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La bolla mondiale dei derivati fa paura

di Giuseppe Rebecca
portale Lettera43.it, 22 novembre 2014

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Il monte derivati mondiale al giugno 2014 era di 691 mila miliardi di dollari Usa (Bri, Banca dei regolamenti internazionali, dati resi noti a novembre 2014). È una cifra immensa, inimmaginabile, e di per sé poco significativa, almeno all’apparenza. Si pensi che il Prodotto interno lordo (Pil) mondiale per il 2013 è stato di circa 74 mila miliardi di dollari, e quello italiano è di poco più di 2 mila miliardi di dollari.

QUALCOSA È SFUGGITO DI MANO. Forse non ha molto senso paragonare le due realtà, ma si ha la netta sensazione che qualcosa, e più di qualcosa, sia sfuggito di mano. Il monte derivati è grande quasi 10 volte il Pil mondiale, solo poco meno di quanto lo fosse nel 2007; ancora nel 1998 il rapporto era soltanto di circa 2,5 volte. Rispetto ai dati di dicembre 2013, si osserva un calo (17 mila miliardi), dopo anni di crescita, anche tumultuosa. A giugno 2007, ante crisi mondiale, il totale del monte derivati era di soli - si fa per dire - 508 mila miliardi di dollari Usa, in gran parte derivati su tassi di interesse (563 mila miliardi nel 2014, contro 381 mila miliardi nel 2007). La situazione oggi è ben più elevata, rispetto al 2007, anche se ci sono più controlli e molte più regole. Saranno sufficienti per evitare rischi futuri? Non lo crediamo. Pare in ogni caso ragionevole attendersi, in presenza di determinati eventi, degli effetti nei mercati anche molto rilevanti.

LA PIÙ ESPOSTA È LA DEUTSCHE BANK. La gran parte di questa esposizione è raggruppata in 15 banche mondiali, e tra queste la più esposta è senza alcun dubbio Deutsche Bank, con 75 mila miliardi di euro (55 mila nel 2013), su un totale di circa 100 miliardi di depositi dei suoi clienti e 150 miliardi in fondi propri. Si tratta di un importo più o meno pari a cinque volte il Pil annuo dell’Europa stessa, più del Pil di tutto il mondo. Ma più che le autorità monetarie tedesche o europee, si preoccupa quella americana.

«IMPORTANTI RISCHI OPERATIVI». La Federal reserve (Fed) di New York ha denunciato «un importante rischio operativo». I rapporti finanziari della banca riguardanti i prodotti derivati sono di qualità debole, imprecisi e inaffidabili. La dimensione degli errori suggerisce fortemente che l’insieme della struttura di reporting regolamentare dell’azienda «necessita una profonda revisione». Un portavoce della Deutsche Bank ha replicato che «abbiamo lavorato diligentemente per rinforzare i nostri sistemi di controllo e ci siamo impegnati a essere i migliori». Si pensi che per gestire l’immensa quantità e controllare la conformità, il rischio e la tecnologia dei prodotti derivati, si dice che la banca abbia assunto 1.300 collaboratori, di cui 500 lavorano negli Stati Uniti.

SE FALLISCE UNO, VIA AL DOMINO. È ben vero che le diverse posizioni delle banche sono compensate tra loro e che l’esposizione effettiva rappresenta solo qualche miliardo, ma è sufficiente che anche un solo istituto fallisca per causare un devastante effetto domino. Vediamo allora quanto è l’esposizione delle banche americane, in derivati. JP Morgan Chase – attivi: circa 2.500 miliardi di dollari. Esposizione ai prodotti derivati: oltre 67 mila miliardi di dollari; Citibank – attivi: circa 1.900 miliardi di dollari. Esposizione ai prodotti derivati: circa 60 mila miliardi di dollari; Bank of America – attivi: circa 2.100 miliardi di dollari. Esposizione ai prodotti derivati: circa 54 mila miliardi di dollari; Morgan Stanley – attivi: 830 miliardi di dollari. Esposizione ai prodotti derivati: 44 mila miliardi di dollari; Goldman Sachs – attivi: 915 miliardi di dollari. Esposizione ai prodotti derivati: 54.500 miliardi di dollari. Secondo il New York Times, le banche americane possiedono quasi 280 mila miliardi di dollari di prodotti derivati. Infine, per restare in Italia, le perdite potenziali sui derivati ammontavano a 45 miliardi di euro, al 30 giugno 2014 (Il Sole 24 ore, 8 novembre 2014): il valore mark to market era di 7.382 miliardi di euro per le amministrazioni pubbliche e di 8.076 miliardi di euro per le controparti bancarie. Qualche motivo di preoccupazione c’è, è evidente.

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