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Coacervo: la Cassazione lo esclude

di Giorgia Cavallari
Il Commercialista Veneto, N. 236 - Marzo / Aprile 2017

 

1. Introduzione. L’evoluzione normativa dell’imposta sulle successioni e sulle donazioni

Non esiste più il coacervo nell’imposta di donazione a far data dal 1 gennaio 2001, per le donazioni avvenute in anni in cui l’aliquota era a scaglioni e nemmeno per quegli atti di liberalità avvenuti nel periodo di abrogazione dell’imposta. Così lo scorso dicembre ha deciso la Suprema Corte con due sentenze a dir poco attese.

Il legislatore, negli anni, ha ripetutamente e profondamente cambiato l’imposizione sugli atti a titolo gratuito. Nello specifico, l’imposta sulle successioni e donazioni è stata sostanzialmente modificata dal D. Lgs. 31 ottobre 1990, n. 346; successivamente la stessa è stata abrogata dalla Legge 18 ottobre 2001, n. 383, a far data dal 25/10/2001, per poi tornare in vigore -ex-novo- dal 03/10/2006 per le successioni e dal 29/11/2006 per le donazioni, a norma dell’art. 2 della Legge 24 novembre 2006, n. 286.

Senza analizzare la normativa precedente il D. Lgs. 346/1990, la nostra attenzione si concentra sulla successione di norme post approvazione del Testo Unico sull’Imposta sulle Successioni e Donazioni e sull’implicazione delle continue modifiche legislative.

Il susseguirsi delle citate disposizioni che hanno sostanzialmente prima modificato, poi eliminato ed in seguito (re)introdotto ex novo l’imposta sulle successioni e donazioni, ha determinato una profonda incertezza per tutti gli operatori circa il corretto inquadramento delle donazioni effettuate nel periodo in cui la relativa imposta era stata abrogata, ovvero tra il 25/10/2001 ed il 29/11/2006.

Tale incertezza negli anni si è tradotta in un vero e proprio scontro di opinioni tra dottrina e giurisprudenza di merito da un lato, e Agenzia delle Entrate dall’altro, con enorme disagio per i professionisti ed i contribuenti, fino a quando, lo scorso dicembre, la Cassazione ha stabilito, una volta per tutte, l’inesistenza del coacervo.

 

2. Lo scontro sul coacervo a 10 anni dalla (re)introduzione dell’imposta

Il Fisco ha considerato fino ad oggi le donazioni avvenute tra il 2001 ed il 2006 fiscalmente come atti che vanno ad erodere la franchigia, dando applicazione all’istituto del cd. coacervo.

Tale approccio è avallato unicamente dal documento di prassi n. 3/E del 2008, diffuso dall’Agenzia delle Entrate. In questa circolare l’Amministrazione Finanziaria sostiene, contrariamente a quanto invece ritenuto dalla più autorevole dottrina, che le donazioni intervenute nel momento in cui l’imposta sulle stesse era abrogata andassero considerate per verificare la capienza della franchigia definita dall’art. 2, comma 47 del D. L. 03/10/2006, n. 262. In tal modo il Fisco applica il coacervo, il quale era disciplinato nell’originario Testo Unico sull’imposta sulle Successioni (dall’art. 7, comma 2-quater, oggi abrogato, e dall’art. 8, comma 4 del D. Lgs. 346/1990), nonostante nell’imposta istituita ex-novo nel 2006 non fosse contemplato.

Se la previsione nel disposto normativo del 1990 chiariva la fattispecie nella sua interezza, il novello comma 47 dell’art. 2 del D.L. 03/10/2006, n. 262 reca, invece, una generale norma di rimando: “ È istituita l’imposta sulle successioni e donazioni sui trasferimenti di beni e diritti per causa di morte, per donazione o a titolo gratuito e sulla costituzione di vincoli di destinazione, secondo le disposizioni del testo unico delle disposizioni concernenti l’imposta sulle successioni e donazioni, di cui al decreto legislativo 31 ottobre 1990, n. 346, nel testo vigente alla data del 24 ottobre 2001, fatto salvo quanto previsto dai commi da 48 a 54 ”, appiglio sul quale l’Amministrazione Finanziaria si è sempre rifatta per giustificare la propria interpretazione.

Infatti, contrariamente a tale impostazione, a tratti vista quasi come paradossale, la dottrina disconosce fermamente la possibilità che le donazioni avvenute tra il 2001 ed il 2006 possano essere comprese tra quelle idonee ad erodere la franchigia disciplinata nell’ordinamento tributario dalla Legge 24 novembre 2006, n. 286.

Il generico rimando al D. Lgs. 346/1990 suesposto non è però sufficiente per giustificare tale approccio dell’Agenzia delle Entrate, né tanto meno per l’odierna applicazione dell’istituto del coacervo stesso. In tal senso vanno annoverati gli studi del Consiglio Nazionale del Notariato, nonché del Consiglio Nazionale dei Dottori Commercialisti ed Esperti Contabili. Lo Studio n. 1 del 12 dicembre 2008 [1], riferendosi all’interpretazione ministeriale appena esposta, sottolinea come “si deve, tuttavia rilevare che tale conclusione non viene supportata da alcuna motivazione” .

Le fondamentali ragioni per discostarsi dall’interpreazione ministeriale si possono sintetizzare nelle tre seguenti [2]:

1. l’irretroattività sancita dallo Statuto del contribuente;

2. l’impossibilità di considerare a posteriori una donazione intervenuta in un periodo in cui la stessa era irrilevante;

3. l’imposta attualmente in vigore è del tutto nuova, anche se disciplinata con parziale rinvio.

La dottrina in più occasioni ha fatto emergere che la franchigia ha il fine ultimo di definire un’area di esenzione dall’imposta; ma se questa viene erosa dalle donazioni che il de cuius ha effettuato in un periodo in cui l’imposta era abrogata, l’effetto finale è quello di attuare un’imposizione retroattiva. Come noto, ciò è contrario al principio del “legittimo affidamento del cittadino nella sicurezza giuridica”, il quale è tutelato non solo a livello nazionale, ma anche sopranazionale, allo Statuto del Contribuente[3] e alle preleggi.

Anche buona parte della giurisprudenza di merito [4], negli anni, si è espressa a favore dell’inesistenza del coacervo e, di conseguenza, dell’irrilevanza sotto il profilo fiscale delle donazioni effettuate tra il 2001 ed il 2006, avallando l’orientamento della dottrina.

Significativa è la sentenza del 9 febbraio 2015, n. 27 della Commissione Tributaria Provinciale di Reggio Emilia, che ha affermato come “[…] in materia successoria non esista alcuna norma che disciplini l’istituto del coacervo, come invece avviene con l’art. 57 D. Lgs. n.346 del 1990 per l’imposta sulle donazioni, posto che, a tal fine, non è certo invocabile l’art. 8, 4 comma cit., vero “relitto” normativo, in quanto lo stesso “richiama” una norma, oramai, abrogata, nei cui confronti era funzionale[…] ”.

Inoltre, a favore di quanto sostenuto dalla più autorevole dottrina, merita menzione anche la sentenza del 10 novembre 2008, n. 197 della Commissione Tributaria Provinciale di Milano, la quale ha sottolineato come siano irrilevanti dal punto di vista fiscale le donazioni intervenute tra il 25 ottobre 2001 ed il 2 ottobre 2006 ed è giunta ad affermare che “ la diversa tesi, sostenuta […] dall’Ufficio, non è meritevole di pregio e la sua applicazione violerebbe l’art. 3 della L. n. 212 del 2000 (Statuto del Contribuente) ”.

3. Le due recenti sentenze della Suprema Corte

Sul dibattuto tema del coacervo, che, come anticipato, per anni è sfociato in numerosi contenziosi e profonde incertezze, lo scorso dicembre, è finalmente intervenuta, due volte, la Suprema Corte, affermando che lo stesso non esiste più, a far data dal 01/01/2001, ovvero dalla disposizione normativa che ha trasformato l’imposta in commento in un’imposta ad aliquote fisse.

Infatti l’imposta di cui al D. Lgs 346/1990, nella sua originaria formulazione, si presentava con un’aliquota a scaglioni. Come noto questo implicava un incremento dell’imposizione media con l’aumentare dei redditi.

L’istituto del coacervo, disciplinato nel testo unico dell’imposta sulle successioni e donazioni del 1990, richiedeva la riunione fittizia del valore attualizzato delle donazioni fatte in vita (il cosiddetto donatum) con il relictum ed era contemplato con l’unico obiettivo di contrastare possibili manovre elusive in riferimento alle aliquote applicabili. La lettera c), co. 1, dell’art. 69, L. n. 342/2000 ha statuito però che l’imposta sulle successioni e donazioni è applicata con aliquote fisse in funzione al grado di parentela tra dante causa e avente causa. Di conseguenza, il sistema impositivo subisce in tale sede un profondo rinnovamento: non è più basato, infatti, su aliquote progressive; conseguentemente la riunione del donatum e relictum non è più necessaria.

La Suprema Corte ha dunque decretato che l’istituto del coacervo delle donazioni ai fini successori non ha più luogo, né ai fini della determinazione delle aliquote (oggi fisse e non più a scaglioni) né ai fini del calcolo della capienza della franchigia.

Nello specifico, la Suprema Corte, quinta sezione civile, nella sentenza n. 24940 pubblicata il 6 dicembre scorso ha rilevato che la riunione tra relictum e donatum, a norma dell’art. 8 comma 4 del D.Lgs. n. 346/1990, aveva la finalità di determinare l’aliquota di imposta, cosa che oggi non è più necessaria.

La controversia in parola era sorta tra l’Agenzia delle Entrate che ha applicato l’imposta sulle successioni sull’intero asse ereditario netto, sostenendo che le donazioni avvenute in vita dal de cuius a favore dei (futuri) eredi avessero eroso la franchigia del contribuente, e l’erede-ricorrente. Costui, disconoscendo l’approccio del Fisco, è ricorso alla giustizia di merito. La Commissione Tributaria Provinciale di Brescia con sentenza n. 81/10/05 del 2005 aveva accolto il ricorso. L’Agenzia delle Entrate, non ritenendosi soddisfatta della decisione di primo grado, ha deciso di procedere con il secondo grado giudizio. Il contribuente ha avuto anche in tale seconda occasione accoglimento delle proprie pretese e, più nello specifico, nella sentenza n. 199/65/09 emessa dalla Commissione Tributaria Regionale Lombardia, sezione staccata di Brescia, si legge “ di fatto in materia successoria non vi è più alcuna norma che disciplini il coacervo: l’art. 8, quarto comma del D. Lgs. 346/1990 non è invocabile in quanto presuppone un sistema di tassazione su base progressiva che non esiste più (come era evidenziato dall’inciso “ai soli fini della determinazione delle aliquote applicabili”) […] la Commissione ritiene non più applicabile l’istituto del coacervo dei beni donati con quelli ereditati ”. L’Ufficio, nonostante tale seconda sentenza sia conforme alla precedente opinione dei giudici di merito provinciali, ha poi proceduto fino all’ultimo grado di giudizio ed è ricorso fino alla Suprema Corte.

La Cassazione ha puntualizzato che l’unico riferimento normativo in vigore concernente il coacervo è la previsione di cui all’art. 8, comma 4 del TUS, la quale sarebbe stata però applicabile esclusivamente al fine della determinazione dell’aliquota d’imposta, oggi non più necessaria. Ciò viene sancito dalla Suprema Corte come un’abrogazione tacita ed implicita del disposto in parola. La Cassazione ha rilevato come “ fermo restando che […] il “cumulo” non sortiva effetto impositivo del donatum, ma soltanto effetto determinavo dell’aliquota progressiva, si ritiene logica e coerente la conseguenza che, eliminata quest’ultima in favore di un sistema ad aliquota fissa sul valore non dell’asse globale ma della quota di eredità o del legato, non vi fosse più spazio per dar luogo al coacervo ”.

La radicale modifica del sistema impositivo avvenuta con la L. n. 342/2000 ha tacitamente abrogato l’istituto del coacervo a far data dal 1° gennaio 2001. Questa significativa pronuncia di legittimità lascia intendere, addirittura, l’esistenza di franchigie autonome!

Tale decisione è stata ulteriormente confermata dalla sentenza n. 26050 del 16 dicembre dello scorso anno, con la quale è stata ribadita l’inesistenza del coacervo. La vicenda vede come protagonisti gli eredi di una persona deceduta nel 2007, dunque nell’attuale sistema impositivo (contraddistinto da aliquote differenziate per grado di parentela e/o coniugio tra de cuius ed avente causa).

La Cassazione, in questo caso, si è però trovata a dover ribaltare la precedente sentenza di secondo grado, la quale aveva visto soccombente l’erede. La Corte di Cassazione Civile, sezione Tributaria, ha, nuovamente, affermato che il coacervo delle donazioni ai fini tributari non ha più alcun valore né ai fini della verifica della capienza delle franchigie, né tantomeno ai fini della determinazione dell’aliquota d’imposta. Con tale pronuncia la Cassazione ha confermato quanto sostenuto dalla più autorevole dottrina per molti anni: le donazioni intervenute negli anni in cui non esisteva alcuna imposta sulle stesse (dunque tra il 25/10/2001 ed il 29/11/2006) non devono essere ricomprese nel calcolo della franchigia, altrimenti si applicherebbe illegittimamente ed incostituzionalmente un’imposizione retroattiva.

 

4. Alcune considerazioni sulle possibili conseguenze di tali pronunce

La Cassazione ha finalmente stabilito che l’istituto, grazie al quale l’Amministrazione Finanziaria qualificava quali atti idonei ad erodere la franchigia anche le donazioni avvenute nel periodo di esenzione, non può più ritenersi in vigore.

Sotto il profilo meramente pratico ci si chiede però quali saranno le implicazioni e le conseguenze di tali innovative posizioni giurisprudenziali.

Il primo aspetto da considerare riguarda i rimborsi che i contribuenti dovrebbero (o comunque potrebbero) richiedere, qualora abbiano scontato un’imposizione non dovuta proprio a causa del coacervo e si siano trovati a versare l’imposta erroneamente calcolata dall’Ufficio. Ci si chiede dunque se e come sarà possibile per i contribuenti lesi agire in tal senso e, quale logica conseguenza, quali saranno gli effetti per le casse dello Stato.

Posto che le donazioni “ante-2006” non debbono più essere considerate fiscalmente, ci si interroga poi se si potrà sfruttare “nuovamente” la franchigia, non considerandola più erosa da donazioni effettuate nel passato e tenendo in considerazione che la giurisprudenza di legittimità ha lasciato intendere l’esistenza di franchigie autonome.

In altri termini, le sentenze di cui sopra hanno stravolto completamente il calcolo della capienza della franchigia. Sorge spontaneo chiedersi come sia opportuno (e prudenziale) stimare l’erosione della stessa, posto che le donazioni avvenute negli anni di esenzione (dal 2001 al 2006) non vanno contemplate nell’erosione della stessa, ricordando che l’omissione dell’indicazione delle donazioni nel quadro C della dichiarazione di successione (attuale quadro ES della nuova “Dichiarazione di successione e domanda di volture catastali”) esporrebbe il contribuente a sanzioni per infedele dichiarazione (ex art. 51 del TUS, dal 100 al 200% dell’imposta non versata).

5. Conclusioni

L’interpretazione dell’Agenzia delle Entrate ha subito il rigetto da parte della Cassazione, la quale ha anzitutto fatto emergere che il “cumulo” tra donazioni ed eredità non sortiva effetto impositivo sul donatum, ma un semplice effetto determinativo dell’aliquota (progressiva) d’imposta e “conseguenza logica e coerente” è che, una volta eliminata la progressività dell’aliquota “ in favore di un sistema ad aliquota fissa […]non vi fosse più spazio per dar luogo al coacervo ”.

Sull’esistenza del coacervo, la giurisprudenza di legittimità si è correttamente posta in netto contrasto con quanto sostenuto per anni dall’Agenzia delle Entrate.

È proprio dalla corretta lettura del susseguirsi normativo che la Suprema Corte arriva a tale emblematica conclusione, mettendo un punto fermo su questo dibattuto argomento.

A questo punto non resta che sperare che l’Amministrazione Finanziaria finalmente demorda dal voler contestare il coacervo.



[1] Consiglio Nazionale dei Dottori Commercialisti e degli Esperti Contabili. Commissione di studio “IVA ed altre imposte indirette” (2008). Studio n. 1 del 12/12/2008 “Donazioni precedenti ed erosione della franchigia nella nuova imposta sulle successioni”.

[2] Si veda Giuseppe Rebecca “Il coacervo delle donazioni”, Il Fisco, 2013, n. 31.

[3] Si confronti l’art. 3, rubricato come “Efficacia temporale delle norme tributarie” della Legge, 27/07/2000 n. 212, G.U. 31/07/2000, noto come Statuto del Contribuente, per il quale “… le disposizioni tributarie non hanno effetto retroattivo”.

[4] Tra la giurisprudenza di merito vanno annoverate: C.T.R. Milano, sentenza 14/04/2016, n. 2215; C.T.P. Reggio Emilia, sentenza 09/02/2015, n. 27; C.T.P. Milano, sentenza 13/02/2015, n. 1342; C.T.P. Verona, sentenza 21/08/2012, n. 208/3/12; C.T.P. Milano, sentenza 10/11/2008, n. 197.

 

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