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>> Anno 2013

C'è del grigio nel concordato in bianco

di Giuseppe Rebecca
portale unijuris.it, settembre 2013

Sommario

1) Introduzione; 2) Gli atti; 3) Atti di ordinaria amministrazione; 4) Atti di straordinaria amministrazione; 5) Atti di straordinaria amministrazione non urgenti; 6) Casi di incerta determinazione tra amministrazione ordinaria e straordinaria; 7) I poteri del Tribunale; 8) Atti legalmente compiuti; 9) Il pagamento dei debiti anteriori; 10) Le esenzioni da revocatoria e il concordato in bianco; 11) Revocabilità degli atti non autorizzati; 12) La nuova consecuzione delle procedure e la revocatoria fallimentare; 13) Le nuove prededuzioni; 14) Sospensione e/o scioglimento dei contratti; 15) Conclusioni.

* * *

Introduzione

Un titolo colorito. Come mai? Perché è vero, il concordato può essere anche “in bianco”, ma ci sono particolari problematiche e aspetti informativi, come vedremo, che lo fanno divenire, a nostro avviso del tutto legittimamente, un po’ meno bianco, un po’ più strutturato.

Ed ecco il perché della definizione “concordato in grigio”[i]: non si tratta infatti di un concordato del tutto libero da vincoli, ed era logico che così fosse, pena lo stravolgimento della stessa natura del concordato.

Il cosiddetto “concordato in bianco” o “concordato prenotativo” o “concordato con riserva” o “domanda anticipata di concordato” o anche “pre-concordato” è la nuova fattispecie prevista dall’art. 161, commi 6 e seguenti della legge fallimentare[ii]. Si presenta la domanda di concordato, che è una specie di prenotazione, riservandosi di presentare proposta, piano e documentazione in seguito (o, in alternativa, domanda di omologazione ai sensi dell’art. 182 bis L.F.).

Ci occuperemo specificatamente della fattispecie del concordato in bianco e dei pagamenti e degli atti compiuti post deposito della domanda “prenotativa”, ricordando come ai crediti che ne derivano (se conseguenti ad atti compiuti “legalmente”) spetti la prededucibilità, e agli atti e ai pagamenti legalmente posti in essere nel periodo la non revocabilità.

In base ai richiamati commi dell’articolo 161 l.f., fino al decreto di ammissione alla procedura “definitiva” il debitore può appunto compiere determinati atti. Questo lasso di tempo può interessare sia i concordati “abituali” che quelli in bianco. L’unica differenza sostanziale tra le due procedure, a questi fini, è la durata di questo periodo. Mentre nei concordati “abituali” il lasso di tempo fra il deposito del ricorso e il decreto di ammissione normalmente è molto breve, ancorché variabile in funzione del momento e della prassi del Tribunale competente, nel concordato in bianco questo periodo è necessariamente più lungo, proprio per la struttura stessa della procedura, essendo condizionata alla successiva presentazione della domanda completa (con proposta, piano e relativa documentazione).

Questo periodo può durare dai 60 ai 120 giorni, eventualmente prorogabili di altri 60 giorni, con possibilità, ancorchè non univocamente riconosciuta, di applicazione della sospensione feriale dei termini.

In questo approfondimento esamineremo i seguenti aspetti:

2) Gli atti

3) Atti di ordinaria amministrazione

4) Atti di straordinaria amministrazione

5) Atti di straordinaria amministrazione non urgenti

6) Casi di incerta determinazione tra amministrazione ordinaria e straordinaria

7) I poteri del Tribunale

8) Atti legalmente compiuti

9) Il pagamento dei debiti anteriori

10) Le esenzioni da revocatoria e il concordato in bianco

11) Revocabilità degli atti non autorizzati

12) La nuova consecuzione delle procedure e la revocatoria fallimentare

13) Le nuove prededuzioni

14) Sospensione e/o scioglimento dei contratti

2. Gli atti

Dopo il deposito del ricorso, il debitore, ex art. 161, c. 7 l.f., può compiere gli:

- atti di ordinaria amministrazione;

- atti urgenti di straordinaria amministrazione previa autorizzazione del Tribunale (con parere del Commissario, se nominato).

Si pone quindi il primo problema: identificare le due diverse tipologie di atti, di ordinaria e straordinaria amministrazione, i primi del tutto liberi, i secondi che devono essere urgenti e che necessitano in ogni caso dell’autorizzazione preventiva del Tribunale con acquisizione del parere del Commissario, se nominato (previsione quest’ultima inserita per effetto della modifica intervenuta ex D.L. 21/06/2013 n. 69 convertito nella Legge 9/08/2013 n. 98).

La distinzione tra atti di ordinaria e straordinaria amministrazione non è facile e soprattutto non è univoca, in assenza di una precisa specificazione.

Ma anche per gli atti di ordinaria amministrazione non tutto è semplice; si dovrà valutare la coerenza, come vedremo, e questo è sicuramente un aspetto molto critico. Ma torniamo, per il momento, alla distinzione tra atti di ordinaria e straordinaria amministrazione.

Gli stessi articoli 167, c. 2 e 35[iii] l.f. danno delle elencazioni diverse, solo esemplificative [iv] e manca una descrizione precisa che identifichi gli atti di straordinaria amministrazione, da contrapporre a quelli appunto di ordinaria amministrazione.

“L’accertamento del presupposto di applicazione della norma continua ad essere rimesso ai criteri suppletivi elaborati, volta per volta, da dottrina e giurisprudenza, se non altro per i casi non espressamente presi in considerazione dalle due norme appena ricordate (sempreché si ritenga di considerare la loro valenza definitoria di portata generale e non limitata agli effetti previsti dalle singole disposizioni).

Detto in altri termini: in assenza di una definizione normativa, le “mobili frontiere” della distinzione tra atti di ordinaria e atti di straordinaria amministrazione costringono ad applicare le nozioni secondo criteri, per così dire, di “geometria variabile”, a seconda dei contesti presi in considerazione”[v].

Ma il ricorso “non è accompagnato dalla proposta e dal piano, sicchè in linea di principio non vi sarebbero criteri di massima a supporto per stabilire quale sia il criterio di “normalità” cui uniformare il giudizio in ordine alla natura degli atti da porre in essere, con l’aggravante del fatto che tali atti, ove “legalmente posti in essere”, non sono soggetti all’azione revocatoria (art. 67, comma 3, lett. e). Alle stesse conclusioni, a ben vedere, si perviene ove l’avverbio “legalmente” venga interpretato come “coerenza dell’atto di gestione al piano o alla proposta” [vi].

Succede così che l’impresa, e il professionista che la segue, si trovino di fronte a difficoltà applicative di non facile soluzione, nel tentativo di distinguere gli atti fra ordinaria e straordinaria amministrazione, con le prevedibili conseguenze che si sarà orientati, nel dubbio, a considerare gli atti di incerta determinazione urgenti e di straordinaria amministrazione. Ma vedremo come anche questo non basterà.

L’atto dovrà comunque essere rapportato all’attività dell’impresa, perciò, ad esempio, per una società di costruzioni dovrebbe essere considerato atto di normale amministrazione la vendita di un immobile (in questo senso, Tribunale di Modena, 14/11/2012, www.ilcaso.it).

Il Tribunale di Terni (sentenza 12/10/2012 massimata ne www.unijuris.it, poi confermata sempre da Tribunale di Terni 28/12/2012, sempre in www.unijuris.it), relativamente alla distinzione degli atti, ha così specificato:

“in ogni caso, sul tema della distinzione tra atti di ordinaria amministrazione (che il debitore dopo il deposito del ricorso può regolarmente compiere) ed “atti urgenti di straordinaria amministrazione” (che egli può compiere solo previa autorizzazione del tribunale, ai sensi dell’art. 161 co. 7 l.f.), va richiamato uno specifico precedente di legittimità, maturato ante riforma sull’analoga questione implicata dall’art. 167 l.f. (Cass. Civ., sez. I, 20.10.2005, n. 20291), per cui “ In tema di concordato preventivo, la valutazione in ordine al carattere di ordinaria o straordinaria amministrazione dell’atto posto in essere dal debitore senza autorizzazione del giudice delegato, ai fini della eventuale dichiarazione di inefficacia dell’atto stesso ai sensi dell’art. 167 legge fall., deve essere compiuta dal giudice di merito tenendo conto che il carattere di atto di straordinaria amministrazione dipende dalla sua idoneità ad incidere negativamente sul patrimonio del debitore, pregiudicandone la consistenza o compromettendone la capacità di soddisfare le ragioni dei creditori, in quanto ne determina la riduzione, ovvero lo grava di vincoli e di pesi cui non corrisponde l’acquisizione di utilità reali prevalenti su questi ultimi (nella specie, la S.C. ha cassato con rinvio la sentenza di merito che aveva dichiarato inefficace una cessione di credito effettuata dall’imprenditore assoggettato a concordato preventivo, non autorizzata dal g.d., valorizzando esclusivamente l’importo del credito, senza considerare la possibilità di qualificarla come atto di ordinaria amministrazione, in quanto mezzo di pagamento di una fornitura di materiale resasi necessaria per l’esecuzione di un precedente contratto di appalto, che permetteva di acquisire alla massa il relativo corrispettivo)”.

“… che dunque, conformemente all’orientamento espressamente richiamato nell’arresto citato, devono ritenersi di ordinaria amministrazione gli atti di comune gestione dell’azienda, strettamente aderenti alle finalità e dimensioni del suo patrimonio e quelli che – ancorchè comportanti una spesa elevata (Cass. Civ. n. 9262/00) – lo migliorino o anche solo lo conservino, mentre ricadono nell’area della straordinaria amministrazione gli atti suscettibili di ridurlo o gravarlo di pesi o vincoli cui non corrispondano acquisizioni di utilità reali su di essi prevalenti (cfr. ex multis, Cass. Civ. nn. 45/1979; 599/1982; 1357/1990)”.

La differenza tra atti di ordinaria e straordinaria amministrazione potrebbe apparire netta ed inequivocabile, ma nell’applicazione pratica vi possono essere operazioni che ricadono in zone d’ombra non facilmente identificabili.

“Alcune operazioni potrebbero essere considerate ordinarie in una normale fase di gestione mentre potrebbero risultare straordinarie nella fase liquidatoria dell’impresa; non possiamo neppure catalogare determinate operazioni tra quelle ordinarie ed altre tra quelle straordinarie, in quanto le diverse tipologie di impresa potrebbero portare a considerarle in modo diverso: ad esempio la stipula di atti di cessione di immobili, qualora costituisca l’attività caratteristica dell’impresa, non integra la fattispecie degli atti di straordinaria amministrazione, con la conseguenza che la richiesta di autorizzazione al loro compimento dovrà essere dichiarata inamissibile”[vii].

3. Atti di ordinaria amministrazione

A prima vista pare facile identificare gli atti di ordinaria amministrazione, quando invece non si tratta assolutamente di una cosa semplice.

Tenuto conto degli effetti che ciò può comportare, l’incertezza in cui si vengono a trovare le imprese e i professionisti che le seguono sono numerose. Nemmeno l’ipotesi da più fatta, di chiedere comunque al Tribunale l’autorizzazione, non aiuta a risolvere il caso, in quanto ben potrebbero esserci delle dichiarazioni di incompetenza, essendo legittimato il Tribunale a dare o negare autorizzazioni solo per gli atti di straordinaria amministrazione urgenti; per tutti gli altri, non gli compete dare o negare autorizzazioni.

La prima questione che ci si pone è a cosa si possa rapportare l’ordinarietà; queste le ipotesi:

- all’oggetto dell’attività dell’impresa;

- alla dimensione (quando incide sul patrimonio);

- al momento (tenuto conto che si è chiesta l’ammissione ad un concordato).

Una operazione ordinaria in un certo momento potrebbe non esserlo in un altro, come pure una operazione ordinaria per una impresa ben potrebbe non esserlo per un’altra.

Si può affermare che sono atti di ordinaria amministrazione quelli che rientrano nella normale gestione aziendale, e quindi gli atti strettamente attinenti all’attività aziendale e alle dimensioni stesse del patrimonio, come pure quegli atti che, ancorché comportanti una spesa rilevante, servono a migliorare o anche solo a conservare il patrimonio (Tribunale di Milano, 23/11/2012 www.ilcaso.it).

In ogni caso si ritiene che l’imprenditore, proprio in funzione della particolare situazione, potrà essere chiamato a rispondere, nell’ambito dei principi generali, degli atti compiuti.

Tra gli altri, si ritiene che possano essere considerati atti di ordinaria amministrazione la richiesta di anticipazioni bancarie sbf. E ciò non solo nel caso di un utilizzo anche pregresso, in quanto si tratta di pratica diffusa. In questo senso, anche Tribunale di Terni, 12/10/2012 già citato. Il Tribunale ha anche sostenuto la non compensabilità dei crediti vantati dalla banca mandataria all’incasso con il debito restitutorio delle somme riscosse dopo il deposito della domanda di concordato, salva la preesistenza di una vera e propria cessione del credito, ovvero di specifico patto di compensazione.

Nello stesso senso, Tribunale di Milano, 11/12/2012 ne www.ilcaso.it.

Invero potrebbe però anche ritenersi che, trattandosi di finanziamento, si rientrerebbe nella previsione di cui all’art. 182 quater l.f. (in questo senso, Prof. Sido Bonfatti, convegno Unijuris, Udine, 13/09/2013), e quindi si renderebbero applicabili le relative disposizioni (prededucibilità) per finanziamenti effettuati in esecuzione del concordato (co. 1) oppure in funzione della presentazione della domanda di concordato (co. 2).

Si osserva però che manca pur sempre il piano, trattandosi di concordato in bianco.

Sempre il Tribunale di Milano (30/5/2013 ne www.ilfallimentarista.it[viii]) ha ritenuto atto di ordinaria amministrazione la “prosecuzione di contratti di affidamento se gli stessi permangono negli stessi limiti di fido e alle stesse condizioni già applicate anteriormente al deposito della domanda (fatta ferma la non compensabilità dei crediti della banca con i debiti di restituzione se relativi a posizioni anteriori e con salvezza della efficacia di eventuali clausole compensative)”.

“Tanto i rapporti bancari di carattere operativo quanto quelli di carattere finanziario, costituiscono atti di ordinaria amministrazione se mantengono la pregressa funzione di conservare l’attività d’impresa senza incidere innovativamente sul suo patrimonio del debitore.

Pertanto, solo qualora l’operatività delle linee di credito non incida sui mezzi propri dell’impresa, allora l’atto dovrà considerarsi di ordinaria amministrazione e non sarà necessaria alcuna autorizzazione giudiziale”[ix].

Circa i rapporti bancari, è stato ritenuto[x] che, in ipotesi di continuazione aziendale, la consecuzione dei rapporti pendenti deve considerarsi la regola, per cui si tratta di atti di ordinaria amministrazione, salva ovviamente la possibilità, da parte della banca, di recedere per inadempienza contrattuale. In presenza di nuove linee di credito, si renderà invece applicabile il disposto dell’art. 182-quinquies, c. 1 l.f..

Nella pratica risulta però che gli stessi istituti di credito chiedano in ogni caso che ci sia l’autorizzazione del Tribunale.

E’ stato ritenuto atto di ordinaria amministrazione il pagamento ai dipendenti dei ratei di 13^ mensilità maturati post presentazione della domanda (Tribunale di Milano, 21/12/2012 ne www.istitutocuratorifallimentari.it).

L’incarico professionale per la consulenza ed assistenza nella predisposizione della domanda di concordato è stato riconosciuto atto di ordinaria amministrazione, essendo tra l’altro necessario per il completamento dell’iter.

L’autorizzazione potrebbe peraltro essere richiesta in presenza di un compenso esorbitante (Tribunale di Terni, 28/12/2012 e Tribunale di Piacenza, 26/4/2013).

Il licenziamento collettivo, nella fattispecie motivato da non accessibilità alla CIGS, è atto di ordinaria amministrazione, non incidendo sulla par conditio (Tribunale di Cosenza, 6/3/2013 in www.osservatorio-oci.org e, nello stesso senso, Tribunale di Milano, 6/3/2013, www.istitutocuratorifallimentari.it, il quale ammette i pagamenti dei relativi costi di assistenza professionale).

L’attivazione della procedura della mobilità dei dipendenti dell’impresa in concordato preventivo è atto di ordinaria amministrazione in quanto “non comporta, infatti, ulteriori costi prededucibili (se non quelli professionali necessari per l’attivazione della procedura), e consente di ottenere un alleggerimento dei costi fissi”. (Tribunale di Milano, 23/11/2012 ne www.ilcaso.it).

“Gli atti di gestione dei rapporti negoziali pendenti al momento della presentazione della domanda di concordato preventivo con riserva sono da considerarsi di ordinaria amministrazione qualora abbiano lo scopo di conservare l’attività di impresa e non incidano innovativamente sul patrimonio della stessa”. (Tribunale di Milano, 11/12/2012 ne www.ilcaso.it).

Nello stesso senso, sempre il Tribunale di Milano (6/3/2013, www.istitutocuratorifallimentari.it) ha confermato di ritenere di ordinaria amministrazione la richiesta della mobilità e di accesso alla CIGS.

Il Tribunale di Lucca (21/5/2013, www.ilcaso.it) ha considerato atto di ordinaria amministrazione ogni azione giudiziaria finalizzata alla conservazione del patrimonio aziendale.

Il Tribunale di Milano (30/5/2013, www.istitutocuratorifallimentari.it) ha considerato atto di ordinaria amministrazione il conferimento di incarico ex nunc ad un legale se esso si risolve in attività da svolgere a favore dei creditori della società proponente per il buon esito del procedimento.

4. Atti di straordinaria amministrazione

Per gli atti di straordinaria amministrazione si segnala la non perfetta coincidenza, come previsione normativa, dell’art. 161 con l’art. 167, comma 2 l.f. “Amministrazione dei beni durante la procedura”[xi].

Tale ultima disposizione prevede l’autorizzazione scritta del Giudice per gli atti di straordinaria amministrazione, eventualmente per importi superiori ad un certo ammontare, atti in parte anche specificati.

Ma la disposizione dell’art. 161 l.f. pare assorbente, richiedendo sempre l’autorizzazione del Tribunale, per tutti gli atti di straordinaria amministrazione, purché urgenti. Si potrebbe discutere circa gli atti non urgenti, che però si dovrebbero ritenere negati, almeno fino alla presentazione del ricorso completo.

Per quanto concerne gli atti di straordinaria amministrazione, è richiesto appunto che si tratti di atti “urgenti”; dovranno avere quindi anche questa caratteristica in più, l’urgenza, rispetto agli atti di ordinaria amministrazione.

Un atto di straordinaria amministrazione avrà lo scopo o consentirà l’ampliamento dell’impresa o in ogni caso una maggior funzionalità della stessa, ma dovendo rispondere al requisito dell’”urgenza” non dovrà poter essere rinviabile. La ratio normativa sembra sottendere l’obiettivo di rinviare, ove possibile, l’esecuzione di atti rilevanti alla fase di maggior controllo del Tribunale ovvero al periodo successivo all’ammissione al concordato definitivo.

Il Tribunale, nel valutare l’autorizzazione, dovrà analizzare la documentazione presentata, al di là dell’eventuale piano, o solo abbozzato o eventualmente approfondito.

Negli atti di straordinaria amministrazione si possono ritenere ricompresi anche quelli esemplificati dall’art. 182 quinquies, eventualmente con l’inserimento anche del pagamento dei debiti anteriori, fattispecie quest’ultima applicabile per i concordati in continuità, e non certamente per quelli liquidatori.

E’ stata ritenuta necessaria l’autorizzazione per dare compimento ad atti di straordinaria amministrazione, ancorchè siano già state compiute le attività ad essi prodromiche. La distinzione tra ordinaria e straordinaria amministrazione dovrebbe fondarsi anzitutto sulle conseguenze dello specifico atto sul patrimonio. Ne consegue che è il momento dell’esecuzione di una operazione, pur se già pattuita, che comporta tali effetti e che pertanto deve essere eventualmente oggetto di specifica autorizzazione. In passato, come rilevato[xii], si è sanzionata la stipula non autorizzata di un atto di vendita pur se costituiva adempimento di un preliminare (Cass., sez. I, 18 febbraio 1999, n. 1357).

Sono, tra gli altri, atti di straordinaria amministrazione:

- la richiesta di un finanziamento cosiddetto interinale, cioè funzionale ad una maggiore soddisfazione dei creditori (art. 182 – quinquies, c.1), (Filippo Lo Presti, 06/05/2013 ne Il Fallimentarista, Tribunale di Milano 11/12/2012, www.istitutocuratorifallimentari.it);

- il contratto definitivo di vendita immobiliare in esecuzione di un preliminare (Tribunale di Torino, 03/01/2013 ne www.ilfallimentarista.it).

Nella fattispecie si trattava di un immobile non strumentale e l’impresa aveva manifestato che la prospettata risoluzione del contratto poteva arrecare un danno pari alle penalità conseguentemente applicate e determinare anche un contenzioso con perdita della somma già versata dal terzo a titolo di acconto per il preliminare di acquisto, contratto stipulato più di un anno prima della domanda di preconcordato così da non poter essere considerato volto ad eludere le procedure competitive di cui all’art. 182 l.fall.

- l’impugnazione di lodi arbitrali è stata ritenuta atto di straordinaria amministrazione in conseguenza degli effetti economici connessi al gravame (Tribunale di Arezzo, 3 e 4 ottobre 2012, ne www.ilFallimentarista.it, con commento di Valentina Cappuzzello).

- la richiesta di finanziamenti, che deve comunque essere accompagnata da elementi da cui si possa desumere la ragionevolezza dell’aggravamento dell’esposizione bancaria in funzione del proponendo piano.

In assenza, l’autorizzazione sarà negata (in questo senso, Tribunale di Terni, Sez. II, 16/10/2012 ne www.ilfallimentarista.it del 6/12/2012 con commento di Roberto Bonsignore).

- l’affitto dell’azienda della società concordataria al futuro assuntore costituisce atto urgente di straordinaria amministrazione per il quale il Tribunale può comunque avvalersi del parere tecnico di un ausiliario nominato ex art. 68 c.p.c. (Tribunale di Benevento, 21/11/2012 in Massime www.osservatorio-oci.org);

- una proposta di affitto di azienda, accompagnata in modo inscindibile da una cessione pro soluto dei crediti e dalla stipula di un preliminare di vendita dell’azienda non sono stati autorizzati in quanto, trattandosi “di atti di dismissione del patrimonio che andrebbero ad incidere sul futuro assetto dell’impresa in mancanza di una valutazione attendibile del valore dell’azienda oggetto della programmata cessione ed in una fase in cui non vi è ancora un piano cui ancorare e rapportare un giudizio di utilità degli stessi, sia in quanto atti liquidatori, tipici della fase esecutiva del concordato, in relazione ai quali non è neppure ipotizzabile il requisito dell’urgenza, e che comunque non possono porsi in essere, e nemmeno essere autorizzati, in una fase, come quella che nasce con il deposito di una domanda di concordato in bianco, in cui la mancanza di proposta e piano non consentono per definizione, come si è rilevato testè, di valutare sia l’utilità che la fattibilità delle dimissioni e delle operazioni di liquidazione in oggetto”. (Tribunale di Milano, 22/11/2012)

- il contratto di affitto di azienda è stato ritenuto compatibile con la fase transitoria del concordato in bianco ancorchè l’impresa non abbia ancora optato per il concordato in continuità (per il quale sono tra l’altro richiesti adempimenti specifici). Necessariamente ne è stata valutata, seppure sommariamente, la prevista convenienza economica (Tribunale di Bolzano, 27/2/2013 in www.unijuris.it).

- “il finanziamento soci che si prospetti come urgente e necessario a garantire la continuità aziendale e che sia astrattamente idoneo ad incidere sul patrimonio del debitore” è stato considerato atto di straordinaria amministrazione (Tribunale di Milano, 11/12/2012 ne www.istitutocuratorifallimentari.it).

- il comodato, atto per sua natura gratuito, è stato ritenuto non oggettivamente utile alla conservazione del valore e dei caratteri oggettivi essenziali di un bene (Tribunale Pinerolo, 9 gennaio 2013, in www.ilcaso.it);

- nuovi contratti di lavoro, anche se a tempo determinato, ancorchè finalizzati ad un miglior realizzo del patrimonio (Tribunale Pinerolo, 9 gennaio 2013, in www.ilcaso.it).

E’ stato ritenuto non autorizzabile un atto di straordinaria amministrazione in presenza di un concordato “in articulo mortis”, quando cioè si sa già che nessuna domanda di concordato sarà presentata in seguito alla prima istanza di concordato in bianco (Tribunale di Milano, 4/2/2013 ne www.istitutocuratorifallimentari.it).

“Nel caso di concordato con continuità aziendale, in cui la ditta che si trovi ancora in pre-concordato chieda l’autorizzazione a subappaltare l’esecuzione di un’opera ad un terzo (da intendersi quale atto di amministrazione straordinaria), l’attestatore che redige la relazione di cui all’art. 186 bis, co. 2, lett. b), l.f. deve altresì attestare (con riferimento specifico all’oggetto dell’autorizzazione) gli elementi contabili di cui al comma 1 dello stesso art. 186bis, e inoltre – ove si tratti di opera pubblica – la conformità al piano e la “ragionevole capacità di adempimento” dei contratti da parte del terzo subappaltatore, come prescritto dal terzo comma per l’impresa appaltatrice; dovrà altresì farsi risultare l’assenso al subentro prestato (anche nella forma del silenzio – assenso, ove sia così previsto dal bando di gara) dalla Pubblica Amministrazione” (Tribunale di Vicenza, data decreto 7/2/2013 ne www.ilcaso.it).

Il Tribunale di Novara (29/3/2013, www.ilcaso.it) ha autorizzato la sottoscrizione di una transazione su una posizione creditizia con relativo pagamento, nel presupposto che tale importo “prudenzialmente” non era stato iscritto all’attivo da parte dell’impresa che aveva presentato la domanda di concordato in bianco, cosicché la questione non avrebbe avuto incidenza sulla vicenda concordataria. A nostro avviso, il Tribunale è caduto in un doppio errore; la prima volta nel ritenere ininfluente il pagamento in quanto non considerato all’attivo (era pur sempre un credito, che andava inserito) e la seconda per non aver tenuto conto degli effetti tipici del concordato.

Lo stesso Tribunale ha ritenuto atto di ordinaria amministrazione il pagamento di retribuzioni ai dipendenti (si ritiene post presentazione della domanda) (Tribunale di Novara, 17/4/2013 ne www.ilcaso.it).

Il Tribunale di Bolzano (19/3/2013 ne www.istitutocuratorifallimentari.it) ha ritenuto che, relativamente ad una società immobiliare, con poche unità da vendere, destinata quindi ad essere liquidata, spese di rilevante ammontare (prestazioni per 300.000 euro e spese di viaggio euro 100.000 in 4 mesi) paiono “rientrare nella categoria degli atti di straordinaria amministrazione, considerata l’importanza delle somme sopra elencate e la indubbia incidenza negativa delle stesse sul ceto creditorio, vista la loro potenziale natura prededucibile”.

Sempre Bolzano (21/12/2012 ne www.Istitutocuratorifallimentari.it) ha ritenuto atto di straordinaria amministrazione la locazione dell’immobile aziendale (la locazione era tra l’altro finanziariamente garantita).

La risoluzione di un contratto di appalto, che non comporta nel caso specifico danni all’impresa in concordato, è stata autorizzata dal Tribunale di Bolzano (8/3/2013 ne www.istitutocuratorifallimentari.it).

I giudici di Reggio Emilia (9/08/2013 ne www.ilcaso.it) hanno qualificato le operazioni di finanziamento infragruppo, tra imprese insolventi, atti di straordinaria amministrazione.

5. Atti di straordinaria amministrazione non urgenti

Per quanto concerne gli atti di straordinaria amministrazione non urgenti, dalla lettura della norma si evince che non possono essere attuati.

Invero è stata avanzata una teoria, secondo la quale gli atti sarebbero effettuabili, ma sarebbero privi dei benefici, e quindi né prededuzione né irrevocabilità.

“E’ infatti evidente che proprio tale soggezione ai ridetti effetti sanzionatori può derivare solo da una qualificazione degli atti in oggetto in termini di disvalore, di illegittimità (e forse ancor meglio di illiceità), situazione che non potrebbe non rilevare anche sotto il profilo della inammissibilità sopravvenuta della domanda in ragione dell’abusivo comportamento del debitore[xiii]”.

In effetti l’urgenza costituisce elemento che giustifica determinati atti in un momento in cui manca ancora tutto, relativamente al proponendo concordato.

L’urgenza giustifica anche il fatto che non è richiesta alcuna attestazione da parte di terzi.

“In ultima analisi, l’autorizzazione in oggetto è coerente, o quanto meno non incompatibile, con quell’assetto di ontologica precarietà che caratterizza una domanda di concordato “in bianco”, giacchè le ragioni di urgenza equivalgono ad uno “stato di necessità” quasi sempre imprevedibile, che è allotrio, per definizione, rispetto alle preventive progettazioni contenute in piani o proposte.

Naturalmente il Tribunale è chiamato a valutare con tutta la prudenza e il rigore del caso se autorizzare o meno gli atti urgenti di straordinaria amministrazione, avvalendosi del potere, espressamente riconosciutogli dalla norma, di assumere sommarie informazioni, tanto più alla luce del fatto che, si ripete, nessuno ancora conosce i contenuti che potranno assumere successivamente proposta e piano concordatari (se ed in quanto siano poi effettivamente presentati)[xiv]”.

6. Casi di incerta determinazione tra amministrazione ordinaria e straordinaria

Ci sono i casi di incerta determinazione, casi riguardanti atti che potrebbero essere considerati di ordinaria amministrazione piuttosto che di straordinaria amministrazione. Nel dubbio, sarà sempre opportuno richiedere l’autorizzazione. Certo così si passerà la problematica ai Tribunali, già oberati per loro conto, ma tenuto conto della valenza della eventuale autorizzazione (prededucibilità ed esenzione da revocatorie) si può ragionevolmente ipotizzare che le istanze aumenteranno considerevolmente.

Ma anche questa non pare soluzione soddisfacente, in quanto si possono prevedere decreti che respingono la richiesta motivando proprio con il fatto che non si è in presenza di un atto di straordinaria amministrazione urgente, e con un decreto di questo tipo si è al punto di partenza; non si sa se si tratti di atto di ordinaria amministrazione legalmente attuato o di straordinaria amministrazione non urgente.

Tra i molti atti pensiamo ad una cessione di partecipazione societaria, ancorchè il debitore sia già in liquidazione, all’avvio di azioni giudiziarie per il risarcimento danni e le azioni legali per il recupero di crediti.

Tenuto conto dell’alea della soccombenza, con relative spese, l’atto potrebbe anche essere considerato di straordinaria amministrazione, e conseguentemente si può ipotizzare che sarà oggetto di richiesta di autorizzazione; ovviamente andrà valutato se si possa eventualmente attendere la nomina del Commissario Giudiziale.

Lo stesso dicasi per la cessazione dei rapporti di lavoro. Poiché può spettare l’indennità di preavviso (secondo una corrente di pensiero, in assenza di continuazione effettiva dell’attività, non spetterebbe l’indennità sostitutiva del preavviso) è stato consigliato di chiedere l’autorizzazione (Forum di www.fallco.it – 5/4/2013); a nostro avviso parrebbe superflua.

7. I poteri del Tribunale

L’autorizzazione per compiere gli atti di straordinaria amministrazione, post deposito del ricorso ed ante ammissione alla procedura, è rilasciata solo dal Tribunale, con rito collegiale.

Analizziamo questo aspetto scindendo i due i periodi, ante e post modifiche di giugno 2013.

7.1 Ante D.L. 69/2013

Il Tribunale di Milano (Plenum del 20/09/2012 che si è appunto pronunciato ante modifiche di giugno 2013), ha specificato che nella richiesta di concordato in bianco è necessario, pena l’inammissibilità della stessa domanda, che siano pure illustrati i criteri di massima del concordato (voci attive e passive, gli atti di gestione che si pensa di attuare, con eventuali oneri conseguenti).

In tale documento si è osservato che:

“a) in mancanza di un organo tecnico in grado di seguire l’andamento dell’impresa nelle more è da credere che il Tribunale non sarà in grado di poter valutare criticamente la documentazione;

b) nemmeno è chiaro in che modo potranno essere sanzionati alcuni inadempimenti, visto che la nuova disposizione sanziona espressamente con l’inammissibilità della domanda il mancato adempimento degli obblighi informativi, ma non chiarisce affatto se, ed in che modo, il Tribunale possa sanzionare l’imprenditore che, pur adempiendo formalmente a tali obblighi, risulti dalla stessa documentazione che abbia periodicamente prodotto che è rimasto ad esempio del tutto inerte ai fini della predisposizione del piano, o abbia posto in essere atti di dispersione o erosione patrimoniale, se non anche atti distrattivi. Stando alla ratio della disposizione è tuttavia ragionevole ritenere che anche in tali casi il Tribunale abbia il potere di convocare il debitore in camera di consiglio per disporre un’eventuale abbreviazione del termine già concesso, o per la dichiarazione di sopravvenuta inammissibilità della domanda.

Sempre secondo il Tribunale di Milano, ante modifiche 2013, questi aspetti critici consigliano di imporre obblighi d’informativa periodica solo quando si tratti di concordati preventivi di grande rilievo o, negli altri casi, quando siano fatte richieste particolari (finanziamenti, pagamenti, atti di straordinaria amministrazione ecc.) e soprattutto se si tratti di concordati in continuità o di concordati che intervengono senza la previa pendenza di un’istanza di fallimento in cui il debitore sia stato già sentito dando contezza della sua situazione patrimoniale e finanziaria. Negli altri casi è opportuno evitare di imporre tali obblighi per evitare un aggravio eccessivo di lavoro sulla Sezione (tenuto conto che già vi è una marea di domande di preconcordato e che esse aumenteranno sempre più) che si rivelerebbe peraltro quasi sempre ultroneo, tenuto conto della difficoltà di monitorare effettivamente le imprese sottoposte a controllo.

Quando poi le informative vengono imposte, devono essere redatte nella forma di brevi atti esplicativi che (solo) i legali dovranno stilare descrivendo sinteticamente le attività medio tempore compiute dal debitore e allegando solo documentazione di carattere riassuntivo (elenco pagamenti superiori ad una certa soglia, elenco degli atti negoziali di rilievo ecc.)”.

La modifica di giugno 2013 all’art. 161 ha ovviamente variato tutti questi riferimenti. Ma torniamo ai riferimenti ante D.L. 69/2010.

Risulta esclusa “nella maggior parte dei casi la possibilità di ottenere l’autorizzazione – pur se espressamente consentita dalle nuove norme anche a seguito della mera domanda ai sensi dell’art. 161, comma 6, l. fall. – a compiere una serie di atti in assenza di un piano che consenta di valutare la conformità delle scelte autorizzande alla struttura del concordato”[xv].

“Si tratta di un sostanziale invito alla cautela, tanto più necessaria quanto più la domanda depositata ai sensi dell’art. 161, comma 6, l. fall. sia generica (non a caso, taluno ha parlato giustamente di domande “in bianco” e di domande tendenti al grigio che già anticipano la struttura del concordato) e, in tal senso, forse il legislatore avrebbe dovuto sviluppare meglio il testo delle due norme (l’art. 161, comma 7 e l’art. 182-quinquies l. fall.) che consentono al debitore di investire il Tribunale di scelte “urgenti” che possono risultare particolarmente delicate e che talora possono essere influenzate da una conoscenza ancora incerta circa la struttura che assumerà il concordato e da convinzioni errate dello stesso debitore”. [xvi]

Anche prima della modifica di giugno 2013 all’articolo 161 l.f., il Tribunale poteva legittimamente imporre obblighi informativi periodici anche relativamente alla gestione finanziaria dell’impresa. E in caso di violazione di tali obblighi, si può ritenere come conseguenza l’inammissibilità della domanda stessa, ex art. 162 l.f.. E la dichiarazione di inammissibilità potrà essere richiesta, in caso di violazioni delle disposizioni, dal Pubblico Ministero o dai creditori, in assenza di un Commissario Giudiziale.

In presenza di procedura complessa, quale quella legata ad un gruppo, il Tribunale può anche nominare uno o più ausiliari (Tribunale di La Spezia, 25/09/2012, Il Caso 7858).

Invero ci si è subito chiesti, ripetiamo ante modifica di giugno 2013 all’art. 161 l.f.:

- se il Tribunale avesse il potere (facoltà o obbligo) di imporre obblighi informativi;

- se il decreto che dispone tali obblighi fosse reclamabile;

- se il termine assegnato fosse perentorio o ordinatorio;

- quali fossero le possibili iniziative del Tribunale a fronte di un adempimento solo parziale;

- se fosse possibile la nomina di un ausiliario ex art. 68 c.p.c..

A questi interrogativi[xvii] si sono allora date le seguenti risposte:

1) Circa il potere/dovere di richiedere informazioni da parte del Tribunale (siamo ante variazione fine 2012) la norma inizialmente pareva non prevederlo come obbligo “il Tribunale dispone”, ma appare razionale l’interpretazione subito da tutti data. Circa la periodicità e il contenuto dell’informativa, ampia discrezionalità è lasciata al Tribunale, che valuterà i singoli casi concreti, adattando le richieste alla situazione, al fine di non gravare la procedura di inutili o talvolta gravose richieste. E’ comunque evidente che il Tribunale, in assenza del piano, non è comunque in grado di valutare appieno quanto gli viene sottoposto.

2) Circa il reclamo, in assenza di specifici divieti (vedasi, ad esempio, l’art. 163, c. 1, per il quale il decreto di ammissione al concordato preventivo non è reclamabile) si ritiene si rientri nella fattispecie di cui all’art. 26 l.f., che prevede la reclamabilità degli atti presso la Corte di Appello dei decreti emessi dal Tribunale. Il reclamo potrà essere presentato da chiunque ne abbia interesse , e quindi, oltre che dal debitore, anche dai creditori.

3) Circa la natura perentoria o ordinatoria del termine, la questione non pare semplice. La norma non qualifica tale termine.

Per altro verso, il giudice può fissare termini processuali (art. 152 c.p.c.) anche a pena di decadenza, ma solo ove la legge lo preveda esplicitamente.

L’orientamento della giurisprudenza è comunque per ritenere ordinatori i termini, salvo che non siano perentori per legge “o la perentorietà consegua allo scopo e alla funzione adempiuta (Cass. 9/3/2000 n. 2673)[xviii].

Nella fattispecie dovrebbe quindi trattarsi di termine ordinatorio.

Tenuto anche conto di quanto prevede l’art. 162, commi 2 e 3, secondo il quale il Tribunale può applicare la sanzione, questa applicazione si riferisce solo alla violazione degli obblighi, non tanto a violazione dei termini. E ciò è anche logico, risultando un rispetto solo formale dei termini, ma non sostanziale nei contenuti, del tutto ininfluente, ai fini della applicabilità della sanzione (non ammissibilità del concordato o, in presenza di istanze di fallimento, la dichiarazione di fallimento).

4) Circa l’adempimento eventualmente solo formale, e non sostanziale, il plenum del Tribunale di Milano del 20/9/2012, ex art. 47 quater O.G. che ricordiamo si riferisce alla norma ante modifiche di fine 2012 “ha ritenuto che, nell’ipotesi in cui il debitore adempia solo formalmente agli obblighi informativi senza porre in essere alcuna attività ai fini della predisposizione del piano ovvero abbia posto in essere atti di dispersione o erosione patrimoniale, se non anche atti distrattivi, il tribunale possa convocare il debitore in camera di consiglio per disporre un’eventuale abbreviazione del termine già concesso o per la dichiarazione di sopravvenuta inammissibilità della domanda.
L’indicazione del Tribunale di Milano appare condivisibile. Ed infatti, salve le ipotesi di atti distrattivi posti in essere dal debitore ovvero di atti di straordinaria amministrazione non autorizzati e per i quali sembrerebbe applicabile per analogia la disposizione dettata dall’ art. 173, co. 3, l.fall., in ipotesi di adempimento solo formale degli obblighi informativi e, dunque, in ipotesi di sostanziale elusione del controllo del tribunale, seppure sotto il profilo pratico non appare agevole per il tribunale accertare una tale fattispecie elusiva (si pensi alle domande di concordato con riserva nelle quali non viene minimamente indicato neanche se verrà presentata una proposta di concordato o un accordo di ristrutturazione), ove mai dovesse essere accertato che il debitore nessuna attività ha posto in essere in vista della presentazione di una proposta di concordato o di un accordo di ristrutturazione ovvero ancora dovessero emergere fatti incompatibili con la volontà di procedere per le finalità indicate dall’art. 161, comma 6, l.fall., certamente va riconosciuto al tribunale il potere di intervenire applicando in via analogica l’art. 173, comma 3, l.fall. e dunque convocando in camera di consiglio il debitore per consentire allo stesso di difendersi ed applicando ogni più opportuno provvedimento, compreso quello di abbreviare il termine già concesso (volendo accedere alla tesi che il termine in questione è ordinatorio) oppure procedere ai sensi dell’art. 161, commi 2 e 3, l.fall.” [xix]

5) Circa la nomina di uno o più ausiliari, la disposizione cui far riferimento è l’art. 68 c.p.c., che si può ritenere applicabile alla procedura di concordato preventivo se ed in quanto la procedura sia considerata un processo esecutivo concorsuale, cosa non del tutto pacifica, e che qui non trattiamo.

L’ausiliario comunque è figura che potrebbe avere un forte sviluppo, anche alla luce degli obblighi informativi richiesti.

Appare ragionevole ipotizzare che ausiliario e futuro commissario (o se del caso curatore) siano la stessa persona per praticità ed economia della gestione della posizione.

Gli obblighi informativi potranno essere diversi; tra questi ricordiamo (tutti ante modifica di giugno 2013):

- deposito mensile di una relazione riguardante la situazione patrimoniale, finanziaria ed economica (Tribunale di Asti, 24/09/2012, Il Caso 7589, Tribunale di Modena, 14/09/2012, Il Caso 7786 e Tribunale di Modena 22/10/2012, Il Caso 8000);

- deposito della relazione con anche dettagli relativamente ai pagamenti di importo superiore ad euro 50.000, delle eventuali istanze di fallimento pervenute nel frattempo, delle richieste di pignoramento (Tribunale di Velletri 18/9/2012, Il Caso);

- deposito mensile di “un riepilogo delle operazioni poste in essere e l’elenco dei crediti che ne sono sorti, con l’indicazione del nominativo dei creditori e dell’importo del credito” (Tribunale di Pisa, 19 settembre 2012 (data decisione)[xx];

- oppure potrebbe essere nominato un esperto, ex art. 68 c.p.c. affinchè possa coadiuvare il Tribunale alla verifica e al controllo (Tribunale Benevento 26/09/2012, Il Caso, 8105).

“Non può essere concessa l’autorizzazione prevista dall’art. 161, comma 7, l.f. in assenza di indicazione esplicative in merito al piano di concordato e dell’attestazione in merito alla coerenza dell’atto autorizzando con la fattibilità del piano (massima).

Non può essere eseguita in difetto di autorizzazione un’operazione di fusione pur se deliberata prima della domanda di concordato, in quanto si tratta di atto di straordinaria amministrazione, che non può essere concessa in difetto di prova dell’assenza di opposizioni (massima) [xxi]”.

“In particolare, il Tribunale muove dalla nota corrente della giurisprudenza di legittimità che limita decisamente il sindacato del Giudice sulla fattibilità del concordato per dedurne quasi a contrariis che, se quella valutazione è preclusa al Tribunale, per autorizzare preventivamente atti di particolare delicatezza per la società occorrerebbe investire l’organo giudiziario di una potestà di stabilire che, essendo fattibile il piano concordatario, si può dare subito corso alle attività programmate dal debitore.

In sostanza, sul presupposto che il giudizio di fattibilità del concordato è rimesso all’esperto, i giudici capitolini escludono che con una richiesta di autorizzazione appoggiata ad una domanda “in bianco” il debitore possa in sostanza onerare il Tribunale di un giudizio preventivo circa la coerenza di atti con il piano concordatario non ancora formulato e del compito di anticipare una valutazione sulla sua fattibilità che non gli compete [xxii].”

Il Tribunale di Ancona (27/9/2012, estensore Ragaglia, in www.osservatorio-oci.org) ha sostenuto l’impossibilità a concedere una autorizzazione per carenza informativa strutturale “Il Tribunale… pur potendo assumere sommarie informazioni, non può sostituirsi alla parte ed acquisire d’ufficio gli elementi conoscitivi che consentano di valutare e apprezzare l’incidenza dell’atto nella prospettiva di superamento della crisi o dell’insolvenza che si intende perseguire. Non può pertanto essere concessa, in assenza del piano e dell’attestazione di veridicità dei dati, l’autorizzazione alla stipulazione di un contratto di affitto d’azienda richiesta subito dopo la presentazione di una domanda di concordato preventivo con riserva di deposito della proposta, del piano e dei documenti”.

Ma veniamo alla gestione dell’impresa in concordato, in assenza di una specifica disciplina “sospensiva” di rapporti pendenti, come invece è previsto per il fallimento.

Ciò salvo la autorizzata sospensione del contratto, peraltro di incerta applicazione al concordato in bianco.

Ma si veda anche la differente scelta legislativa.

Solo nell’art. 182-quinquies è stata anticipata nella fase pre-concordato la richiesta del parere di un attestatore relativamente alla funzionalità di atti relativi a nuova finanza e ad effettuare pagamenti pregressi.

Per l’autorizzazione ad effettuare atti urgenti di straordinaria amministrazione non è stata chiesta esplicitamente la nomina di questo attestatore, talchè si può così ritenere che il legislatore abbia ritenuto di richiedere solo una sommaria valutazione. E il Tribunale non potrà negarla in modo sistemico, dovendo dare una adeguata motivazione.

“A questo punto, vien da dubitare che la decisione di autorizzare anticipatamente il compimento di alcuni atti di straordinaria amministrazione (neppur ricompresi tra quelli previsti dall’art. 182-quinquies l. fall.) sia legata ad una valutazione di fattibilità del concordato: si dovrebbe piuttosto ritenere che l’analisi sia limitata alla convenienza o meno della scelta specifica, così come avviene per la decisione di sciogliersi da un contratto pendente ex art. 169-bis l. fall., che comporta anch’essa una minusvalenza (essendo previsto l’indennizzo a favore della controparte negoziale, tanto che Trib. Piacenza, 5 aprile 2013, in Ilcaso.it ritiene che l’autorizzazione si fondi sul contemperamento delle reciproche posizioni delle parti negoziali), ma che può essere autorizzata in virtù della sua intrinseca convenienza (in tal senso, si veda la recente Trib. Torino, 3 gennaio 2013, in www.ilfallimentarista.it, che ritiene autorizzabili gli atti se non necessario un esame del piano non ancora depositato) [xxiii].

“In particolare, in funzione di ottenere dal giudice i provvedimenti di carattere autorizzativo spendibili per la gestione dell’impresa nella proiezione della proposta da presentare ai creditori è ragionevole che l’imprenditore assuma i seguenti comportamenti” [xxiv]:

a) necessità di fornire al Tribunale gli elementi necessari per poter valutare se dare la richiesta autorizzazione, atto che può godere comunque della prededuzione;

b) in caso di scelta di scioglimento di un contratto, motivazione e convenienza;

c) una attestazione specifica, come già visto, ex art. 182 quinquies, 4 c.

Tutto ciò, come più volte detto, relativamente a posizioni aperte ante la variazione normativa di giugno 2013.

7.2 Post D.L. 69/2013

Commentiamo ora la nuova disposizione, introdotta dal D.L. n. 69 del 21/6/2013, norma sulla quale non siamo ancora a conoscenza, al momento, di pronunce giurisprudenziali.

La differenza più immediata ed evidente è che ora, per quanto concerne gli obblighi informativi, si tratta di un obbligo esplicito: è indicato che il Tribunale “deve” disporre gli obblighi informativi, quando precedentemente era stato usato il termine “dispone”.

Gli obblighi informativi sono stati, a nostro avviso molto opportunamente, estesi anche all’attività compiuta per la predisposizione della proposta e del piano, ed è stata aggiunta la richiesta di una situazione finanziaria dell’impresa da predisporre da parte dell’imprenditore.

Infine, in caso di riscontro di una attività ritenuta non idonea alla predisposizione del piano, il Tribunale ridurrà i termini, sentendo eventualmente i creditori e, in caso di violazione degli obblighi, sarà applicato l’art. 162, commi 2 e 3.

8. Atti legalmente compiuti.

Per gli atti legalmente compiuti si applica il “doppio premio”, il doppio beneficio, di fatto necessariamente alternativo: la prededucibilità ex art. 111 l.f. o la esenzione da revocatoria ex art. 67 c. 3 lettera e) l.f..

L’esenzione da revocatoria è stata prevista dal D.L. 83/2012, mentre la specificazione di atti di ordinaria e straordinaria amministrazione è stata inserita dalla legge di conversione n.134/2012.

“Questa disposizione viene a colmare lo iato esistente tra la fase antecedente il deposito della domanda - caratterizzata dalla normalità degli atti di gestione dell’imprenditore in bonis - e la fase successiva all’apertura della procedura (con il decreto ex art. 163 l.f.).

Sul punto, il legislatore ha dato dunque certezze più che rassicuranti, svincolando da ogni controllo il compimento degli atti di ordinaria amministrazione, e prevedendo un apposito regime autorizzatorio per gli atti urgenti di straordinaria amministrazione (individuabili sulla base del formante dottrinale e giurisprudenziale relativo all’art. 167 co. 2 l.f.), stavolta qui di competenza del tribunale (non essendo ancora intervenuta la nomina del giudice delegato, che si ha con l’apertura della procedura ex art. 163 co. 2 n. 1 l.f.), semmai sulla scorta dell’eventuale assunzione di sommarie informazioni”[xxv].

In entrambi i casi, e a scanso di ogni equivoco, è stata espressamente sancita la prededucibilità, ai sensi dell’art. 111 l.f., dei crediti dei terzi sorti per effetto degli atti così – purchè legalmente – compiuti.

Occorrerà dare dimostrazione:

- della coerenza del proposto atto di gestione al piano o alla singola proposta, che quindi non potrà essere generica;

- la non creazione di regimi preferenziali.

Relativamente agli atti di ordinaria amministrazione la norma “finisce per incentivare pure il concordato meramente liquidatorio anche con norme come questa, laddove esenta da revocatoria e considera prededucibili atti legittimi, compresi fra questi gli atti di ordinaria amministrazione compiuti addirittura in modo autonomo dal debitore, senza alcun preventivo controllo del tribunale” (Filippo Lamanna, Il concordato, decreto sviluppo; primo commento, www.ilfallimentarista.it, 26/06/2012).

Ma quali sono gli atti “legalmente” compiuti? La risposta appare semplice, ma solo in generale: si tratta degli atti di ordinaria amministrazione e di quelli autorizzati, che possono essere di straordinaria amministrazione e urgenti, oppure anche i pagamenti di debiti pregressi, previa attestazione circa la convenienza. Null’altro. Poi, nello specifico, quando si pensa all’inquadramento degli atti, iniziano le problematiche, come si è in parte visto.

Il terzo che viene in contatto con l’impresa in concordato in bianco deve essere tutelato, ed ecco la motivazione della norma.

Ma la specificazione degli atti di ordinaria amministrazione appare non sempre semplice, come si è visto.

Pare di intendere che l’esenzione riguardi tutti gli atti di ordinaria amministrazione; ma dovrà anche essere fornita la prova che si tratti di atti funzionali alla procedura concorsuale e alle sue previsioni.

Ove l’atto fosse incoerente (ma a dire il vero manca ancora il piano cui poter fare riferimento, e non bisogna dimenticare che si può sfociare anche in un 182 bis) o comunque posto in essere con la finalità di dare la preferenza a certi creditori, la prededuzione, o l’esenzione da revocatorie non spetterà.

La questione di base è come interpretare il concetto di “coerenza” degli atti di ordinaria amministrazione.

Già non sempre appare facile definire un limite tra ordinaria e straordinaria amministrazione; oltre a ciò, ancorché si pensi di rientrare nell’ordinaria amministrazione, bisognerà porsi la domanda se si è anche nell’ambito della coerenza, ed è evidente che la questione si fa molto problematica, oltre che oltremodo soggettiva.

Ma chi potrà stabilirlo? Magari a posteriori?

Si ritiene che la prededuzione o l’esenzione da revocatoria per gli atti appunto “legalmente” compiuti resti pur sempre, anche nel caso di successiva non ammissione alla procedura e quindi di dichiarato fallimento. Lo stesso dovrebbe potersi dire anche per una procedura ex art. 182 bis che poi non venga adempiuta.

9. Il pagamento dei debiti anteriori

Il concordato con continuità può prevedere, previa autorizzazione, il pagamento di crediti anteriori per prestazioni di beni o servizi (art. 182 quinquies c.c.).

Tale previsione è estesa anche al concordato in bianco, cui ovviamente fosse poi in effetti seguito un concordato in continuità. E’ richiesta l’attestazione da parte di un professionista circa l’essenzialità e la funzionalità della spesa da sostenere.

Un’osservazione in generale, circa l’improprio utilizzo, a nostro avviso, dei termini. Si parla di “prestazioni di beni o servizi”, termine appropriato solo ed esclusivamente per i servizi, non certo per i beni. I beni si possono cedere, non certamente essere oggetto di prestazione. Ma tant’è.

L’autorizzazione è subordinata all’attestazione, da parte di un professionista in possesso dei requisiti di cui all’art. 67, co. 3, lett. d), l.f., “che tali prestazioni sono essenziali per la prosecuzione della attività di impresa e funzionali ad assicurare la migliore soddisfazione dei creditori”.

Tale attestazione non è invece necessaria qualora si tratti di pagamenti effettuati utilizzando la cosiddetta nuova finanza [xxvi].

In ogni caso le decisioni che dovessero essere autorizzate ex art. 161, c. 7 e 182 quinquies “non necessariamente sono collegate alla situazione concorsuale, ed in tal caso è necessario che tali iniziative vengano anticipate, previa valutazione sulla congruità di tali scelte con la finalità primaria del concordato che resta quella di tutelare il ceto creditorio e sull’effettiva necessità di anticiparne il compimento rispetto all’avvio della procedura vera e propria successivo al deposito del piano e dell’attestazione dell’esperto.[xxvii]

Per poter richiedere l’autorizzazione sarà necessario che almeno parzialmente siano illustrati gli aspetti del concordato che si chiederà e che possa classificarsi in continuità[xxviii].

Secondo il Tribunale di Milano (21/12/2012, www.istitutocuratorifallimentari.it) è “solo al momento del deposito del piano che sarà possibile valutare in concreto la proposta che viene sottoposta ai creditori, consentendone il pagamento anche per la quota maturata in epoca precedente la proposizione della domanda”…

“non è possibile estendere la proponibilità del pagamento dei creditori anteriori nell’ipotesi in cui con la domanda ex art. 161, comma 6 l.f. venga prospettato (ma non depositato) il piano, in quanto – pur prescindendosi dal fatto che non si comprende come un esperto possa attestare la funzionalità di un piano non definitivo – il concetto di concordato in continuità presuppone a termini dell’art. 186-bis l.f. che il piano sia già definitivo e abbia le caratteristiche richieste dall’art. 186-bis l.f., compreso il corredo dell’attestazione specifica sulla possibilità/funzionalità della continuazione”…

“il piano non può essere surrogato dall’attestazione del professionista di cui all’art. 67, comma 3, lett. d) l.f. di neutralità del pagamento rispetto alla sorte dei crediti concorsuali, ancorchè poziori, non potendo detta attestazione – che concerne solo l’impatto del pagamento del creditore concorsuale sullo scenario concorsuale complessivo – essere equiparabile a un piano, laddove la norma di cui all’art. 182-quinquies l.f. richiede non solo la proposizione di un piano connesso alla proposizione di un concordato con continuità, ma anche la funzionalità del pagamento dei creditori concorsuali al miglior soddisfacimento complessivo, che è qualcosa di più della mera neutralità del pagamento rispetto allo scenario concorsuale e che richiede, secondo la formulazione della norma, la proposizione appunto del piano”. Ne consegue, sempre secondo il Tribunale di Milano, che “l’istanza non potrebbe essere autorizzata neanche qualificandola come atto di straordinaria amministrazione ex art. 161, comma 7, l.f. (che consente l’autorizzazione di atti di straordinaria amministrazione urgenti), posto che nel caso di specie difetterebbe l’urgenza per l’azienda (essendo affatto diversa dall’urgenza che fa carico ai creditori) e trattandosi comunque di fattispecie soggetta a disciplina speciale, considerato, peraltro, che l’istanza potrà essere riproposta dal ricorrente all’atto del deposito del piano (prima o contestualmente al provvedimento del tribunale di apertura del procedimento concordatario con continuità ex art. 186-bis l.f.)”.

Sempre il Tribunale di Milano (8/3/2013, www.istitutocuratorifallimentari.it) ha dichiarato inammissibile una procedura di concordato in bianco per effetto di pagamento di debiti anteriori senza preventiva autorizzazione, ancorchè i liquidatori avessero nel frattempo versato nelle casse sociali quanto pagato senza autorizzazione. Nello stesso senso, Tribunale di Udine, 16/4/2013 ne www.unijuris.it e Tribunale di Pesaro, 26 luglio 2013, www.ilcaso.it.

Invece, secondo il Tribunale di Catania (decreto 18/3/2013 ne www.ilcaso.it) “la circostanza che la società abbia effettuato, successivamente al deposito della proposta di concordato, pagamenti di crediti concorsuali non autorizzati dal Tribunale ai sensi dell’art. 182-quinquies, comma 4, l.f., qualora tale condotta esuli, per le concrete modalità di esecuzione e per la qualità soggettiva dei beneficiari”, da profili di manifesta frode nei confronti degli altri creditori concorsuali, non è ostativa alla prosecuzione del concordato in bianco.

“L’assenza di una autorizzazione giudiziale, pure imposta dal richiamato art. 182-quinquies, comma 4, l.f., non è equiparabile, quanto agli effetti negativi sulla sorte della procedura concordataria, a quella prevista per gli atti di straordinaria amministrazione, ex art. 167, comma 2, l.fall., restando peraltro ancora controverso in giurisprudenza se il pagamento di crediti anteriori al concordato costituisca atto di straordinaria amministrazione (come mostra di ritenere, sia pure a determinate condizioni, Cass. 12 gennaio 2007, n. 578), ovvero possa essere senz’altro ricondotto nell’ambito dell’ordinaria amministrazione (così Cass. 29 novembre 2005, n. 26036)”.

Il Tribunale di Bolzano (8/3/2013, ne www.istitutocuratorifallimentari.it) ha rigettato una richiesta di pagamento a fornitori ante concordato in quanto mancante delle necessarie attestazioni.

Per quanto concerne il pagamento ai dipendenti, il Tribunale di Modena (15/12/2012) e di Padova, (9/5/2013) [xxix] hanno escluso “i dipendenti dal novero dei fornitori di beni e servizi”.

In ogni caso dovrà trattarsi di concordato in continuità, e con un concordato in bianco pare difficile poter dare in modo incontrovertibile la relativa necessaria indicazione.

Relativamente a atti giuridici in corso, il Tribunale di Reggio Emilia (9/08/2013 ne www.ilcaso.it) ha ritenuto che “laddove il rapporto prosegua (nel corso del termine assegnato o nel successivo concordato preventivo) e laddove la proposta concordataria non preveda la risoluzione del contratto (come pure potrebbe prospettare il ricorso concordatario, ai sensi dell’articolo 160), non vi sia – di regola – divieto di pagamento dei crediti pregressi, a meno che il rapporto sinallagmatico non sia caratterizzato da un contratto di durata dal quale sorgono coppie di prestazione di per sé isolabili sotto il profilo funzionale ed economico (fattispecie che ricorre, ad es., nei contratti di somministrazione, dove ad ogni singola erogazione corrisponde un prezzo da pagare ragguagliato alla prestazione stessa ed indipendente, funzionalmente ed economicamente, dalle prestazioni pregresse e future).

Ricorrendo tale ultima ipotesi, deve ritenersi che – anche in caso di prosecuzione del rapporto contrattuale – sia inibito all’imprenditore in procedura effettuare pagamenti pregressi che riguardino prestazioni eseguite anteriormente alla pubblicità nel registro delle imprese” (in questo senso, per l’amministrazione controllata, Cassazione a S.U. 22 maggio 1996 n. 4715).

10. Le esenzioni da revocatoria e il concordato in bianco

Ricordiamo come gli atti che l’imprenditore può porre in essere post presentazione della domanda di concordato in bianco possono essere:

- atti di ordinaria amministrazione

- atti di straordinaria amministrazione (urgenti e autorizzati)

- pagamento di debiti pregressi (attestati e autorizzati)

In presenza di pagamenti o atti al di fuori di queste ipotesi, si tratta di pagamenti sicuramente revocabili, in un successivo fallimento, o meglio ancora inefficaci, come si vedrà. Pensiamo ad atti di straordinaria amministrazione non urgenti e non autorizzati, e atti di ordinaria amministrazione non considerabili tali dal Giudice.

Mentre per le due ipotesi che prevedono l’autorizzazione si tratta di un inquadramento facile (solo con l’autorizzazione si ha la non revocabilità), appare invece problematico l’inquadramento degli atti di ordinaria amministrazione.

Intanto è necessario che si tratti di atti che possano essere indiscutibilmente qualificati come tali. Ove potesse essere dimostrato che non si tratti di atto di ordinaria amministrazione, e quindi di atto che è stato compiuto senza la necessaria autorizzazione, sarebbe comunque revocabile.

Ma veniamo agli atti di ordinaria amministrazione, legittimamente o meglio “legalmente” attuabili.

Ci si può chiedere: per la non revocabilità, si deve rispettare qualche altro requisito? Ad esempio, che si tratti di pagamento effettuato nei normali termini d’uso? Sarà applicabile anche questa disposizione? Oppure anche che si tratta di un atto che potrebbe essere considerato coerente con la prospettata procedura?

A questo punto può risultare interessante anche analizzare la questione della revocabilità in generale, in presenza di un concordato in bianco.

Ciò anche alla luce del fatto che, per effetto della applicabilità del principio della consecuzione delle procedure, la richiesta di un concordato in bianco poi sfociato in fallimento indubbiamente amplia il periodo di riferimento della revocatoria, essendo revocabili gli atti anteriori alla presentazione dell’istanza stessa. Su questo punto specifico si veda il successivo approfondimento, anche con riferimento alla questione revocatoria / inefficacia.

11. Revocabilità degli atti non autorizzati

In un concordato in bianco possono anche verificarsi casi di pagamento di debiti anteriori effettuati senza la prescritta forma (attestazione e autorizzazione), il tutto motivato da uno stato di necessità e di ritenuta, ma a questo punto non comprovata, utilità.

Posto che ai fini del concordato si tratta di pagamenti che comportano la stessa non ammissibilità alla procedura, come considerare questi pagamenti in caso di successivo fallimento? Revocabili tout court? Forse sì o forse meglio ancora inefficaci come si illustrerà nell’analisi della lettera e) dell’art. 67 l.f..

La stessa discussione si potrebbe fare per gli atti di straordinaria amministrazione non autorizzati (urgenti o meno); saranno revocabili in un successivo fallimento? Forse sì o forse meglio ancora inefficaci come si illustrerà nell’analisi della lettera e) dell’art. 67 l.f..

E cosa dire degli atti compiuti regolarmente (e quindi di ordinaria amministrazione oppure di straordinaria amministrazione autorizzati o di pagamento di debiti pregressi autorizzati) qualora si sia in presenza di un atto in frode? Saranno comunque esentati, tali atti? Sul punto non sapremmo dare una risposta precisa.

E lo stesso si può dire in caso di abuso del diritto, nel senso che i presupposti per la concessione della procedura di concordato preventivo non esistevano per nulla fin dall’inizio.

Gli atti non legalmente effettuati comportano, secondo la giurisprudenza nota, l’inammissibilità della domanda di concordato in bianco. Lo stesso D.L. del fare “ha espressamente previsto che il commissario giudiziale, se accerta che il debitore ha posto in essere una delle condotte previste dall’articolo 73 della legge fallimentare, deve riferirne immediatamente al tribunale che, verificata la loro sussistenza, deve dichiarare l’improcedibilità della domanda. L’articolo 173 della legge fallimentare fa riferimento agli atti di straordinaria amministrazione non autorizzati e agli atti fraudolenti.

Per gli atti fraudolenti, l’improcedibilità potrà essere dichiarata solo se l’atto sia successivo al deposito della domanda, in base all’interpretazione che la Cassazione (sentenza 13818 del 2011) ha dato dell’articolo 173 della legge fallimentare. Questo perché, essendo sanzionabile, secondo tale interpretazione, solo la condotta del debitore volta a occultare situazioni di fatto idonee a influire sul giudizio dei creditori e quindi tali che, se conosciute, avrebbero presumibilmente comportato una diversa (negativa) valutazione della proposta, ogni decisione dovrebbe essere differita al momento del deposito del piano e della proposta. Il deposito del piano e della proposta costituisce quindi il termine ultimo per la disclosure su eventuali atti di frode compiuti prima del deposito della domanda, anche di quella con riserva”[xxx].

In una tabella sintetizziamo le varie questioni.

Concordato in bianco

Revocabilità degli atti in caso di successivo fallimento

Tipo di atto

Revocabilità

ordinaria amministrazione

è richiesta coerenza

NO

straordinaria amministrazione

urgente e autorizzato

NO

pagamento di debiti anteriori

attestati e autorizzati

NO

straordinaria amministrazione

non urgente

SI, anche perché non autorizzato

ordinaria amministrazione

non coerente

SI

pagamento debiti anteriori

non autorizzato

SI

atto in frode

SI

Le disposizioni che possono interessare la esenzione da revocatoria nel concordato in bianco sono contenute nell’art. 67 l.f., e in particolare al comma 3 lettere a), e), f), e g) che prevedono il non assoggettamento alla revocatoria per determinati atti.

Analizziamo ora le varie previsioni.

11.1 Art. 67, lettera a)
“pagamenti di beni e servizi effettuati nell’esercizio dell’attività d’impesa nei termini d’uso”

A dire il vero questa è una fattispecie che riguarda l’impresa ante fallimento; può però riguardare anche la fattispecie del concordato in bianco, visto che gli atti di ordinaria amministrazione non sono oggetto di specifiche autorizzazioni. Forse la disposizione si può dimostrare superflua, nella fattispecie, essendoci un’altra norma specifica (appunto la successiva lettera e) dello stesso articolo 67 l.f., che esenta da revocatoria “gli atti, i pagamenti e le operazioni legalmente posti in essere dopo il deposito del ricorso di cui all’art. 161”), ma comunque non si vede motivo per non considerarla. Ma le due disposizioni dicono proprio la stessa cosa? Forse no.

L’elemento che potrebbe distinguere le due fattispecie è proprio l’avverbio “legalmente”.

Si potrebbe allora dare questa interpretazione, trovando una giustificazione alla possibile sovrapposizione delle fattispecie. La lettera a) è di applicazione più ampia rispetto alla lettera e) dell’art. 67 l.f..

Se il pagamento risulta effettuato entro i termini d’uso, indipendente quindi, a questo punto, dal rispetto del “legalmente”, sarà esentato.

Ma invero possono identificarsi pagamenti effettuati in termini d’uso che non siano anche legalmente effettuati? Probabilmente sì. Si pensi, ad esempio, agli atti normali, anche di ordinaria amministrazione, che ben potrebbero non essere coerenti con il richiesto concordato. La lettera a) li ricomprende, tra le esenzioni. L’art. 161 invece li esclude.

Si osserva sin d’ora, comunque, che la lettera e) indica anche gli atti e le garanzie, fattispecie che non rientrano nella lettera a) che appunto si riferisce solo ai pagamenti di beni e servizi.

Per quanto concerne i “pagamenti di beni e servizi” si osserva come l’espressione non possa comunque riferirsi al pagamento di debiti, tra cui i debiti bancari (ad esempio il mutuo). Si deve trattare di pagamenti legati ad acquisto di beni o servizi[xxxi]

Per la qualificazione dei “termini d’uso” il legislatore ha utilizzato una formulazione del tutto ambigua.

L’opinione maggioritaria è per ritenere che l’espressione “termine d’uso” vada riferita ai pagamenti, altri invece hanno ritenuto che si riferisca alle forniture, di beni o servizi, altri ancora all’esercizio dell’impresa.

L’espressione va poi riferita, sempre secondo la tesi maggioritaria, al tempo dell’adempimento e alle relative modalità.

Vediamo qualche sentenza, relativamente a questi aspetti:

- Tribunale di Monza, 24/04/2012 ne www.ilcaso.it:

Dalla massima: “Il concetto di “termini d’uso” fa riferimento alle condizioni di tempo e di modo dei pagamenti normalmente in uso tra i contraenti e in concreto pattuiti tra le parti, a condizione che siano mezzi fisiologici e usuali di pagamento. Dal punto di vista cronologico possono, pertanto, considerarsi usuali i termini di pagamento in concreto adottati tra le parti nel regolamento negoziale da esse stipulato, piuttosto che quelli normalmente adottati da operatori del settore, mentre non possono definirsi tali prassi patologiche e forme anomale di pagamento non concordate sin dall’inizio del rapporto negoziale. (Nel caso di specie, sono stati ritenuti assoggettabili a revocatoria i pagamenti effettuati in ritardo rispetto alle scadenze pattuite)”.

- Tribunale di Milano, 3/05/2012 ne www.ilcaso.it:

Per l’operatività della causa di esenzione è necessario che il pagamento sia stato effettuato, oltre che con mezzi ordinari, nei tempi previsti dal regolamento negoziale accettato dalle parti.

- Tribunale di Milano, 24/12/2012 ne www.ilcaso.it:

“La locuzione “nei termini d’uso”, contenuta nell’art. 67 co. 3 lett. a) legge fallimentare, deve essere intesa in un duplice profilo, attinente sia al tempo sia alle modalità del pagamento, ed impone di attenersi al criterio della regolarità dell’adempimento, implicando quindi la contestualità e/o la normalità dello scambio, con la conseguenza che devono ritenersi esenti da revocatoria i pagamenti avvenuti regolarmente alla loro scadenza in relazione alla prassi commerciale, mentre non possono beneficiare dell’esenzione in parola i pagamenti effettuati in ritardo, a maggior ragione se avvenuti a seguito di solleciti”.

- Tribunale di Milano, 1/03/2013 ne www.ilcaso.it:

“I “termini d’uso” di cui all’art. 67 co. 3 lett. b) l.f. attengono sia alle modalità di pagamento, sia ai termini di pagamento che in concreto e ordinariamente le parti hanno previsto e attuato durante lo svolgimento del rapporto.

La prova di tali elementi va ricavata, in primo luogo, dalle modalità contrattuali con cui sono stati regolati i pagamenti in precedenti rapporti negoziali, ovvero dalle modalità con cui sono stati regolati i pagamenti nel contratto in oggetto ovvero in mancanza di specifica pattuizione o regolamentazione (orale o scritta), dalla prassi praticata nel settore e sul territorio. Non può invece prendersi a parametro di riferimento la modalità di estrinsecazione del rapporto tra le parti, ove la stessa sia difforme da quanto contrattualmente previsto”.

- Tribunale di Bergamo, 14/11/2012 ne www.ilfallimentarista.it:

“Sono esenti dall’azione revocatoria, ex art. 67, comma 3, lett. a) l. fall., solo i pagamenti relativi a forniture di beni e servizi attinenti alla vita ordinaria e corrente dell’impresa, a condizione che siano eseguiti “nei termini d’uso”; ne restano, quindi, esclusi quelli afferenti ad operazioni straordinarie e/o estranee all’oggetto tipico dell’attività d’impresa ed all’ordinario esercizio dell’azienda”.

- il Tribunale di Busto Arsizio, 2/07/2012 ne www.ilfallimentarista.it invece sostiene che “è preferibile l’interpretazione dell’art. 67, comma 3, lett. a) l. fall. per cui non sono revocabili i pagamenti relativi all’acquisizione di beni o servizi che sono necessari ad una conduzione normale, ovvero usuale dell’azienda; i “termini d’uso” vanni riferiti, nella costruzione sintattica del testo normativo e in conformità alla ratio legis, alle modalità di conduzione dell’impresa e non alle modalità dei pagamenti delle forniture”.

In sintesi, posto che il legislatore è stato ambiguo, le interpretazioni giurisprudenziali più recenti sono per considerare pagamenti effettuati nei termini d’uso:

- pagamenti regolati alla scadenza contrattuale (non quelli effettuati in ritardo o sollecitati) (contra Busto Arsizio);

- pagamenti effettuati in base alle modalità contrattuali;

- pagamenti efferenti ad operazioni ordinarie.

11.2 Art. 67, lettera e)
“gli atti, i pagamenti e le garanzie posti in essere in esecuzione del concordato preventivo, (dell’amministrazione controllata), nonché dell’accordo omologato ai sensi dell’articolo 182 bis, nonché gli atti, i pagamenti e le garanzie legalmente posti in essere dopo il deposito del ricorso di cui all’articolo 161”

Questa è la disposizione di riferimento, in quanto appunto si richiama anche al concordato in bianco. Si deve trattare di atti e pagamenti posti in essere legalmente; in presenza di atti legalmente compiuti, nessuna revocabilità.

La questione di base sta tutta nell’interpretazione dell’avverbio “legalmente”. Secondo il vocabolario della Crusca, legalmente significa “secondo legge”.

Ora, quali sono questi pagamenti?

In gran parte li abbiamo già analizzati precedentemente.

Riprendiamo le varie questioni.

Abbiamo già visto la differenza con la lettera e); qui si prevedono anche atti e garanzie, quanto invece alla lettera a) si prevedono solo pagamenti.

Alla lettera a) si prevedono “termini d’uso”; qui “legalmente”. È di tutta evidenza che non sono la stessa cosa.

Quando gli atti e i pagamenti sono effettuati legalmente? Quando è rispettata la legge, appunto. E quindi si dovrà trattare di pagamenti ed atti relativi a:

- atti di ordinaria amministrazione;

- atti di straordinaria amministrazione autorizzati (e pertanto solo quelli urgenti);

- pagamento di debiti anteriori attestati e autorizzati.

Null’altro; qualsiasi altro atto ne sarà escluso.

Ma il vero problema sono gli atti di ordinaria amministrazione, ed in particolare se siano effettivamente tali, e, una volta che ciò sia acclarato, se ed in quanto siano coerenti con la procedura di concordato, così da farne derivare la “coerenza”.

Tabella

Differenza anche lessicale lettera a) ed e) dell’art. 67 l.f.

 

 

lettera a)

lettera e)

espressioni utilizzate

pagamenti

atti, pagamenti, garanzie

di beni e servizi

effetti

in termini d’uso

“legalmente”

Ma su tale lettera e) si possono fare anche altre osservazioni[xxxii].

La lettera e) dell’art. 67 l.f. cozza di tutta evidenza con la nuova disposizione dell’articolo 69 bis l.f., ove al secondo comma si prevede il principio della consecuzione delle procedure, in caso di concordato, anche in bianco, seguito da fallimento.

Tale norma poteva forse avere una sua logica prima della riforma attuata con D.L. n. 83/2012, convertito in L. n. 134/2012, che tra l’altro ha modificato anche l’art. 69 bis, comma 2, l.f., non più ora. Prima di questa riforma poteva infatti essere messo in discussione il principio della cosiddetta “consecuzione delle procedure”, ossia il retroagire degli effetti della sentenza di fallimento al momento della presentazione della domanda di C.P., anche se gran parte della giurisprudenza era concorde nel senso di riconoscerla.

In mancanza della adozione del principio della consecuzione delle procedure non era automatica la retrodatazione degli effetti del fallimento, e quindi, l’art. 67, comma 3, lett. e) l.f., avrebbe potuto avere un senso. Di conseguenza, in mancanza di retrodatazione degli effetti, l’esenzione dalla revocatoria era corretta, visto che il periodo sospetto veniva calcolato a ritroso dalla data del fallimento, e questo periodo sospetto ricadeva quindi nel corso della procedura di C.P..

Oggi invece l’art. 69 bis comma 2, l.f. stabilisce per legge che, se alla domanda in C.P. segue il fallimento, il periodo sospetto ai fini della revocatoria decorre dal momento della pubblicazione della domanda di C.P. nel registro delle imprese (quindi retroagisce). Di conseguenza, nel caso di atti e pagamenti eseguiti nel corso della procedura di C.P., poi non andata a buon fine, non dovrebbe avere più senso l’esenzione dalla revocatoria fallimentare. Questi atti è come se fossero stati compiuti dopo la dichiarazione di fallimento, e non invece prima (e questo per l’effetto dell’art. 69 bis, comma 2, l.f.) e gli atti compiuti dopo la dichiarazione di fallimento non sono mai soggetti a revocatoria fallimentare, ma sono inefficaci ai sensi dell’art. 44 l.f.. E si tenga conto che l’inefficacia ai sensi dell’art. 44 l.f. è più forte dell’inefficacia conseguente alla revocatoria fallimentare, in quanto:

a) opera di diritto;

b) non richiede la prova della scientia decoctionis;

c) non è soggetta a limiti di tempo per quanto riguarda decadenze e prescrizioni.

Certamente per gli atti “legalmente” effettuati, e quindi gli atti di ordinaria amministrazione e quelli di straordinaria urgenti e autorizzati doveva essere previsto qualcosa, e questo qualcosa non era certamente l’esenzione da revocatoria, ma, se si può dire, la conferma della efficacia, visto che per gli altri atti si ha l’inefficacia. Mai revocabilità quindi, a questi fini.

In definitiva, quindi, nel caso in cui un C.P. sfoci in fallimento, l’eventuale revocatoria fallimentare può colpire solo gli atti compiuti nel periodo sospetto antecedente alla presentazione della domanda di C.P. mentre quelli compiuti dopo la domanda di C.P. se non autorizzati o di ordinaria amministrazione non coerenti, saranno inefficaci ai sensi dell’art. 44 l.f.. E si tenga conto che l’inefficacia ai sensi dell’art. 44 l.f. è più forte dell’inefficacia conseguente alla revocatoria fallimentare, in quanto:

a) opera di diritto;

b) non richiede la prova della scientia decoctionis;

c) non è soggetta a limiti di tempo per quanto riguarda decadenze e prescrizioni.

Certamente per gli atti “legalmente” effettuati, e quindi gli atti di ordinaria amministrazione e quelli di straordinaria urgenti e autorizzati doveva essere previsto qualcosa, ma questo qualcosa non era certamente l’esenzione da revocatoria, ma, se si può dire, la conferma della efficacia, visto che per gli altri atti si ha l’inefficacia. Mai ipotesi di revocabilità quindi, a questi fini.

In definitiva, quindi, nel caso in cui un C.P. sfoci in fallimento, l’eventuale revocatoria fallimentare può colpire solo gli atti compiuti nel periodo sospetto antecedente alla presentazione della domanda di C.P., mentre quelli compiuti dopo la domanda di C.P., se non autorizzati o di ordinaria amministrazione non coerenti, saranno inefficaci ai sensi dell’art. 44 l.f..

Per gli atti “legalmente” compiuti, piuttosto che esenzione da revocatoria andava specificato che restavano efficaci [xxxiii].

11.3 Art. 67, lettera f):
“i pagamenti dei corrispettivi per prestazioni di lavoro effettuate da dipendenti ed altri collaboratori, anche non subordinati, del fallito”

Anche per questa fattispecie vedasi quanto già osservato. In presenza di atti di ordinaria amministrazione, di atti di straordinaria amministrazione autorizzati (e per esserlo devono anche essere urgenti) o di pagamento di debiti anteriori attestati e autorizzati, nessun problema.

Negli altri casi, si tratta di pagamenti revocabili, al di là delle motivazioni che possono aver addotto ad effettuare i relativi pagamenti.

11.4 Art. 67, lettera g):
“i pagamenti di debiti liquidi ed esigibili eseguiti alla scadenza per ottenere la prestazione di servizi strumentali all’accesso alle procedure concorsuali (di amministrazione controllata) di concordato preventivo”

Si tratta, di tutta evidenza, di atti necessari per l’accesso alla procedura e pertanto bene ha fatto il legislatore ad escluderli dalla revocatoria. Si rientra tra gli atti di ordinaria amministrazione, e si rimanda alle varie sentenze ivi commentate.

12. La nuova consecuzione delle procedure e la revocatoria fallimentare

Il decreto “Sviluppo” (D.L. 83/2012 convertito, con modifiche nella Legge 134 del 7 agosto 2012) all’art. 69-bis, comma 2 è intervenuto in modo che riteniamo risolutivo sulla questione della consecuzione delle procedure.

Così precisa tale secondo comma:

“Nel caso in cui alla domanda di concordato preventivo segua la dichiarazione di fallimento, i termini di cui agli articoli 64, 65, 67, primo e secondo comma e 69 decorrono dalla data di pubblicazione della domanda di concordato nel registro delle imprese”.

In definitiva, è stato previsto normativamente quanto già la maggior dottrina e la giurisprudenza prevalente avevano inteso.

Nel caso di consecuzione di procedure, e quindi nel caso in cui a un concordato faccia seguito una dichiarazione di fallimento, i termini per la revocatoria fallimentare si riferiscono alla prima procedura, e più precisamente alla pubblicazione della domanda di concordato preventivo .

È stata utilizzata l’espressione “termini” che invero potrebbe essere considerata incongrua; infatti, più che di termini, si tratta di tempi, di riferimenti temporali. Ma non c’è dubbio alcuno che si volesse fare riferimento proprio al periodo, in quanto gli articoli esplicitamente richiamati si riferiscono a un periodo, non a un termine.

Ci si può chiedere cosa succeda nel caso in cui il fallimento non faccia seguito alla procedura di concordato preventivo senza soluzione di continuità, nel senso che la procedura, ad esempio, non sia omologata, ma il fallimento sia dichiarato solo successivamente, magari anche dopo parecchio tempo.

Vista la norma, si applicherà il principio della consecuzione? Dal tenore letterale della norma si può ritenere di sì, anche se sul punto potrebbero essere sostenute tesi discordi[xxxiv].

Ad ogni buon conto, con la nuova norma trova anche applicazione pratica la previsione della decadenza dall’esercizio della causa di revocatoria.

Ricordiamo infatti che per i fallimenti dichiarati dal 16 luglio 2006 la decadenza per l’esercizio dell’azione revocatoria è fissata in 3 anni (precedentemente 5 anni) dalla dichiarazione del fallimento e comunque 5 anni dall’atto.

Ora si è chiarito, da un punto di vista pratico, quando potrebbe verificarsi questa applicazione del maggior termine. Con la consecuzione delle procedure la norma trova così piena applicazione.

Ovviamente ove si sia in presenza di atti o pagamenti non revocabili, e quindi rientranti nella fattispecie già illustrata, nulla quaestio; risulterà invece di un qualche interesse l’estensione del periodo in caso di atti non rientranti nelle predette previsioni, e quindi revocabili.

13. Le nuove prededuzioni

Il D.L. 83/2012 e la legge di conversione (134/2012) hanno decisamente ampliato le previsioni dei crediti prededucibili.

Questo è l’elenco:

“a) i crediti derivanti da finanziamenti erogati in funzione della presentazione della domanda di ammissione alla procedura di concordato preventivo, qualora previsti dal piano e disposti nel decreto di ammissione al concordato (art. 182-quater, co. 2, l.f.);

b) i crediti derivanti da finanziamenti effettuati dai soci in funzione del concordato preventivo, qualora previsti dal piano e disposti nel decreto di ammissione al concordato, ma solo fino alla concorrenza dell’80% del loro ammontare (art. 182-quater, co. 3,l.f.);

c) i crediti derivanti da finanziamenti autorizzati dal tribunale, su richiesta formulata dal debitore nella domanda di concordato, anche “con riserva”, a condizione che un professionista designato dal debitore, in possesso dei requisiti di cui all'art. 67, co. 3, lett.a l.f., dopo aver verificato il complessivo fabbisogno finanziario dell'impresa, sino all'omologazione, abbia attestato la loro funzionalità alla migliore soddisfazione dei creditori (art. 182- quinquies, co. 1, l.f.);

d) i crediti di terzi sorti per effetto degli atti di ordinaria amministrazione legalmente posti in essere dal debitore dopo il deposito del ricorso, e fino all’apertura della procedura di concordato preventivo (art. 161 co. 7 l.f.);

e) i crediti dei terzi sorti per effetto degli atti urgenti di straordinaria amministrazione autorizzati dal tribunale dopo il deposito del ricorso, e fino al decreto di apertura della procedura di concordato preventivo (art. 161 co. 7 l.f.);

f) i crediti dei terzi sorti per effetto degli atti di ordinaria amministrazione posti in essere dal debitore, sotto la vigilanza del commissario giudiziale, durante la procedura (art. 161 co. 7 l.f.);

g) i crediti dei terzi sorti per effetto degli atti di straordinaria amministrazione autorizzati per iscritto dal giudice delegato, durante la procedura (art. 161 co. 7 l.f.);

h) i crediti derivanti da finanziamenti effettuati in esecuzione del concordato preventivo (art. 182-quater, co. 1, l.f.);

i) […] (vedi lettera b)

j) i crediti anteriori per prestazioni di beni o servizi il cui pagamento, su richiesta formulata nella domanda di concordato con continuità - anche con riserva- sia stato autorizzato dal tribunale, sempre che un professionista in possesso dei requisiti di cui all'articolo 67, co. 3, lett. d) l.f., ne abbia attestato l’essenzialità alla prosecuzione dell’attività d’impresa e la funzionalità alla miglior soddisfazione dei creditori (art. 182-quinquies co. 4 l.f.);

k) (di fatto) i crediti derivanti dai contratti in corso di esecuzione che non vengano sciolti o sospesi (art. 169-bis l.f.);

l) (di fatto) i crediti derivanti dai contratti in corso di esecuzione con la pubblica amministrazione per i quali il professionista designato dal debitore attesti la conformità al piano e la ragionevole capacità di adempimento (art. 186-bis co. 3. l.f.).

Non compete invece la prededuzione concordataria (fatta salva quella fallimentare, ove in sede di accertamento del passivo si verifichino essere sorti “in occasione o in funzione delle procedure concorsuali” ex art. 111 l.f.) per i seguenti crediti:

m) i compensi spettanti al professionista attestatore incaricato di predisporre la relazione ex art. 161, co. 3, l.f. (che prima dell’abrogazione dell’art. 182-quater co. 4 l.f. spettava a condizione che ciò fosse espressamente disposto nel provvedimento di ammissione al concordato);

n) l’indennizzo equivalente al risarcimento del danno da mancato adempimento, spettante ove il tribunale abbia autorizzato, su richiesta del debitore contenuta nella domanda di concordato, lo scioglimento dei contratti in corso di esecuzione (art. 169-bis co. 2 l.f.). [xxxv]

14. Sospensione e/o scioglimento di contratti

Con il concordato preventivo il debitore può chiedere lo scioglimento del contratto, come pure di sospenderne l’esecuzione. Ciò per effetto dell’art. 169-bis, applicabile anche al concordato in bianco. L’eventuale autorizzazione sarà concessa dal Tribunale.

Ora, anche nel concordato in bianco si verificano le problematiche analizzate da dottrina e giurisprudenza per il normale concordato.

Si ricorda che sono esclusi da tale opzione, per legge:

- i rapporti di lavoro subordinato;

- i contratti di locazione immobiliare;

- i contratti preliminari di compravendita trascritti per l’abitazione principale o la sede principale dell’impresa;

- i contratti di finanziamento destinati ad uno specifico affare.

“Ci si chiede se la richiesta di sospensione o di scioglimento ex art. 169-bis l. fall. esiga necessariamente la presentazione della proposta definitiva di concordato, o se sia già applicabile sin dal momento del deposito della domanda “in bianco” ex art. 161, comma 6, l. fall.

In astratto, si tende a non negarne l’applicabilità anche al concordato in bianco.

Tuttavia, tenuto conto del forte impatto che ciò può provocare, si può reputare che la soluzione migliore, a tutela del debitore, sia quella della preventiva sospensione del contratto, in attesa dell’eventuale scioglimento. In ogni caso occorrerà documentare l’istanza in modo dettagliato, motivando adeguatamente, soprattutto per quanto concerne la convenienza.

L’iter logico che si intravvede è appunto la richiesta di sospensione del contratto, con la proposta di concordato, e poi, con la domanda definitiva, la richiesta di scioglimento.

Più radicalmente peraltro si è sostenuto che si debba escludere “senza alcun margine di dubbio, una domanda di concordato “in bianco” accompagnata da una contestuale istanza a norma dell’art. 169-bis l. fall. La non compatibilità tra l’art. 161, comma 6, l. fall. e l’art. 169-bis, l.fall., a parte ogni rilievo di natura testuale di per sé già sufficiente a motivarne la soluzione negativa, risiede proprio nella considerazione che il postulato scioglimento del contratto costituisce parte integrante del piano di risanamento finanziario contenuto nella proposta concordataria offerta ai creditori. Un piano che deve essere attestato dal professionista, e dunque valutato nella sua interezza, prima dall’attestatore e poi dal Tribunale adito per l’autorizzazione”.

Deve peraltro segnalarsi che, per effetto del riferimento che l’art. 169-bis l. fall. fa all’art. 161, dove appunto al sesto comma si prevede l’ipotesi del concordato in bianco, sembra preferibile non escludere la possibilità di chiedere l’autorizzazione in esame anche nel pre-concordato” [xxxvi].

Il Tribunale di Roma (20/2/2013, ne www.ilfallimentarista.it, con commento di Mauro Vitiello) ha ritenuto:

“Nel primo caso si ritiene necessario una concreta anticipazione dei contenuti di piani e proposta e di una “prima relazione del professionista funzionale ad attestare la veridicità dei dati aziendali e la fattibilità di quanto prospettato”, nel caso di richiesto scioglimento; mentre la semplice anticipazione, anche in termini generici, dei contenuti del “proponendo piano” nel caso di richiesta sospensione”.

La Corte di Appello di Brescia (19/6/2013 ne www.dirittobancario.it) è intervenuta sul punto; questo il commento di Cristian Fischetti:

“In primo luogo, i giudici bresciani hanno sottolineato come nel testo dell’art. 169-bis l.fall. non vi sia alcuna previsione esplicita circa l’applicazione di tale norma anche alle procedure ex art. 161, co. 6, l.fall.. La mancanza di tale espressa indicazione sarebbe anomala, soprattutto se si considera che il Legislatore del 2012, proprio con il Decreto Sviluppo, ha in altri casi indicato in modo chiaro se una determinata norma possa essere riferita anche ai concordati con riserva. A tal proposito, è la stessa Corte di Brescia a ricordare come per esempio l’art. 182- quinquies l.fall. (in materia di finanziamenti interinali prededucibili), anch’esso di nuova introduzione, preveda esplicitamente la sua applicazione in caso di pre-concordato. Pertanto, in considerazione della tecnica legislativa utilizzata per le altre norme inserite dall’art. 33 del Decreto Sviluppo, che richiamano espressamente i casi in cui si riferiscano anche ai concordati con riserva, l’assenza di una previsione in tal senso nell’art. 169-bis l.fall. parrebbe ai giudici bresciani una idonea argomentazione per non ritenerlo applicabile alla fattispecie del pre-concordato (conforme, in dottrina, F. Lamanna,La problematica relazione tra pre-concordato e concordato con continuità aziendale alla luce delle speciali autorizzazioni del Tribunale, in www.ilfallimentarista.it).

Sempre da un punto di vista generale, la Corte d’Appello di Brescia dubiterebbe dell’applicazione dell’art. 169-bis l.fall. al concordato con riserva anche in virtù di una contraddizione logica tra gli effetti provvisori tipici della domanda di pre-concordato, che è per sua natura finalizzata a creare un temporaneo “ombrello” protettivo per il patrimonio del debitore così da consentigli di formulare con maggiore tranquillità una adeguata proposta di concordato preventivo (ovvero di redigere e negoziare gli accordi di ristrutturazione dei debiti ex art. 182-bis l.fall.), con la stabilità e la definitività tipiche di una decisione sulla sorte dei contratti pendenti”.

Il problema, si ritiene, è comunque relativo più allo scioglimento che alla sospensione di tali contratti.

 

15. Conclusioni

Il concordato in bianco nasce dall’esigenza di consentire all’impresa debitrice di poter presentare una domanda di composizione della crisi senza l’assillo pressante dei creditori.

In base alle prime disposizioni di giugno 2012, non erano stati precisati quali documenti presentare, al di là dei bilanci, e soprattutto non era stata richiesta una anticipazione del tipo di concordato che sarebbe stato poi presentato in concreto o sulla possibilità/probabilità che il creditore propendesse per una accordo di ristrutturazione dei debiti. La variazione normativa di giugno 2013, con il Decreto del fare, ha fornito comunque alcune specificazioni sia per i debitori che per i Tribunali.

Da quanto esposto appare evidente l’importanza di integrare la domanda in bianco con il maggior numero possibile di informazioni e di indicazioni specifiche, anche relativamente all’attività che l’impresa debitrice intende porre in essere nel periodo che si prevede di utilizzare per arrivare alla presentazione della domanda completa, sia con riferimento alle operazioni ritenute ordinarie, così come per quelle straordinarie (o ritenute tali) che, successivamente, potrebbero essere oggetto di richiesta di autorizzazione al Tribunale e a maggior ragione dovrebbero essere date informazioni in presenza di un concordato in continuità[xxxvii]. In questo modo, ancora una volta dal bianco si passerebbe al grigio, più o meno intenso, ma con un aumento di trasparenza nei rapporti debitore/Tribunale.

Più specificatamente, per quanto concerne la eventuale revocabilità degli atti e dei pagamenti in caso di concordato “in bianco” sfociato in fallimento, varie sono le problematiche che si pongono.

La prima è come considerare gli atti e i pagamenti relativi ad atti di straordinaria amministrazione non autorizzati. Inefficaci, diremmo.

La seconda è come fare dei distinguo per gli atti di ordinaria amministrazione, nel senso sia di poterli inquadrare come tali, anche a posteriori, sia nel ritenerli coerenti con un piano che al momento della presentazione della domanda ancora non c’era.

Infine , si è segnalato quello che ci è parso uno scivolone normativo. Tenuto conto del nuovo articolo 69 bis l.f. sulla consecuzione delle procedure, la lettera e) dell’art. 67 l.f. pare superflua o meglio errata. Andava detto che gli atti “legalmente” compiuti in presenza di un concordato “in bianco” sono efficaci, in caso di successivo fallimento, non, come viene affermato, non revocabili.

La differenza non è di poca cosa, anche tenuto conto dei diversi presupposti, osservato che l’inefficacia:

- opera di diritto;

- non richiede la prova della scientia decoctionis;

- non è soggetta a limiti di tempo per quanto riguarda decadenza e prescrizione.



[i] La definizione, peraltro basata su altra analisi, è di Ezio Busato, ne Il Commercialista Veneto n. 212/2013, p. 7.

[ii] Previsione introdotta dal D.L. 83 del 22/6/2012 (Misure urgenti per la crescita del Paese), convertito in L. n. 134 del 7/8/2012, con decorrenza 11 settembre 2012 (art. 33, c. 1 lett. b) n. 4 del D.L. e, per la decorrenza, c. 3 dello stesso articolo). Infine, con il D.L. n. 69 del 21/06/2013 convertito in Legge 9/08/2013 n. 98, l’art. 161 è stato modificato ai commi 6, 7 e 8.

[iii] Art. 35: “1. Le riduzioni di crediti, le transazioni, i compromessi, le rinunzie alle liti, le ricognizioni di diritti di terzi, la cancellazione di ipoteche, la restituzione di pegni, lo svincolo delle cauzioni, l’accettazione di eredità e donazioni e gli atti di straordinaria amministrazione sono effettuate dal curatore, previa autorizzazione del comitato dei creditori.

2. Nel richiedere l’autorizzazione del comitato dei creditori, il curatore formula le proprie conclusioni anche sulla convenienza della proposta.

3. Se gli atti suddetti sono di valore superiore a cinquantamila euro e in ogni caso per le transazioni, il curatore ne informa previamente il giudice delegato, salvo che gli stessi siano già stati autorizzati dal medesimo ai sensi dell’art. 104-ter, comma ottavo,.

4. il limite di cui al secondo comma può essere adeguato con decreto del Ministero della giustizia”.

[iv] Cassazione n. 9262 del 25/6/2002, 1357/99

[v] Giovanni Falcone, Profili problematici del “concordato con riserva” ne Diritto Fallimentare n. 3/4 2013 p. 392 e seguenti, al quale si rimanda anche per una analisi più approfondita della problematica.

[vi] Giovanni Falcone, cit.

[vii] Dr Eros Ceccherini, Il Concordato Preventivo con prenotazione, 2013.

[viii] Con commento di Roberto Amatore.

[ix] Pier Francesco Marcucci, Ufficio Affari Legali ABI – Dottorando di ricerca in diritto commerciale presso l’Università degli Studi di Modena e Reggio Emilia, ne Il Caso.it

[x] Filippo Lo Presti, www.ilfallimentarista.it, 6/5/2013

[xi] Art. 167: “1. Durante la procedura di concordato, il debitore conserva l’amministrazione dei suoi beni e l’esercizio dell’impresa, sotto la vigilanza del commissario giudiziale.

2. I mutui, anche sotto forma cambiaria, le transazioni, i compromessi, le alienazioni di beni immobili, le concessioni di ipoteche o di pegno, le fideiussioni, le rinunzie alle liti, le ricognizioni di diritti di terzi, le cancellazioni di ipoteche, le restituzioni di pegni, le accettazioni di eredità e di donazioni e in genere gli atti eccedenti la ordinaria amministrazione, compiuti senza l’autorizzazione scritta del giudice delegato, sono inefficaci rispetto ai creditori anteriori al concordato.

3. Con il decreto previsto dall’articolo 163 o con successivo decreto, il tribunale può stabilire un limite di valore al di sotto del quale non è dovuta l’autorizzazione di cui al secondo comma”.

[xii] Paolo Bosticco, ne Il Fallimentarista 8/8/2013, Dubbi e incertezze sull’autorizzazione al compimento di atti di straordinaria amministrazione nel nuovo concordato in bianco

[xiii] Filippo Lamanna, Il concordato senza piano, ne Il nuovo diritto della società, n. 14/2013.

[xiv] Filippo Lamanna, cit.

[xv] Paolo Bosticco, cit. Sul punto, tesi condivisa da E. Bertacchini, Crisi d’impresa tra contraddizioni e giuridica “vaghezza”, cit., 330 che sottolinea la necessità che le linee del piano siano quantomeno note all’esperto chiamato alle attestazioni previste dall’art. 182-quinquies l.fall.

[xvi] Paolo Bosticco, cit.

[xvii] Tutti oggetto di analitico commento da parte di Antonio Di Julio, Il Fallimentarista, 13/2/2013, commento dal quale abbiamo estratto le indicazioni sopra riportate

[xviii] Antonio Di Julio, cit.

[xix] Antonio Di Julio, cit.

[xx] Ne Il Fallimentarista, con commento di Antonio Di Julio, 13/2/2013

[xxi] Tribunale di Roma, decreto 19/12/2012, commentato da Paolo Bosticco ne Il Fallimentarista, 8/8/2013

[xxii] Paolo Bosticco, ibidem

[xxiii] Paolo Bosticco, cit.

[xxiv] Massimo Fabiani, La domanda “prenotativa” di concordato preventivo: spunti operativi nel sito OCI – Osservatorio crisi d’impresa

[xxv] Paola Vella, L’accrescimento dei controlli giudiziali di merito e degli strumenti protettivi nel nuovo concordato preventivo, www.ilcaso.it, 31/10/2012.

[xxvi] Nuove risorse finanziarie che vengano apportate al debitore senza obbligo di restituzione o con obbligo di restituzione postergato alla soddisfazione dei creditori.

[xxvii] Paolo Bosticco, cit.

[xxviii] Tribunale Modena, 14 dicembre 2012, Tribunale Busto Arsizio (decr.), 11 febbraio 2013, in www.ilcaso.it

[xxix] Commento di Filippo Lo Presti, “Concordato Preventivo e autorizzazioni al pagamento di crediti di lavoro subordinato maturati prima del deposito della domanda” ne www.ilfallimentarista.it, 21/6/2013.

[xxx] Giovanni Nardecchia, “Verifiche ampie sull’ammissibilità della domanda”, Il Sole 24 Ore, 26/08/2013.

[xxxi] Sul punto rinviamo anche al nostro, Le operazioni bancarie esenti da revocatoria, ne Il Diritto Fallimentare n. 5/2009.

[xxxii] Come acutamente suggerito dall’Avv. Alessandro Albè di Busto Arsizio.

[xxxiii] Una esemplificazione:

- 1° febbraio 2013: domanda di C.P.;

- 10 maggio 2013: compimento di atti autorizzati;

- 10 giugno 2013: compimento di atti non autorizzati;

- 20 settembre 2013: fallimento dell’impresa.

Gli atti autorizzati (del 10 maggio) saranno validi ed efficaci; gli atti non autorizzati (del 10 giugno) saranno invece inefficaci ai sensi dell’art. 44 l.f., ma non soggetti a revocatoria!

[xxxiv] Il Tribunale di Venezia (Sentenza 15/11/2011, estensore Gabriella Zanon in www.osservatorio-oci.org) in un caso di fallimento dichiarato solo 28 giorni dopo la dichiarazione di improcedibilità del concordato preventivo, ha ritenuto che “- Nel caso di specie non sussistono i presupposti per ritenere che, dichiarato improcedibile il concordato, la società sia tornata in bonis, con conseguente cessazione degli effetti del decreto di ammissione; il lasso temporale intercorrente tra la dichiarazione di improcedibilità del concordato e la sentenza dichiarativa di fallimento costituisce infatti il tempo utile necessario, allo stato della legislazione vigente, per proporre, da parte d’uno dei soggetti legittimati, l’istanza di fallimento o per l’adozione del conseguente provvedimento da parte del Tribunale;

- La sentenza dichiarativa di fallimento, intervenuta dopo soli 28 giorni, comprova, ex post, che lo stato di crisi in base al quale l’imprenditore ha chiesto di essere ammesso a concordato preventivo, era in realtà uno stato di insolvenza; sicché l’identità del presupposto porta ad escludere la possibilità di ammettere l’autonomia delle due procedure con conseguente retrodatazione alla domanda di ammissione al concordato della data di opponibilità della compensazione;

- Il legislatore ha preso atto della continuità delle procedure consecutive considerando crediti prededucibili anche quelli sorti in occasione o in funzione delle procedure concorsuali (v. art. 111, secondo comma, L. Fall.) e prevedendo che con il reclamo avverso la sentenza che dichiara il fallimento possono farsi valere anche motivi attinenti all’ammissibilità della proposta di concordato (v. art. 162, ultimo comma, L. Fall.)”.

[xxxv] Paola Vella, L’accrescimento dei controlli giudiziali di merito e degli strumenti protettivi nel nuovo concordato preventivo, www.ilcaso.it, 31/10/2012.

[xxxvi] Spunto tratto dal nostro “Contratti pendenti:sospensione e scioglimento nel concordato in continuità e nel concordato in bianco – I contratti bancari in particolare” – www.ilfallimentarista.it, 14/5/2013

[xxxvii] Per un riferimento organico a giurisprudenza e bibliografia, vedasi il più volte citato Paolo Bosticco ne Il Fallimentarista 8/8/2013, Dubbi e incertezze sull’autorizzazione al compimento di atti di straordinaria amministrazione nel nuovo concordato in bianco.

MINIMI RIFERIMENTI GIURISPRUDENZIALI, BIBLIOGRAFICI E NORMATIVI - Sulla nuova disciplina sono ancora ovviamente limitati gli interventi: nel solco tracciato dalla citata circolare milanese, si vedano L. Panzani, Concordato in bianco e sospensiva su proposta di accordo di ristrutturazione: prime questioni, in ilFallimentarista, ove si ipotizza che il Tribunale possa subordinare la concessione di autorizzazioni al deposito di anticipazioni sul piano; A. Penta, Il concordato preventivo con continuità aziendale: luci e ombre, in Dir. fall., 2012, 673, che esprime perplessità sul compimento di atti in assenza della possibilità di verificarne la congruità rispetto ad un piano non ancora redatto, opinione espressa anche A. Patti, Rapporti pendenti nel concordato preventivo riformato tra prosecuzione e scioglimento, in Fall. 2013, 261 con riguardo all’autorizzazione allo scioglimento dei contratti pendenti, peraltro con la precisazione che il testo della norma non consente di riteneretout court preclusa l’autorizzazione a seguito della sola domanda “prenotativa”; al riguardo il dubbio sull’applicabilità dell’art. 169-bis l. fall. nel “preconcordato” ha dato vita a tesi contrastanti: contrari all’applicazione Trib. La Spezia, 25 ottobre 2012; F. Lamanna, La problematica relazione tra pre-concordato e concordato con continuità aziendale alla luce delle speciali autorizzazioni del tribunale, in IlFallimentarista; P. Vella, Il controllo giudiziale sulla domanda di concordato preventivo “con riserva”, in Fall. 2013, 82 ss.; Trib. Pistoia, 30 ottobre 2012, in Fall. 2013, 74 ipotizza invece che sia possibile solo la sospensione e non lo scioglimento; a favore dell’applicazione estesa della norma si esprimono Trib. Salerno, 25 ottobre 2012, in ilFallimentarista e Trib. Monza, 16 gennaio 2013; in quest’ultimo senso v. anche M. Vitiello, Scioglimento e sospensione dei contratti pendenti nel concordato con riserva, in IlFallimentarista, laddove peraltro l’Autore ipotizza la necessità di una anticipazione dei contenuti del piano e della relazione dell’esperto; D. Fico,Applicabilità dell’art. 169-bis al concordato preventivo con riserva: scioglimento di un contratto di interest rate swap, in ilFallimentarista.
In giurisprudenza, la tesi secondo la quale le autorizzazioni del tribunale nell’ambito del periodo tra il deposito della domanda “in bianco” e l’ammissione postulano una disclosure sul contenuto del piano concordatario è sostenuta da Trib. Monza, 21 gennaio 2013, in Ilcaso.it e dalla recente Trib. Roma, 20 febbraio 2013, in ilFallimentarista, con riguardo alla autorizzazione di cui all’art. 169-bis l.fall.; nello stesso senso, E. Marinucci,La domanda di concordato preventivo dopo il «decreto sviluppo»: legge fallimentare e bankruptcy code a confronto, in Riv.dir.Proc., 426 ss. ritiene che le autorizzazioni previste dall’art. 161, comma 7, l.fall. postulino almeno l’anticipazione delle linee del piano concordatario.
Più in generale, sulla distinzione tra atti di ordinaria e straordinaria autorizzazione nell’ambito di procedure aperte dopo il “Decreto Sviluppo”, si vedano Trib. Terni, 10 dicembre 2012; Trib. Modena, 14 novembre 2012; Trib. Terni, 12 ottobre 2012, in Fall. 2013, 99; Trib. Modena, 14 settembre 2012, ibidem, 105; Trib. Milano, 23 novembre 2012; come osserva P. Baldassarre, Preconcordato e criteri per autorizzare gli atti di straordinaria amministrazione, in IlFallimentarista, la recente giurisprudenza mutua dall’orientamento di legittimità pre-riforma l’interpretazione secondo la quale devono considerarsi di straordinaria amministrazione gli atti che possano incidere in modo negativo sul patrimonio destinato al soddisfo dei creditori (v. anche F. Lo Presti,Preconcordato e autorizzazioni eventualmente necessarie per l’utilizzo di linee di credito a breve termine (cd. autoliquidanti), in I lFallimentarista). Ed invero, in passato si riteneva pacifico che l’elenco degli atti soggetti ad autorizzazione contenuto nell’art. 167 cpv. l.fall. fosse meramente esemplificativo (Cass., 8 agosto 1997, n. 7390; Trib. Foggia, 7 aprile 1989, in Dir.Fall., 1989, II, 960; Trib. Reggio Emilia, 15 gennaio 1981, in Dir.Fall., 1982, II, 1107; Cass., 17 maggio 1974, n. 1433; Cass., 5 dicembre 1970, n. 2556), occorrendo individuare un criterio discretivo generale su cui fondare la distinzione tra atti di ordinaria e straordinaria amministrazione; sul punto, superata una tesi risalente che applicava il criterio utilizzato per la tutela degli incapaci e dei minori (Cass., 21.2.1969, n. 592; Cass., 10.8.1966, n. 2173) e ciò sul rilievo che nell’ambito della gestione imprenditoriale, la distinzione è assai labile (Cass., 26.3.1997, n. 2674), si era giunti alla conclusione che “ il carattere di atto di straordinaria amministrazione dipende dalla sua idoneità ad incidere negativamente sul patrimonio del debitore” (Cass., 20 ottobre 2005, n. 20291; Cass., 11 agosto 2004, n. 15484; Cass., 10 febbraio 2006, n. 2972, ove si sottolinea che gli atti di gestione normale non devono alterare la situazione su cui si fonda la proposta di concordato; v. amplius G. Lo Cascio, Il concordato preventivo, VII ed., Milano, 2008, 424 ss.).
Sotto un profilo più specifico, come osserva P. Vella, Il controllo giudiziale sulla domanda di concordato preventivo “con riserva”, cit., 93 ss., la norma riformata risolve il problema della disciplina degli atti compiuti nel “limbo” tra la domanda e l’ammissione; sul punto, già ante riforma era indiscusso che il debitore possa in pendenza di concordato liberamente contrarre obbligazioni, fare proposte contrattuali ed accettarle nell’esercizio della sua impresa, restando titolare dei rapporti conseguiti (Cass., 20.3.1990, n. 2320; T. Genova, 27.7.1985, ivi, 1986, 893). Per quel che concerneva, invece, gli atti di straordinaria amministrazione, stante la competenza specifica del Giudice Delegato ad autorizzarne il compimento, la dottrina si divideva tra due tesi radicali: alcuni ritenevano che al debitore fosse tout court precluso sino all’ammissione ogni atto che esulasse dall’ordinaria amministrazione (LO CASCIO G., Il concordato preventivo, cit., 416 che richiamava una risalente Trib. Genova, 18.3.1958, in Foro It., 1959, I, 1799); la tesi opposta riteneva, invece, che il deposito del ricorso comportasse solo il divieto di azioni esecutive e non anche gli effetti del concordato per il debitore (AA.VV.,Il concordato preventivo e quello stragiudiziale, in Ragusa Maggiore e Costa (a cura di)Le procedure concorsuali - Procedure minori, Torino, 2001, 91) che, quindi poteva compierli liberamente, salvo poi subire una sanzioneex post se si fosse trattato di atti censurabili (CENSONI, Osservazioni sugli effetti prodromici del concordato preventivo, in Dir.Fall., 1976, II, 612; T. Pescara, 15.11.1974, in Dir.Fall., 1976, II, 612). La giurisprudenza di merito, per parte sua, in passato tendeva a far coincidere il momento iniziale di applicazione della norma con quello della domanda (T. Foggia, 8.4.1983, in Dir.Fall., 1983, II, 958; T. Milano, 30.12.1976, in Dir.Fall., 1977, II, 270; T. Pescara, 15.11.1974, in Dir.Fall., 1976, II. 612; contra T. Firenze, 19.1.1982, in Dir.Fall., 1982, II, 1558); anche in sede di legittimità la tesi della retrodatazione, sostenuta per l’ormai abrogata amministrazione controllata (Cass., 28.11.1991, n. 12804; Cass., 12.3.1990, n. 2004) e per un certo periodo negata invece per il concordato (Cass., 10.7.1999, n. 7272; Cass., 23.7.1994, n. 6870), aveva poi finito col prevalere (Cass., 10.2.2006, n. 2972; Cass., 12.10.1999, n. 11432), anche se non constano pronunzie specifiche sulle conseguenze di atti di straordinaria amministrazione non autorizzati tra il deposito della domanda e l’ammissione.

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