatti si dice recettizio). La parte inadempiente infatti ha il diritto di scegliere tra la manutenzione del contratto e la sua risoluzione. Un'offerta di adempimento tardivo a seguito della comunicazione può essere legittimamente rifiutata dal contraente che ha scelto la risoluzione, il quale peraltro non potrebbe più cambiare la sua decisione e tornare a pretendere la manutenzione del contratto.

Il termine per l'adempimento di una prestazione si dice essenziale quando la prestazione diventa inutile per il creditore, qualora non venga eseguita entro il termine stabilito. In questo caso l'inadempimento determina la risoluzione del contratto senza bisogno di alcuna dichiarazione da parte della parte non inadempiente, a meno che quest'ultimo non voglia mantenere in vita il contratto accettando un adempimento tardivo, comunicando tale scelta entro tre giorni dalla scadenza del termine rimasto inosservato.

AZIONE REVOCATORIA EX ART. 67 L. FALL.

Il fallimento è una procedura concorsuale diretta all'accertamento dello stato d'insolvenza di un imprenditore che esercita attività commerciale e al conseguente accertamento dei crediti e dei debiti per procedere alla sua liquidazione secondo il principio della par condicio creditorum.

Nell'attivo fallimentare rientrano non soltanto i beni appartenenti al debitore al momento della dichiarazione di fallimento, ma anche quelli sopravvenuti e quelli che hanno cessato di appartenergli anteriormente alla dichiarazione di fallimento e che la legge, ricorrendo determinati presupposti, ritiene opportuno ricomprendere fra i beni soggetti all'esecuzione collettiva.

Uno dei rimedi e dei mezzi più efficaci (e di più larga applicazione) per la ricostruzione dell'attivo fallimentare è la revocatoria fallimentare (disciplinata dall'art. 67 1. fall.), la cui finalità è, infatti, quella di ricostruire il patrimonio dell'imprenditore fallito, richiamando in esso beni che ne siano

usciti o espellendo da esso debiti o garanzie che siano venuti a farne parte illegittimamente, con pregiudizio per i creditori. La revocatoria fallimentare è dunque preordinata alla salvaguardia del principio della par condicio creditorum e si fonda sul presupposto che il patrimonio del debitore è destinato a soddisfare alla pari tutti i creditori, fatte salve naturalmente le cause legittime di prelazione (pegno, ipoteca, privilegio).

Per quanto riguarda gli atti sottoposti alla revocatoria fallimentare, il legislatore ha delineato la seguente distinzione per categorie:

a) per gli atti a titolo oneroso, pagamenti di debiti scaduti e garanzie che presentino anormalità tali da far sospettare l'intenzione fraudolenta (es.: dazione di pagamento di un bene notevolmente superiore al debito, vendita di un bene per una somma irrisoria, etc.) ha posto una presunzione di conoscenza dell'insolvenza da parte del terzo se compiuti nell'anno antecedente alla dichiarazione di fallimento, ammettendo tuttavia la possibilità che il terzo acquirente provi di aver ignorato lo stato di insolvenza del debitore nel momento in cui è stato compiuto l'atto ;

b) per gli atti a titolo oneroso, pagamenti e garanzie che non presentino irregolarità ha ammesso la revoca solo se il curatore provi che l'altra parte conosceva lo stato di insolvenza e gli atti stessi siano stati compiuti entro sei mesi dalla dichiarazione di fallimento. "Presupposto soggettivo" dell'azione revocatoria è invece la conoscenza dello stato d'insolvenza da parte del terzo; l'art. 67 1. fall., infatti, non fa alcun cenno all'elemento psicologico del debitore, richiedendo solo, nel terzo contraente, la consapevolezza dello stato di insolvenza del debitore (che si traduce nella conoscenza dell'incapacità del debitore di adempiere regolarmente e con mezzi normali alle proprie obbligazioni). L'art. 67 1. fall, sancisce, per gli atti elencati nel primo comma, una presunzione relativa di conoscenza dell'insolvenza da parte del terzo, salvo il caso in cui il terzo provi la sua inscientia decoctionis, ovvero che "non conosceva lo stato di insolvenza del debitore" , mentre pone a carico del curatore, per le ipotesi previste dal secondo comma, l'onere di provare lo stato soggettivo del terzo {sdentici decoctionis), sempre al momento del compimento dell'atto o del ricevimento del pagamento. Quindi, rispetto alle previsioni del primo comma, vi è l'inversione dell'onere della prova .

La questione di maggior rilievo anche ai fini del presente lavoro consiste nello stabilire se, ai fini della conoscenza dello stato di insolvenza, sia sufficiente la cosiddetta conoscibilità di tale stato oppure se occorra la conoscenza effettiva. Ci si chiede cioè se il terzo debba avere una conoscenza piena o una mera conoscibilità dello stato di insolvenza del debitore. La giurisprudenza prevalente sostiene che la conoscenza dello stato di insolvenza di cui all'art. 67, primo comma, 1. fall., va intesa non tanto come conoscenza effettiva, quanto come "possibilità di conoscere rapportata alla capacità media di apprensione intellettiva " (con riferimento alla qualità delle persone, alle condizioni di tempo e di luogo e tenendo conto di tutti gli elementi di conoscibilità reperibili nella fattispecie); la conoscenza dello stato di insolvenza di cui all'art. 67, comma 2, 1. fall, va intesa, invece, come "conoscenza effettiva" e non come possibilità di conoscere, anche se sul punto si aggiunge che gli elementi di conoscibilità possono essere rappresentati da presunzioni ed indizi gravi, precisi e concordanti in modo tale da fornire la certezza della scientia decoctionis al momento della ricezione dei pagamenti.

Terzo e ultimo presupposto ai fini dell'azione revocatoria è il cosiddetto "presupposto temporale". La legge fallimentare infatti prevede espressamente i termini per la proponibilità dell'azione revocatoria e ne stabilisce la decorrenza a ritroso dalla data di pubblicazione della sentenza dichiarativa di fallimento: gli atti a titolo oneroso che presentino anormalità - ex art. 67, comma 1, 1. fall. - devono essere compiuti entro l'anno precedente alla dichiarazione di fallimento, quegli atti che invece non presentino anormalità - ex art. 67, comma 2,1. fall, e art. 67, comma 1, n. 4, 1. fall. - devono essere compiuti entro sei mesi dalla dichiarazione di fallimento.

La revocatoria fallimentare, infine, deve essere esercitata entro un determinato lasso di tempo previsto dall'art. 69-bis 1. fall., a pena di decadenza. (…)

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