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La revocatoria fallimentare delle rimesse bancarie nel codice della crisi di impresa

di Giuseppe Rebecca
ilfallimentarista.it - 18 febbraio 2019

La riforma del codice della crisi di impresa appena approvata dal Governo, in attesa di pubblicazione nella G.U., non interviene in modo significativo nella normativa specifica della revocatoria delle rimesse bancarie, ma si limita ad appostare delle piccole variazioni lessicali.

Ne trattano ora gli articoli 166, 170 e 171, articoli che non hanno subito alcuna variazione, rispetto al testo della prima versione.

Si è così persa una buona occasione per mettere finalmente mano a disposizioni confuse, contorte, talvolta superflue e comunque sempre fonte di discussioni, per lo più anche inutili.

1) Le nuove disposizioni

1.1 – Art. 166 – “Atti a titolo oneroso, pagamenti, garanzie”

La norma ricalca, con limitate variazioni, l’art. 67 l.f., del quale ne ha assunto anche la titolazione.

La prima parte del comma 2 è esattamente la stessa:

Sono altresì revocati, se il curatore prova che l’altra parte conosceva lo stato d’insolvenza del debitore, i pagamenti di debiti liquidi ed esigibili, gli atti a titolo oneroso e quelli costitutivi di un diritto di prelazione per debiti, anche di terzi, contestualmente creati, se compiuti dal debitore dopo il deposito della domanda cui è seguita l’apertura della liquidazione giudiziale o nei sei mesi anteriori ”.

Si è soltanto variata la decorrenza della azione revocatoria. Mentre l’art. 67 l.f. si riferisce ai “sei mesi anteriori alla data di fallimento”, ora invece il riferimento temporale è a “dopo il deposito della domanda cui è seguita l’apertura della liquidazione giudiziale o nei sei mesi anteriori”.

Come è noto, l’espressione lessicale liquidazione giudiziale sta ora per fallimento (art. 2, definizione). Lasciato inalterato il periodo di 6 mesi, si è peraltro variata la decorrenza.

Non più quindi il riferimento alla data di dichiarazione di fallimento o, ora, della liquidazione giudiziale, ma alla data di deposito della domanda cui ha fatto seguito l’apertura della procedura.

Due osservazioni:

La prima : per gli atti compiuti successivamente al deposito della domanda si dovrebbe parlare di inefficacia ex art. 44 l.f. (e ora art. 145), piuttosto che di revocatoria. Anche se ora il riferimento è al deposito della domanda, e non più all’apertura della procedura, contrariamente a quanto accadeva precedentemente, gli effetti dovrebbero essere gli stessi.

La seconda : manca un riferimento ad altra fattispecie, e cioè il caso della liquidazione giudiziale non richiesta direttamente dall’impresa.

Il successivo comma 3 parla della esclusione da revocatoria; alla lettera b) così prevede:

Non sono soggetti all’azione revocatoria…le rimesse effettuate su un conto corrente bancario che non hanno ridotto in maniera consistente e durevole l’esposizione del debitore nei confronti della banca ”.

In questo caso ci sono delle differenze lessicali, rispetto all’art. 67 l.f., differenze che però appaiono di nessun effetto pratico (“che non hanno” in luogo di “purchè non abbiano” ed “esposizione del debitore” in luogo di “esposizione debitoria del fallito”).

Da un punto di vista sostanziale, si può affermare che la struttura già prevista dall’art. 67 l.f. è stata qui rispettata.

1.2 – Art. 170 – “Limiti temporali delle azioni revocatorie e d’inefficacia esercitabili solo dal curatore”

Le azioni revocatorie e di inefficacia disciplinate nella presente sezione non possono essere promosse dal curatore decorsi tre anni dall’apertura della liquidazione giudiziale e comunque si prescrivono decorsi cinque anni dal compimento dell’atto ”.

I limiti temporali sono praticamente coincidenti con quelli precedenti, previsti dall’art. 69 bis (Decadenza dall’azione e computo dei termini), ma ora si è specificato che lo stesso termine vale anche per l’inefficacia.

Cambia pertanto la decorrenza, ora dall’apertura della liquidazione giudiziale, quando prima era dalla dichiarazione di fallimento.

Ma c’è una mancanza importante.

Manca la previsione, fatta invece nell’art. 69 bis L.F. comma 2, del caso di consecuzione delle procedure. Ciò non dovrebbe comunque poter comportare problematiche particolari, tenuto conto della sostanziale convergenza raggiunta sul punto dalla giurisprudenza ante integrazione dell’articolo 69 bis l.f., ma un esplicito richiamo non ci starebbe male. Non si comprende perché sia stata espunta la previsione specifica. In ogni caso, in presenza di consecuzione di procedure si debbono fare i riferimenti temporali alla prima.

1.3 – Art. 171 – “Effetti della revocazione” – Comma 3

Qualora la revoca abbia ad oggetto atti estintivi di posizioni passive derivanti da rapporti di conto corrente bancario o comunque rapporti continuativi o reiterati, il terzo deve restituire una somma pari alla differenza tra l’ammontare massimo raggiunto dalle sue pretese, nel periodo per il quale è provata la conoscenza dello stato d’insolvenza, e l’ammontare residuo delle stesse, alla data in cui si è aperto il concorso.

Resta saldo il diritto del convenuto d’insinuare al passivo un credito d’importo corrispondente a quanto restituito”.

La norma ha la stessa titolazione e questo comma è esattamente identico a quello di cui all’art. 70 l.f., sempre comma 3, che appunto tratta della quantificazione dell’importo oggetto di revocatoria.

Nessuna differenza quindi per quanto riguarda il quantum, come raffronto tra la massima esposizione raggiunta nel periodo per il quale è provata la conoscenza dello stato di insolvenza e debito residuo al momento dell’apertura della procedura.

2) Proposte

Relativamente alla questione della revocatoria delle rimesse bancarie, in effetti quasi nulla cambia, con la riforma.

I presupposti oggettivi e soggettivi sono gli stessi, e non poteva che essere così. Cambia invero la decorrenza del periodo, nel caso di procedura richiesta dall’impresa.

In definitiva, la struttura della revocatoria delle rimesse bancarie rimane del tutto inalterata, con le due previsioni oggi esistenti (articoli 67 l.f. e 70 l.f.) e ora artt. in 166, 170 e 171. Si è persa, così, una occasione di semplificazione, eliminando il riferimento dell’art. 67 l.f., o meglio, la qualificazione delle rimesse di cui a quell’articolo (si revocano le rimesse consistenti e durevoli), a nostro personale avviso riferimento del tutto inutile e addirittura fuorviante.

Chiunque si sia occupato di queste problematiche si sarà sicuramente reso conto che praticamente non accade mai che quanto risulta dall’applicazione dell’art. 70 l.f. (il differenziale) sia superiore a quanto risulta applicando le indicazioni dell’art. 67 l.f.

Questo invero potrebbe accadere solo nel caso di un rientro programmato, effettuato con molte rimesse continue di limitato ammontare, caso molto raro, di scuola.

E così è allora sufficiente la previsione dell’articolo 171, evitando così inutili conteggi da parte di tutti; da parte del curatore, che nella citazione deve indicare le rimesse astrattamente revocabili (art. 67 l.f., ora art. 166), della controparte, che ovviamente eccepisce, del giudice, che deve formulare il quesito in base alla richiesta delle parti, del ctu, che deve fare dei conteggi precisi, anche magari basati su più opzioni, per poi nessuno guardarli più, essendoci la limitazione di cui all’art. 70 l.f., unico articolo di fatto applicabile.

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