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>> Anno 2013

Il concordato "in bianco" scivola sulla revocatoria

di Giuseppe Rebecca
Il Sole 24 ORE- Norme e Tributi, N. 276 - 8 ottobre 2013

 

Con la previsione del cosiddetto concordato “in bianco” tenuto conto che tra presentazione della domanda e presentazione del piano possono passare anche 180 giorni, nel caso di successivo fallimento, si viene ad estendere il periodo di riferimento per una eventuale azione di revocatoria fallimentare. Ci si riferisce ovviamente agli atti e ai pagamenti effettuati prima della iscrizione della domanda.

L’articolo 67 lettera e) della Legge Fallimentare prevede che non siano revocabili “gli atti, i pagamenti e le garanzie posti in essere in esecuzione del concordato preventivo, (dell’amministrazione controllata), nonché dell’accordo omologato ai sensi dell’articolo 182 bis, nonché gli atti, i pagamenti e le garanzie legalmente posti in essere dopo il deposito del ricorso di cui all’articolo 161”.

Al di là della assai ardua classificazione degli atti compiuti, tra straordinari urgenti autorizzati, ordinari, pagamento di debiti anteriori attestati e autorizzati, il tutto rappresentato dall’avverbio “legalmente”, tutti i restanti atti sono al di fuori dell’esenzione.

Anche sul “legalmente” si possono avanzare considerazioni diverse, nel senso che un significato attribuibile è che gli atti siano stati compiuti secondo le norme.

Tutti questi atti non sono revocabili.

E qui sta l’errore.

La norma contrasta con l’articolo 69 bis, dove al secondo comma si prevede appunto il principio della consecuzione delle procedure, in caso di concordato, anche in bianco, seguito da fallimento.

L’art. 69 bis comma 2 stabilisce per legge che, se alla domanda di concordato preventivo segue il fallimento, il periodo sospetto ai fini della revocatoria decorre dal momento della pubblicazione della domanda di concordato preventivo nel registro delle imprese (quindi retroagisce). Di conseguenza, nel caso di atti e pagamenti eseguiti nel corso della procedura di C.P., poi non andata a buon fine, non ha più senso l’esenzione dalla revocatoria fallimentare. Questi atti è come se fossero stati compiuti dopo la dichiarazione di fallimento, e non invece prima (e questo per l’effetto dell’art. 69 bis, comma 2. Gli atti compiuti dopo la dichiarazione di fallimento non sono mai soggetti a revocatoria fallimentare, ma sono inefficaci, ai sensi dell’art. 44 l.f.. E si tenga conto che l’inefficacia ai sensi dell’art. 44 l.f. è più forte dell’inefficacia conseguente alla revocatoria fallimentare, in quanto:

a) opera di diritto;

b) non richiede la prova della scientia decoctionis;

c) non è soggetta a limiti di tempo per quanto riguarda decadenze e prescrizioni.

Certamente per gli atti “legalmente” effettuati, e quindi gli atti di ordinaria amministrazione e quelli di straordinaria urgenti e autorizzati doveva essere previsto qualcosa, ma questo qualcosa non era certamente l’esenzione da revocatoria, quanto piuttosto, se si può dire, la conferma della efficacia, visto che per gli altri atti si ha l’inefficacia. Mai ipotesi di revocabilità quindi, a questi fini.

In definitiva, quindi, nel caso in cui un C.P. sfoci in fallimento, l’eventuale revocatoria fallimentare può colpire solo gli atti compiuti nel periodo sospetto antecedente alla presentazione della domanda di C.P., mentre quelli compiuti dopo la domanda di C.P., se non autorizzati o di ordinaria amministrazione non coerenti, saranno inefficaci ai sensi dell’art. 44 l.f..

 

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