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Il nuovo abuso del diritto risolve la compravendita di partecipazioni

di Giuseppe Rebecca
Il Sole 24 ORE - Norme & Tributi - 26 ottobre 2016

La cessione della quota totalitaria di una partecipazione societaria è assimilabile, ai fini delle imposte indirette, alla cessione d'azienda e, pertanto, da riqualificare come tale. Questo quanto affermato dalla Commissione tributaria regionale della Toscana nella sentenza n. 1252 del 7 luglio 2016.

Il caso

La Ctr ha accolto l'istanza dell’amministrazione finanziaria che contestava al contribuente la stipula di un atto di compravendita di partecipazione, anziché di cessione d’azienda, al solo fine di ottenere un risparmio d’imposta. Secondo l’amministrazione, il contribuente aveva optato per la cessione di partecipazione per beneficiare della più ridotta imposta (fissa) di registro (allora era di 168 euro, oggi di 200 euro), evitando l’applicazione della più gravosa imposta proporzionale del 3%, applicabile in caso di cessione d’azienda.

Il parere della Commissione è, d’altronde, in linea con quello, sorprendente, espresso dalla Cassazione nell’ordinanza 24594 del 2 dicembre 2015 (udienza 9 luglio 2015). Il caso era analogo a quello trattato dalla Ctr: la Suprema Corte ha riqualificato l’atto di compravendita della quota totalitaria della società in cessione d’azienda, applicando la conseguente imposta indiretta proporzionale. La Cassazione ha ribadito che «ai fini fiscali, la causa reale della volontà negoziale prevale sull’assetto cartolare impresso dalle parti» e che «i concetti privatistici relativi all’autonomia negoziale regrediscono, di fronte alle esigenze antielusive poste dalla norma». A nulla occorre, secondo la Corte, che l’agenzia delle Entrate fornisca in giudizio la prova certa dell’intento elusivo. Ad avviso della Ctr e della Cassazione, il fondamento giuridico delle sentenze di cui sopra va ricercato nell’articolo 20 del Dpr 131 del 1986, il quale dispone che «l’imposta [di registro] è applicata secondo l’intrinseca natura e gli effetti giuridici degli atti presentati alla registrazione anche se non vi corrisponda il titolo o la forma apparente».

La giurisprudenza è giunta alle medesime conclusioni anche in caso di operazioni di cessione dell’intero capitale sociale precedute a breve distanza da un conferimento di immobili o d’aziende, riqualificando l’atto come cessione d’azienda o di bene, sempre ai fini delle imposte indirette. (A titolo esemplificativo, si vedano le sentenze della Cassazione 6835/13 e 3481/14; in senso opposto, le sentenze Ctp di Milano 388/2010 e 153/2012).

Le pretese dell’amministrazione finanziaria hanno ad oggetto le sole imposte indirette, e non potrebbe essere diversamente, posto che la disposizione contenuta nell’articolo 176, comma 3 del Tuir esclude espressamente l’elusività della cessione di partecipazioni preceduta da conferimento ai fini delle imposte dirette, disponendo che l’articolo 37-bis del Dpr 600/73 (sull’elusione delle imposte dirette) non rileva in questa fattispecie. A maggior ragione, l’abuso del diritto (sempre ai fini delle imposte dirette) non dovrebbe essere ravvisato nella semplice cessione di quote non preceduta da conferimento.

Ma le cose sono cambiate, e sono cambiate in meglio. A settembre 2015 è entrato in vigore il Dlgs 128/2015 sulla «Disciplina dell’abuso del diritto o elusione fiscale». Questo decreto ha abrogato il sopracitato articolo 37-bis del Dpr. 600/73 (elusione ai fini delle imposte dirette) e ha inserito una nuova disciplina antielusiva generale, valida sia per le imposte dirette che per le indirette. L’articolo in cui è contenuta tale normativa è l’articolo 10-bis, inserito nello Statuto del Contribuente (legge 27 luglio 2000, n. 212).

Inoltre, il Dlgs ha disposto che, d’ora in avanti, le disposizioni che richiamano l’abrogato 37-bis si intendono riferite all’articolo 10-bis, in quanto compatibili. Pertanto, l’articolo 176 del Tuir (che esclude dalle operazioni elusive, ai fini delle imposte dirette, la cessione di partecipazioni preceduta da conferimento) non richiamando più l’articolo 37-bis (elusione delle imposte dirette), si deve ora intendere riferito al nuovo articolo 10-bis (elusione delle imposte dirette e indirette). Quindi, proprio per previsione normativa, la cessione di partecipazioni preceduta da conferimento d’azienda non è più elusiva né per le imposte dirette né per le indirette, e, a maggior ragione, nel caso di cessione di partecipazioni non preceduta da conferimento. È così superato l’orientamento della Cassazione che ha optato per la riqualificazione, ai fini delle imposte indirette, della cessione di partecipazione in cessione d’azienda.

Si aggiunga, infine, che la Cassazione (sentenza 16675/2016) ha affermato che l’articolo 10-bis è norma avente carattere interpretativo e, pertanto, applicabile anche ai giudizi in corso. Come disposto dal nuovo art. 10-bis, l’abuso del diritto emerge nelle operazioni finalizzate a realizzare «essenzialmente vantaggi fiscali indebiti» e «prive di sostanza economica», e non nella scelta del contribuente di preferire un certo percorso lecito, previsto dallo stesso ordinamento per raggiungere un risultato giuridico, ottenendo contestualmente un risparmio fiscale. Certo che in Italia, in una situazione intermedia tra civil law e common law, possono sorgere, come in questo caso, ovvie difficoltà nell’armonizzare principi e norme specifiche. Testo Unico per casi ed elusione per principi sono concetti che possono stridere. Ma, come in questo caso, la norma ha chiarito ogni questione.

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