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>> Anno 2013

Anticipo fatture e concordato preventivo

di Giuseppe Rebecca e Amedeo Albè
Il Fallimentarista, 22 maggio 2013

1. Premessa

Il tema riguarda la ricorrente questione della possibilità o meno per l’istituto di credito, credito, pendente la procedura di concordato preventivo, di trattenere le somme riscosse in seguito ad una anticipazione su crediti.

In altre parole, ci si chiede se esista o meno il diritto della banca ad incamerare le somme riscosse e portarle in “compensazione” con quanto precedentemente anticipato anche in base ad un c.d. patto di compensazione.

Si analizzerà dapprima tale aspetto alla luce della nuova disciplina dei rapporti pendenti nel concordato preventivo, introdotta dal DL 83/2012, illustrando gli effetti di un eventuale scioglimento o della prosecuzione dei contratti in essere tra banca e cliente dal punto di vista compensativo.

2. Orientamento post introduzione dell’art. 169-bis I. fall.

Il nuovo articolo 169-bis L.F., introdotto dall’art. 33, comma 1, lett. d) del DL 83/2012, convertito con modificazioni dalla L. n. 134/2012, ha apportato al sistema del concordato preventivo una disciplina dei contratti in corso di esecuzione prima mancante, prevedendo la possibilità per il debitore di chiedere al Tribunale o, dopo il decreto di ammissione ex art. 163 L.F., al Giudice Delegato, di essere autorizzato a sciogliersi dai contratti pendenti alla data di presentazione del ricorso. In questo contesto la nuova norma potrebbe forse evitare che “gli Istituti bancari pongano in compensazione i propri crediti verso la ricorrente con le somme che confluiscono sui conti correnti di riferimento [... ] in considerazione della evidente lesione della par condicio creditorum messa in atto da parte degli istituti di credito [...]”. [1]

Analogamente, “[... ] considerato che la prosecuzione dei contratti in corso con gli istituti di credito determinerebbe pregiudizio in capo ai creditori sociali in quanto le somme incassate dalle banche successivamente alla data di pubblicazione del ricorso di concordato sarebbero trattenute definitivamente dagli istituti in violazione della par condicio creditorum, [... ] valuta pertanto la convenienza allo scioglimento dai contratti con gli istituti bancari”.[2]

Dello stesso avviso anche un recente provvedimento del Tribunale di Piacenza (1 marzo 2013). Ad avviso dei Giudici, la stipula di contratti di anticipazione dei crediti su fattura stipulati con le banche, cui è seguita la trattenuta da parte degli istituti di credito delle somme successivamente versate dai clienti, “costituisce condotta pregiudizievole degli interessi degli altri creditori, in quanto idonea ad alterare la consistenza della massa patrimoniale destinata”, e pertanto viene ordinata la sospensione di tali contratti “con conseguente ordine di mettere immediatamente a disposizione della istante tutte le somme che verranno versate in pagamento a far tempo dal 21 febbraio 2013 (data di presentazione dell’istanza in cui si chiede l’autorizzazione alla sospensione dei contratti di anticipazione dei crediti stipulati con le banche)”.

Di conseguenza, qualora il Tribunale (o il Giudice Delegato) autorizzasse la Società allo scioglimento del contratto con la banca, vi sarebbe il diritto dell’impresa in concordato preventivo di chiedere alla banca la restituzione di quanto dalla stessa eventualmente incassato in epoca successiva alla presentazione della domanda di concordato, nonostante la presenza del c.d. patto di compensazione. Lo scioglimento o la sospensione del contratto, secondo questa interpretazione, priverebbe di efficacia il contratto e, quindi, lo stesso patto di compensazione. Di contrario avviso, però, il Tribunale di Milano, che ha rigettato analoghe istanze reputando che la sospensione abbia un’efficacia necessariamente bilaterale, e dunque che non possa produrre né un effetto favorevole al solo debitore, né il perdurare di obblighi di comportamento solo della banca inerenti alla gestione anche solo conservativa del conto durante il periodo di sospensione, né comunque possa determinare l’inoperatività definitiva della clausola compensativa (con conseguente ipotetica utilità solo provvisoria della cautela), fermo restando che eventuali condotte lesive della par condicio o comunque contrattualmente illegittime (quando cioè si accerti che il patto compensativo non avrebbe potuto né potrebbe operare) potranno essere fatte valere dinanzi al Giudice ordinario o, in caso di eventuale successivo fallimento, dinanzi al Giudice Delegato e al Tribunale fallimentare.

3. Orientamento ante introduzione dell’art. 169-bis I. fall.

I contratti pendenti nel concordato preventivo, secondo la previgente disciplina, proseguivano ex lege, a differenza di quanto disciplinato in ambito fallimentare (ex art. 72 e ss. I. fall.).

Si poneva, quindi, la delicata questione se, in mancanza di una disciplina ad hoc, la presenza di un c.d. patto di compensazione stipulato tra banca e cliente potesse continuare, legittimando così la banca a compensare i propri crediti con quanto riscosso successivamente alla presentazione da parte del cliente della domanda di concordato preventivo. La disciplina della compensazione ex art. 56 I. fall, nel caso in cui il debitore abbia conferito ad una banca un mandato all’incasso di un proprio credito, attribuendole la facoltà di compensare il relativo importo con lo scoperto di un conto corrente da lui intrattenuto con la medesima banca, è comunque tutt’ora dibattuta, sia in giurisprudenza che in dottrina.

Tesi contro la compensazione

A favore della tesi che nega la compensazione si richiama la sentenza della Cassazione n. 10548 del 7 maggio 2009, secondo cui la compensazione non può operare quando i rispettivi crediti non siano entrambi preesistenti all’apertura della procedura concorsuale; tale preesistenza manca però qualora l’incasso del credito da parte della banca mandataria avvenga dopo la presentazione della domanda di concordato, perché, a differenza della cessione del credito, il mandato all’incasso non determina il trasferimento del credito in favore del mandatario, ma l’obbligo di quest’ultimo di restituire al mandante la somma riscossa, e tale obbligo non sorge al momento del conferimento del mandato, ma soltanto all’atto della riscossione del credito.

Di conseguenza, qualora la riscossione del credito avvenga da parte del mandatario dopo la presentazione della domanda di ammissione al concordato preventivo, non sussistono i presupposti per la compensazione e questa non può operare, anche se convenzionalmente pattuita.

II “momento genetico” sembra dunque la chiave per ammettere o meno la compensazione tra crediti e debiti. Nello specifico, nel mandato all’incasso con patto compensativo tale “momento” è da individuarsi nella riscossione delle somme (posteriore alla domanda di ammissione alla procedura di concordato) e non nel momento della stipula del contratto (anteriore a tale domanda).

Va da sé che se le somme fossero incassate dalla banca anteriormente alla domanda di ammissione alla procedura di concordato, queste sarebbero, secondo il citato orientamento, legittimamente compensabili con il credito vantato dalla banca stessa nei confronti del cliente.

Si possono anche citare altre sentenze che, seppur riferite al fallimento, forniscono interessanti spunti sul tema.

L’esigenza, ai fini compensativi, della rilevazione del “momento genetico” dell’obbligazione trova spazio nella sentenza della Cassazione a Sezioni Unite, n. 775 del 16 novembre 1999, secondo cui “La disposizione contenuta nell’art. 56 L.F. rappresenta una deroga al concorso, a favore dei soggetti che si trovino ad essere al contempo creditori e debitori del fallito, non rilevando il momento in cui l’effetto compensativo si produce e ferma restando l’esigenza dell’anteriorità del fatto genetico della situazione giuridica estintiva delle obbligazioni contrapposte [...]”. [3]

Concorde sul punto anche Cassazione n. 18915 del 31 agosto 2010, secondo cui: “La compensazione nel fallimento è ammessa anche quando il controcredito del fallito divenga liquido ed esigibile dopo il fallimento, purché il fatto genetico dell’obbligazione sia anteriore alla dichiarazione di fallimento [...]” e Cassazione n. 10025 del 27 aprile 2010, la cui massima è identica a quella delle Sezioni Unite citata.[4]

Parte della dottrina[5] ha affermato che “in ogni caso [... ] il mandatario non può sottrarsi all’obbligo della restituzione delle somme riscosse dopo l’apertura di una procedura concorsuale, perché la titolarità del credito resta sempre al mandante e dopo l’inizio del concorso collettivo non è più possibile adempiere ad obblighi che incidano sul patrimonio dell’imprenditore”.

Tesi parzialmente favorevole alla compensazione

Vi è un altro filone giurisprudenziale (e dottrinale) che sembra invece non attribuire rilevanza al momento dell’incasso delle somme da parte della banca. Secondo questo orientamento, in presenza di un patto di compensazione la banca può legittimamente compensare le somme incassate con il credito vantato, anche se l’incasso delle somme avviene successivamente alla domanda di ammissione al concordato.

Già con la sentenza n. 6870/1994, la Suprema Corte aveva analizzato un caso di anticipazioni su ricevute bancarie incassate dalla banca dopo il deposito della domanda di concordato preventivo. Nell’occasione, la Corte aveva concluso “per la necessità dì indagare se la banca, incaricata della riscossione, fosse munita di un semplice mandato a riscuotere (comportante l’obbligo di rimettere al cliente quanto incassato a norma dell’art. 1713 c.c.) oppure se, a parte il caso della cessione dei crediti anticipati, la banca medesima potesse comunque vantare, in base al contratto, un diritto ad incamerare le somme riscosse, essendo in tale ipotesi legittimata a compensare il suo debito di riversare le somme al cliente con i crediti vantati verso il medesimo, ancorché sorti prima della domanda di concordato, cioè quando il cliente era in bonis”[6] (sottolineatura nostra). In linea con quanto precedentemente esposto, la Cassazione rileva nel semplice mandato “l’esclusione del diritto della banca di compensare il proprio debito di versamento al cliente delle somme riscosse con il credito da essa vantato verso lo stesso”.

Con successive sentenze,[7] la Cassazione, chiamata a pronunciarsi su fattispecie analoghe alla precedente, fece un passo ulteriore, arrivando a qualificare come “patto di compensazione o, secondo altra definizione, patto di annotazione ed elisione nel conto di partite di segno opposto, la convenzione intercorsa fra la banca ed il cliente allorquando le anticipazioni erano state effettuate”. [8] In altre parole, veniva affermato che se il contratto tra banca ed cliente fosse munito di clausola attributiva del diritto di incamerare le somme riscosse ( c.d. patto di compensazione), ciò consentirebbe alla banca mandataria di legittimamente compensare il suo debito per il versamento al cliente di quanto riscosso con il credito pregresso per le anticipazioni concesse, a nulla rilevando l’anteriorità del credito e la posteriorità del debito rispetto alla procedura.[9]

Di conseguenza, “il debitore assoggettato a concordato [...] rimane, in linea di principio, vincolato dalle obbligazioni contrattuali sorte prima del concordato stesso, salvo che la prosecuzione del rapporto debba considerarsi atto di straordinaria amministrazione, soggetto a debita previa autorizzazione. [... ] Ne consegue l’obbligo per le parti di dare esecuzione integrale al complesso delle clausole pattizie che imprimono un indissolubile vincolo di destinazione alle somme riscosse, esplicantesi mediante un fenomeno “compensativo” [...]”.[10] Parte della dottrina[11] afferma che la giurisprudenza di legittimità “non si è più discostata” da tale impostazione:[12] “Solo in tale ipotesi (esistenza del c.d. patto di compensazione) la banca ha diritto a compensare il suo debito per il versamento al cliente delle somme riscosse con il proprio credito, verso lo stesso cliente, conseguente ad operazioni regolate nel medesimo conto corrente, a nulla rilevando che detto credito sia anteriore alla ammissione alla procedura concorsuale ed il correlativo debito, invece, posteriore, poiché in siffatta ipotesi non può ritenersi operante il principio della “cristallizzazione dei crediti”, con la conseguenza che né l’imprenditore durante l’amministrazione controllata, né il curatore fallimentare -ove alla prima sia conseguito il fallimento - hanno diritto a che la banca riversi in loro favore le somme riscosse”.[13]

Riguardo alla giurisprudenza di merito, una recente sentenza del Tribunale di Bergamo del 22 novembre 2011, ha seguito l’insegnamento tracciato dalla Suprema Corte. Il dibattito tra le parti in causa aveva ad oggetto l’esistenza o meno del patto di compensazione annesso alle operazioni di anticipazione su ricevute bancarie; una volta accertata l’esistenza di quel patto, il Tribunale si è espresso in favore della compensazione, in adesione all’orientamento giurisprudenziale già formatosi al riguardo.[14]

Quest’ultima tesi sembra indirettamente sostenuta anche dai recentissimi precedenti sopra citati del Tribunale di Piacenza, Busto Arsizio e Como. Se viene disposto lo scioglimento (o la sospensione) del contratto per evitare che “gli Istituti bancari pongano in compensazione i propri crediti verso la ricorrente con le somme che confluiscono sui conti correnti di riferimento [... ] in considerazione della evidente lesione della par condicio creditorum messa in atto da parte degli istituti di credito [...]”, appare evidente come tale compensazione sia ammessa, altrimenti non ci sarebbe motivo per richiedere lo scioglimento (o sospensione) del contratto in essere.

SCHEMA RIEPILOGATIVO

Dall’11 settembre 2012

Il novellato art. 169-bis L.F., introdotto dal DL 83/2012, si applica con riferimento alle procedure di concordato preventivo introdotte a partire dall’11 settembre 2012. La possibilità concessa al debitore di chiedere l’autorizzazione al Tribunale (o Giudice Delegato) allo scioglimento (o sospensione) dei contratti pendenti (tra cui quelli stipulati tra banca e debitore con patto di compensazione), potrebbe far venire meno i presupposti per la compensazione dei crediti/debiti della banca. La banca sarebbe dunque obbligata a riversare al debitore le somme riscosse, senza possibilità di compensazione, venendo a mancare il contratto sottostante. Sul punto: Trib. Busto Arsizio, 8.2.2013; Trib. Como, 5.11.2012; Trib. Piacenza, 1.3.2013.

Prima dell’11 settembre 2012

Tesi a favore della compensazione

Tesi contro la compensazione

Viene affermato che se il contratto tra banca e cliente prevede il c.d. patto di compensazione, la banca mandataria sarebbe legittimata a compensare il proprio debito per il versamento al cliente di quanto riscosso con il credito pregresso per anticipazioni concesse, a nulla rilevando l’anteriorità del credito e la posteriorità del debito rispetto alla procedura. A favore della tesi della rilevanza del c.d. “patto di compensazione”, tra la giurisprudenza di legittimità: Cassazione, n. 6870/1994, n. 7194/1997, n. 2539/1998, n. 17999/2011; tra quella di merito: Tribunale di Bergamo, n. 2606 del 22.11.2011, Tribunale di Roma, 21.4.2010. In dottrina: G. Tarzia e V. Cederle,op.cit..

Di contro, si è sostenuto che la chiave per ammettere o meno la compensazione tra crediti e debiti sia da ravvisarsi nel “momento genetico”. Nello specifico (mandato all’incasso con patto compensativo), tale “momento” è da individuarsi con la riscossione delle somme (posteriore alla domanda di ammissione alla procedura di concordato) e non con la stipula del contratto (anteriore a tale domanda). In tal caso, la compensazione non può operare, non essendo i rispettivi crediti entrambi preesistenti all’apertura della procedura concorsuale. A favore della tesi della rilevanza del “momento genetico”, tra la giurisprudenza di legittimità: Cassazione, n. 18915/2010, n. 10025/2010, n. 10548/2009, n. 14067/2008, n. 13769/2007, Cass. S.U. n. 775/1999.



[1] Trib. Busto Arsizio, 8 febbraio 2013. Con riferimento al concordato con riserva, ex art. 161, comma 6, L.F., cfr. anche Trib. Catanzaro, 23 gennaio 2013 e Trib. Monza, 16 gennaio 2013, recita secondo cui: "Qualora venga proposta domanda di concordato "in bianco", il Tribunale, ove richiesto ai sensi dell'art. 169-bis L.F., può disporre la sospensione dei contratti [... ] di anticipazione bancaria, [... ] allo scopo di evitare che gli istituti di credito possano opporre in compensazione i crediti maturati".

[2] Trib. Como, 5 novembre 2012.

[3] In tema di revocatoria delle rimesse bancarie, la sentenza delle Sezioni Unite viene richiamata da due sentenze del Tribunale di Ferrara, n. 658 e n. 659 del 14 maggio 2012, secondo cui: "La banca potrebbe invero invocare lo scudo della compensazione ex art. 56 legge fallim., ma si osserva come la compensazione presupponga la autonomia dei rapporti cui attengono le poste attive e passive da mettere in compensazione, il che in questo caso non ricorre. La banca ha un credito verso.............e utilizza una somma di spettanza del [medesimo] per soddisfarlo: non esiste alcun debito della banca verso il correntista da compensare". La sentenza mette in rilievo il fatto che il versamento costituisce "una somma pagata da un terzo ed incassata dalla banca", non ravvisando, di conseguenza, la possibilità di compensazione che, come visto nella sentenza delle Sezioni Unite, richiede una corrispettività tra le prestazioni.

[4] La necessità di verificare il "momento genetico" è richiamata anche da Cassazione n. 14067 del 28 maggio 2008, seppur in un contesto differente: "In tema di revocatoria fallimentare, nel caso di costituzione di pegno su libretto di risparmio al portatore a garanzia di un'apertura di credito, con riconoscimento in favore della banca - sulla base di atto non impugnato in sede di revoca - della facoltà di prelevare in qualsiasi momento le somme ivi depositate sino a concorrenza del credito vantato, opera la compensazione di cui all'art. 1853 cod. civ., avendo entrambi i crediti che ne sono oggetto - quello di restituzione delle somme del libretto e quello di rimborso del finanziamento - il fatto genetico della rispettiva situazione giuridica estintiva in data anteriore al fallimento; ne consegue l'infondatezza dell'azione revocatoria dell'atto di realizzazione del pegno".

Si evidenzia anche Cassazione n. 13769 del 12 giugno 2007, secondo cui: "L'art. 56, primo comma, legge fall, che introduce una deroga al principio della concorrenza paritaria dei creditori, consentendo la compensazione tra i debiti verso il fallimento e i crediti sorti nei confronti del fallito, si applica anche alla compensazione giudiziale, quando il fatto genetico del credito opposto in compensazione sia anteriore alla dichiarazione di fallimento, anche se l'accertamento giudiziale relativo alla liquidità di uno dei due crediti sopravvenga successivamente".

[5] G. Lo Cascio, Relazione conclusiva al Convegno: I rapporti giuridici pendenti, in I rapporti giuridici pendenti, a cura di M. Ferro, Milano, 1998, 254.

[6] V. Cederle, Anticipazione di crediti e concordato preventivo: la banca mandataria tra obblighi restitutori e patto di compensazione, in Fall. 2010,1300. Dello stesso avviso G.Tarzia, Operatività del patto di compensazione nel concordato preventivo, ivi, 2012, 586.

[7] Cass. n. 7194/1997 e n. 2539/1998.

[8] G. Tarzia, op. loc. cit.

[9] Cfr. sul punto Arato, I nuovi esoneri da azione revocatoria e responsabilità della banca nei nuovi istituti del preconcordato e del concordato in continuità, Milano, 11 dicembre 2012, 6: "[... ] dopo il deposito della domanda di concordato o di preconcordato la banca non può incassare crediti concorsuali in forza di mandati all'incasso. Diverso è il caso di cessioni di credito oppure di "mandati in rem propriam rafforzati" (con "pactum de compensando")".

[10] V. Cederle, Anticipazione di crediti e concordato preventivo: la banca mandataria tra obblighi restitutori e patto di compensazione, in Fall., 2010, 1300.

[11] G. Tarzia, cit.

[12] Affermazione quanto meno dubbia viste le citate pronunce giurisprudenziali contrarie sul punto.

[13] Cassazione, sentenza n. 17999 del 1 settembre 2011.

[14] Dello stesso avviso il Tribunale di Roma, Sez. X, 21 aprile 2010, dove il giudice rigettava la domanda avanzata dalla procedura di concordato tesa ad ottenere la restituzione degli importi incassati dai terzi debitori.

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