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>> Anno 2015

Una provocazione sulla revocabilità delle rimesse bancarie

di Giuseppe Rebecca
portale unijuris.it, febbraio 2015

Commento alla sentenza del Tribunale di Udine del 17 dicembre 2014, giudice Lorenzo Massarelli

Premessa

I nuovi articoli 67 e 70 della Legge Fallimentare,[1] entrati in vigore il 17 marzo 2005, hanno trattato per la prima volta esplicitamente delle rimesse bancarie, ancorché in negativo; la norma ne parla infatti solo per esentarle da revocatoria, a certe condizioni.

Dopo aver dimezzato (da un anno a sei mesi prima del fallimento) il periodo sospetto (articolo 67, comma 2), la nuova norma dichiara non soggette all’azione revocatoria “le rimesse effettuate su un conto corrente bancario, purché non abbiano ridotto in maniera consistente e durevole l’esposizione debitoria del fallito nei confronti della banca” (articolo 67, comma 3, lettera b) l.f.).

È sempre ovviamente richiesta la conoscenza dello stato di insolvenza, da provare da parte del curatore fallimentare.

La decadenza dell’esercizio dell’azione, inizialmente invariata in 5 anni dalla data di fallimento, dal 16 luglio 2006 è così ora regolamentata “Le azioni revocatorie disciplinate nella presente sezione non possono essere promosse decorsi tre anni dalla dichiarazione di fallimento e comunque decorsi cinque anni dal compimento dell’atto”. Due sono i nuovi vincoli per l’esercizio dell’azione revocatoria, e precisamente:

- il vincolo temporale;

- il vincolo quantitativo.

Ricordiamo che per poter considerare revocabili le rimesse affluite su un conto corrente bancario (art. 67) sono sempre richiesti i seguenti requisiti:

- siano avvenute nei sei mesi antecedenti la dichiarazione di fallimento;

- venga provata la conoscenza dello stato di insolvenza;

- abbiano ridotto in maniera consistente e durevole l’esposizione debitoria del fallito nei confronti della banca.

Una volta rispettati i sopraelencati requisiti, la somma revocabile non potrà in ogni caso essere maggiore del c.d. rientro (art. 70) (almeno secondo la tesi maggioritaria, per fallimenti dichiarati dall’1 gennaio 2008).

Qui trattiamo di quello che si ritiene in definitiva essere il vero problema di base che deve ancora trovare adeguata concorde soluzione: come conciliare quello che potrebbe anche sembrare inconciliabile, e cioè l’art. 67 con l’art. 70 della legge fallimentare.

Articoli 67 e 70 L.F.

Anticipiamo fin da subito la nostra conclusione, già da molti condivisa, circa la convivenza dei due articoli.

Prevale, almeno dall’1 gennaio 2008, l’art. 70 della l.f., e quindi è revocabile, al massimo, il differenziale tra il massimo importo a debito e il saldo al momento del fallimento. L’articolo 67 l.f., che fa riferimento alle rimesse che hanno comportato una riduzione consistente e durevole dell’esposizione debitoria, di norma non troverà concreta applicazione; sarà solo di supporto al prevalente criterio base stabilito dall’art. 70 l.f.. In definitiva, la disposizione dell’art. 67 si dimostrerà spesso del tutto inutile.

A nostro avviso, però, è proprio la norma che è stata pasticciata, e dovrà essere riscritta; a legislazione attuale, le tesi possono essere le più discordi, e tutte con una loro dignità, come del resto si è visto in questi anni.

Sarà da chiarire perché ci siano due disposizioni in parte confliggenti: l’art. 67 e l’art. 70 l.f.. Se si revoca il rientro (art. 70 l.f.), tanto vale allora limitarsi a questo specifico semplice conteggio. Pare infatti evidente che, salvo casi del tutto eccezionali (rientro costante di piccole rimesse), l’importo che deriva dall’applicazione dell’art. 70 l.f. sarà sempre inferiore a qualsiasi importo derivante dai complessi e variegati conteggi previsti all’art. 67 l.f.. Questo di norma, salvo che non si fissino degli importi elevati per la consistenza. Ed allora tale articolo 67 l.f. si dimostra del tutto inutile.

Si assiste oggi a situazioni al limite dell’assurdo: si fanno conteggi minuziosi, si analizzano le rimesse che hanno ridotto l’esposizione in modo consistente e durevole, magari si fanno anche una serie di calcoli diversi per tener conto di tesi diverse, per poi limitare l’importo revocabile al rientro di cui all’art. 70 l. fall. Tanto lavoro per nulla.

Ma in effetti i legali si trovano nelle necessità di predisporre la citazione per revocatoria fallimentare facendo i conti, dettagliati, delle rimesse revocabili ex art. 67 ed anche ex art. 70 l.f.; il giudice, a sua volta chiederà al CTU di fare i doppi conteggi, magari con più varianti, per poi gettare via il tutto. E’ evidente che qualcosa non va. Ma ci si domanda: che senso ha una norma del tutto inutile?

Per un breve periodo (17 marzo 2005 - 31 dicembre 2007) si anticipa subito anche un altro aspetto, del tutto sfavorevole al mondo bancario.

Il decreto correttivo (D. Lgs. 169/2007), laddove ha modificato ulteriormente l’art. 70 l.f. facendo espresso riferimento all’estinzione di posizioni passive delle banche, è stato considerato (Cass. n. 20834/2010) come norma di interpretazione autentica, con efficacia differita al 1° gennaio 2008. Conseguentemente, per il periodo precedente, la norma modificativa non dovrebbe trovare applicazione, essendo appunto ad applicazione differita.

Nella fretta di dire che l’articolo 70 l. fall. si applica anche ai rapporti bancari (taluno infatti riteneva che non fosse invece applicabile), si è sbagliato ancora, attribuendo appunto una decorrenza differita. Conseguentemente, ciò significa che la norma non può essere applicata precedentemente. Per questo breve periodo, quindi, (17/03/2005 - 31/12/2007) sono revocabili tutte le rimesse ex art. 67 l.f., ovviamente sempreché abbiano ridotto l’esposizione in modo consistente e durevole, e sia provata la conoscenza dello stato di insolvenza da parte della banca. Nessun riferimento, quindi, al rientro previsto dall’art. 70 l. fall., applicabile solo dal 1° gennaio 2008.

Un tentativo pratico

Ed ecco che siamo arrivati ad una prima pratica applicazione di quanto detto, cioè ad una azione revocatoria impostata solo sul rientro. Una procedura fallimentare aveva citato in revocatoria una banca, eccependo esclusivamente il rientro. In definitiva, andava subito al sodo della questione.

Ma nel fare questo ha omesso fornire il dettaglio delle rimesse consistenti e durevoli ex art. 67 L.F..

Anche se non serve a molto, almeno per noi, il giudice ha richiesto la elencazione di queste rimesse, non ritenendo sufficiente il semplice riferimento al rientro di cui all’art. 70 L.F..

Così si è espresso il giudice: “L’azione revocatoria fallimentare di pagamenti, qualora sia diretta nei confronti di rimesse effettuate dal correntista, poi fallito, su di un conto corrente bancario, deve tenere conto di tre aspetti:

  • l’individuazione dei singoli atti estintivi censurati nel periodo sospetto (art 67 secondo comma L.Fall.);
  • la determinazione del carattere “consistente” e “durevole” di ciascuna rimessa censurata, al fine di superare l’ordinaria esclusione da revocatoria posta altrimenti dalla legge in simili casi (art. 67 terzo comma lett. B L.Fall.);
  • la limitazione del quantum revocabile alla “diffenza tra l’ammontare massimo raggiunto dalle sue pretese, nel periodo per il quale è provata la conoscenza dello stato d’insolvenza, e l’ammontare residuo delle stesse, alla data in cui si è aperto il concorso” (art. 70 terzo comma L.Fall.).

Nella fattispecie la curatela non indica, nemmeno per relationem, le singole rimesse oggetto di domanda, su cui avviare le successive riflessioni sopra esposte, ma si limita ad offrire il dato della differenza oggettiva fra il saldo negativo del conto al 26.12.2010 e quanto alfine insinuato al passivo.

Non è così operando, tuttavia, che si soddisfa l’onere di allegazione vigente in questa materia, né può affermarsi che, discorrendo di differenza fra saldi, implicitamente la curatela abbia chiesto la revoca di tutte le rimesse del periodo. […]

Era dunque essenziale che la curatela elencasse le specifiche operazioni in “avere” di cui era richiesta l’inefficacia, allo scopo di stabilire se ciascuna di esse:

a) avesse o meno natura solutoria, sì da essere considerate “rimesse” (vedi la presenza di girofondi e di versamenti di penali da parte di terzi per pagamento ritardato di assegni bancari);

b) rientrasse o meno, di conseguenza, nel canone di consistenza e durevolezza richiesto dalla legge.

Solo al termine di tale operazione si sarebbe potuta affrontare la questione del limite massimo revocabile. L’inammissibilità non pregiudica la riproposizione della domanda per il suo completo esame nel merito”. Alla fine, comunque, il giudice afferma che la domanda potrà essere riproposta. È evidente che la procedura ha fatto una richiesta forzata, bypassando l’intero articolo 67 l.f., ma questo deve essere visto come ulteriore tentativo per cercare di arrivare ad una nuova impostazione della revocatoria delle rimesse.

A tutti dovrebbe infatti essere chiaro che l’art. 67 l.f., pur esistente, non ha di fatto alcuna rilevanza, di norma. Le rimesse consistenti e durevoli sono quasi sempre superiori al rientro, ragion per cui non pare logico approfondire conteggi, magari con più opzioni, che poi si devono gettare. Gli importi revocabili ex art. 70 l.f. di norma sono inferiori a quelli revocabili ex art. 67 l.f.. Ciò comunque, con una evidente limitazione; qualora il rientro fosse consistente, se la percentuale di consistenza fosse determinata in una percentuale elevata (ad esempio 10%), ecco che rimesse superiori a tale entità parrebbero difficilmente esistenti, o comunque molto limitate, peraltro a fronte di un sicuro rientro, in astratto revocabile.

Questo è un aspetto, semplice e chiaro, che la dottrina non ha ancora fatto proprio, ma che, con l’applicazione pratica della normativa emerge però in tutta la sua evidenza e, se vogliamo, semplicità.

A questo proposito è significativa la sentenza del 2008 del Giudice Mauro Vitiello di Milano, la prima che si è occupata in modo completo della nuova problematica e per questo sicuramente apprezzabile. Proprio dalla lettura della sentenza si capisce che il giudice sembra sorprendersi del fatto che gli importi revocabili ex art. 70 l.f. siano inferiori a quelli calcolati ex art. 67 l.f. Ma non può che essere così, sempre o meglio quasi sempre.

Cerchiamo di dare una giustificazione a quanto appena espresso, con una dimostrazione grafica dell’assunto secondo il quale gli importi revocabili ex art. 70 l.f. (il cosiddetto “rientro”) sono in linea di massima inferiori o al massimo uguali di norma, mai superiori ai conteggi effettuati in base all’art. 67 l.f., qualsiasi sia l’impostazione data, tra quelle possibili. Con la retta si uniscono i due saldi di riferimento dell’art. 70 l.f. con il rientro determinato appunto come differenza tra saldo al momento del fallimento e la maggiore esposizione nel periodo di conoscenza dello stato di insolvenza.

Con la linea ondulata si illustra il saldo debitore che deriva dalla serie delle rimesse e degli addebiti. Ovviamente la serie può essere più o meno mossa, ma nella sostanza l’andamento sarà sempre più o meno lo stesso. Questo il grafico:

tribUdine

 

Ora, appare pacifico che il rientro ex art. 70 l.f. è, n el caso specifico, di 50, dato dalla differenza tra -70 e -20. Le rimesse che hanno ridotto l’esposizione in maniera consistente e durevole trovano riscontro nella linea curva. Possono essere tutte o solo una parte delle rimesse, questo non è importante. Ma ad ogni buon conto resta il fatto che la sommatoria dei movimenti è sempre sicuramente e necessariamente superiore al dislivello evidenziato dalla retta; ciò ovviamente salvo esclusioni sulla base di percentuali elevate di consistenza. Pertanto sono da considerare tutte le linee che dal punto più basso arrivano di volta in volta al punto più alto. Non importa, come detto, che siano tutte o solo parte. È in ogni caso pacifico che gli importi che ne risulteranno saranno sempre superiori a quanto evidenziato dalla linea retta. Il disegno illustra chiaramente l’assunto. La sentenza qui commentata del Tribunale di Udine tocca quindi un aspetto molto importante, relativamente alla revocatoria delle rimesse bancarie, e da un punto di vista formale appare ineccepibile; non così per quanto concerne la sostanza.

[1] Sono stati introdotti dal D.L. 14 marzo 2005, n. 35 (in G.U. 16 marzo 2005 n. 62) convertito nella legge n. 80 del 14 maggio 2005. Nel D.L. è stato integralmente trasferito il maxiemendamento approvato dal Consiglio dei Ministri ancora il 23 dicembre 2004, Atto Senato 1243 “Modifiche urgenti al R.D. 16 marzo 1942 n. 267 recante disciplina del fallimento”. Abbiamo poi il D.Lgs n. 5 del 9 gennaio 2006, legge di riforma del fallimento, integrato dal correttivo, il D.Lgs. n. 169 del 12 settembre 2007.

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