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Per l'«usato» immobiliare servono scelte coraggiose

di Giuseppe Rebecca
Il Sole 24 ORE- 2 marzo 2016

Il patrimonio immobiliare italiano è immenso, anche se datato; oltre 65 milioni di costruzioni, in totale.

Ci vorrebbe uno strumento normativo che ne agevolasse la circolazione, a beneficio di tutti: degli utilizzatori, dei venditori, degli agenti immobiliari, ed anche del fisco.

E invece questo strumento agevolativo ancora non c’è.

Stranamente, ma forse nemmeno tanto stranamente, questo strumento è da tempo previsto per il mercato delle auto usate, ma non per gli immobili usati.

Si ricorda che per i concessionari d’auto è stato previsto un particolare trattamento, proprio per non gravarli da spese e nello stesso tempo agevolarli, a tutto beneficio della speditezza del mercato.

Gli atti di vendita di veicoli usati a favore dei rivenditori di mezzi di trasporto godono di particolari agevolazioni fiscali: per la trascrizione al P.R.A. è prevista l’esenzione dal pagamento della Imposta Provinciale di Trascrizione e i diritti ACI sono applicati in misura ridotta.

Si è così limitato l’utilizzo delle procure per la vendita, che qualche problema potevano comportare.

Per gli operatori immobiliari, invece, nulla o meglio quasi nulla è stato previsto[1]. Una fetta di mercato si trova così di fatto bloccata. Riguarda il settore abitativo privato, e, con esso, le famiglie già proprietarie di immobili che magari vorrebbero cambiare casa, migliorando il loro standing abitativo.

Questo il caso tipico: disponibilità di un po’ di denaro, non intenzione o comunque timore di accendere mutui, nello stesso tempo desiderio di acquistare un’altra abitazione mediante permuta di quella di proprietà, versando in contanti la differenza.

Tenuto conto dei tempi sempre più lunghi necessari per rivendere una casa, oggi, spesso è proposta una permuta proprio allo stesso venditore/impresa di costruzioni. E questa impresa, salvo che non ritenga di tenere l’immobile in preliminare per un lungo periodo di tempo (si corrono sempre dei rischi, anche in presenza di una eventuale procura irrevocabile), alla fine è obbligata ad intestarsi il bene, con ciò sostenendo imposte d’atto rilevanti (in genere, 9% di imposta di registro, oltre ad imposte ipo-catastali in misura fissa). In un momento di estrema attenzione ai prezzi, quest’onere diventa eccessivo e di fatto rende spesso inaccettabile la stessa proposta di permuta. E così il risultato che si ottiene è desolante: l’imprenditore edile non vende il bene nuovo e il privato non cambia casa, e mantiene la liquidità.

Ecco allora la proposta: per le imprese costruttrici, o comunque per le società immobiliari che vendono immobili nuovi, perché non consentire di intestarsi abitazioni o anche uffici da rivendere come abitazione senza alcun pagamento di imposte, in perfetta neutralità, quindi?

Così appunto è stato fatto per i concessionari d’auto per la intestazione dell’usato. E ci si dovrebbe stupire del fatto che in effetti si sia favorito il settore del mercato dell’auto, cosa peraltro condivisibile, mentre invece nulla si sia fatto per il settore immobiliare, che di tutta evidenza ha un impatto maggiore.

Si tratta di una proposta indubbiamente virtuosa; si dà sviluppo al settore, che ne ha estremamente di bisogno, si vende il nuovo e si vende il vecchio. L’erario incassa così le imposte sulle due vendite (ancorché quelle sull’usato un po’ più avanti). A situazione attuale, invece, su queste operazioni l’erario non incassa alcunché, in quanto nemmeno più si fanno, queste permute, e tutto resta fermo.

Qualcosa peraltro è stato fatto, e riguarda l’esenzione per l’IMU e per la TASI ([2]) sugli immobili costruiti e invenduti, purché non locati dall’impresa costruttrice.

Ma ciò non riguarda la permuta e l’usato.

Invero, un timido, timidissimo tentativo è stato fatto con il recente Decreto Legge n. 18 del 14 febbraio 2016, in Gazzetta Ufficiale del 15 febbraio 2016, in vigore dal 16 febbraio 2016.

Nel decreto, che riguarda la riforma delle Banche di Credito Cooperativo, è stato inserito l’articolo 16 che prevede l’applicazione di imposte fisse di registro, ipotecarie e catastali (200 euro per ciascuna imposta) per gli acquisti di immobili nell’ambito di procedure giudiziarie di espropriazione immobiliare o di procedure ex RD 267/42. Ma, oltre che a valere solo per meno di un anno, scadendo il 31 dicembre 2016, è stata posta una condizione assurda; qualora l’immobile non sia venduto entro due anni, applicazione delle aliquote piene, e questo ci sta, ma con applicazione delle sanzioni del 30% e degli interessi di mora. Decisamente illogica è l’applicazione di sanzioni, ed anche il termine di due anni dovrebbe essere allungato, ponendolo magari a tre anni. Ma probabilmente sarà una agevolazione di nessuna applicazione pratica.

In sede di conversione la questione potrebbe essere risolta positivamente.



[1] Si ricorda che fino al 31.12.2013, per gli acquisti di abitazioni effettuati da parte di imprese con oggetto esclusivo o principale la rivendita di immobili, che intendano ritrasferirli entro 3 anni, era prevista una agevolazione, consistente nell’applicazione dell’imposta di registro nella misura ridotta dell’1%, in luogo del 7%.

Dall’1.01.2014, con la riforma della disciplina applicabile ai trasferimenti immobiliari a titolo oneroso (cfr. art. 10, D.Lgs. n. 23/2011; art. 23, D.L. n. 104/2013), tale agevolazione è venuta meno, essendo ora applicabile l’imposta di registro nella nuova misura ordinaria del 9% anche in riferimento a tali trasferimenti.

[2] Mentre per l’IMU l’esenzione è prevista per legge, per la TASI è prevista solo una riduzione dell’aliquota allo 0,1%, con possibilità discrezionale dei Comuni di aumentare la stessa fino allo 0,25% ovvero di diminuirla fino ad azzerarla.

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