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>> Anno 2013

Piccolo non è più bello

di Giuseppe Rebecca
Il Commercialista Veneto, N. 215 - Settembre / Ottobre 2013

Piccolo non è più bello. Questo è il refrain sempre più attuale. Le imprese devono crescere, se vogliono aggredire i mercati, e non possono più farlo per vie interne, come nel passato. Ora l’economia impone una velocità esasperata, e le dimensioni si possono aumentare solo con acquisizioni o con fusioni, alleanze di altro tipo o, talvolta, con le reti e i consorzi.

Certo non sempre impresa grande equivale a impresa di successo, ma questa ha sicuramente più possibilità di successo dell’impresa piccola.

E sotto questo punto di vista le imprese italiane sono troppo piccole.

Il 95% delle imprese italiane ha dimensioni ridotte (meno di dieci dipendenti); oltre il 50% ne ha uno solo.

Le virtù iniziali del piccolo (limitate esigenze di liquidità, carisma del fondatore, forte legame fiduciario con clienti selezionati), nel tempo diventano vizi di fondo: mancanza di liquidità per nuovi investimenti, dipendenza opprimente dal fondatore, scarsa diversificazione dei clienti. Oggi qualità e crescita vanno necessariamente di pari passo. E questo è percepito da un numero crescente di imprenditori: se nel 2007 il 44,9% affermava che piccolo è sempre bello, oggi la quota si è assottigliata al 34,4% e un’azienda su quattro dichiara di essere già inserita (anche se in forme non ancora codificate), in processi di aggregazione con vari gradi di impegno[1]. Spesso gli intervistati continuano a privilegiare una crescita per linee interne, ma c’è pur sempre un 26,2% che si dichiara pronto a fusioni o acquisizioni; peraltro, un 4% ritiene che, in prospettiva, la scelta giusta per mantenere in vita l’attività sia quella di cedere ad altri.

In definitiva, c’è un mare produttivo in cui navigano, esposti a tutti i venti, i piccoli velieri a struttura familiare, il cui controllo è esercitato centralmente da un’unica persona fisica o dalla sua famiglia; questo accade, in Italia, per oltre il 70% delle imprese industriali e dei servizi [2]. Ma all’orizzonte si stagliano, più stabili e sicure, in grado di solcare rotte più vaste, navi che possono accogliere più equipaggi, equipaggi finora coraggiosi, ma destinati a un’inevitabile deriva se non accorperanno le forze.

Mentre negli ultimi anni[3] le piccole imprese vedono una drammatica contrazione di export e fatturati, le grandi imprese italiane (più di 250 addetti) mostrano un trend simile a quello di aziende di analoga dimensione in Austria e Germania (-28%), con perdite sensibili, ma pur sempre meno vistose che nelle realtà di minori dimensioni. Per i piccoli si riducono anche drasticamente le possibilità di accesso al credito.

Diventare grandi significa anche imparare a separare davvero proprietà e gestione. I manager possono crescere e formarsi come responsabili qualificati, orientati a operare scelte rigorose e nell’interesse dell’azienda, indipendenti dall’orientamento della proprietà. Dovrebbero cioè potersi sottrarre dalle sabbie mobili del rapporto spesso vischioso con la proprietà, che raramente ne riconosce la soggettività professionale.

I pionieri dell’economia veneta – small business, big idea – dovranno trovare in fretta il coraggio di farsi spazio a vicenda, comprando o vendendo le aziende, aggregando e fondendo. Ma, per avere efficacia, non potrà essere un’operazione puramente dimensionale e contabile. Dovrà essere un processo con un’anima, in cui trovino cittadinanza un forte consenso di opinione, proposte anche estreme sul piano dell’innovazione e una nuova economia nei rapporti tra i diversi soggetti coinvolti. Sarà necessario dare forte il segnale che non è finita, che l’avventura continua, ma che in terre difficili si viaggia sicuri solo in carovana.

Ma le imprese venete hanno paura di crescere, con tutte le incognite che questo comporta, non solo sul piano degli investimenti, ma anche su quello del cambio di prospettiva richiesto. Soffrono forse della sindrome di Peter Pan? Forse sì, a leggere le statistiche, come si è visto. Ma è il momento, soprattutto per le aziende in buona salute, invero non molte, di pensare concretamente a cambiare scala, strategia, assetti, attraverso aggregazioni che le riposizionino in modo più autorevole sul mercato[4].

Le possibilità pratiche di aggregazione sono diverse, come tutti sappiamo: fusioni, consorzi, gruppi di acquisto e di vendita e reti (queste ultime peraltro ancora poco diffuse; a settembre 2013, in Veneto, sono stati sottoscritti solo 128 contratti di reti tra 404 imprese) [5].

Ancora troppo poco, però: i fatti dimostrano che se dar vita a una piccola azienda è una grande sfida, mantenerla piccola è ormai un vero azzardo. E’ normale che un’azienda nasca piccola, ma è altrettanto sano che la sua storia preveda un’evoluzione, una crescita, mediante acquisizioni.

In estrema sintesi, il suggerimento che si può dare alle imprese che vanno bene, e ce ne sono ancora, per fortuna di tutti, è quello di acquisire altre imprese dello stesso settore (esplorare altri settori è molto più arduo), in Italia o anche all’estero, oppure di fondersi.

Tutte e due le opzioni non sono scevre da difficoltà operative, di gestione, di impegno e di reperimento delle risorse.

L’unica alternativa è la cessione; guai invece a star fermi, ad aspettare che il mercato cambi o che succeda chissà cosa.

E sta a noi professionisti delle imprese assistere gli imprenditori in questo difficile momento, e cogliere assieme le vie più opportune.

Nello stesso tempo, anche noi ne siamo direttamente coinvolti, con la stessa nostra organizzazione degli studi.

Dobbiamo crescere, avere più specializzazioni, fornire più servizi. Tutti lo tentiamo, e stiamo sperimentando nuove formule di gestione dell’attività professionale, alla ricerca di un nuovo modello, che certamente non può essere quello del piccolo professionista singolo, sicuro di essere escluso dal business che varia.



[1] Fondazione Nord Est – Quaderni – L’Italia delle Imprese – AAVV, rapporto 2012 a cura di Daniele Marini – Venezia, 2012.

[2] Ibidem e Istat – Rapporto annuale 2013, p. 66 e pp. 78 e ssg. – Roma, 2013.

[3] Tomaso Eridani in viaSarfatti25.it – Il quotidiano della Bocconi – 28/07/2010.

[4] Intervista a Roberto Zuccato – neopresidente Confindustria Veneto – Linkiesta 13/02/2013 “Il piccolo è bello non basta più: il new deal degli imprenditori veneti”.

[5] Italia Oggi – Impresa: “Contratti di rete a quota 995”, p. 12, 02/09/2013.

 

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