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Divisione di immobili: quale valore?

di Giuseppe Rebecca
commercialistatelematico.com - 1 dicembre 2020

La determinazione del valore degli immobili in caso di divisione di una comunione, ereditaria o non, è di norma effettuata sulla base del loro valore catastale automatico, ovviamente escluse le aree edificabili.

Appariva un principio assodato, da nessuno messo in discussione. La risposta ad un interpello (numero 534 del 6 novembre 2020) ha però creato un po' di subbuglio, ma come vedremo non ha cambiato molto le cose.

Questo era il caso: mamma e due figli, con beni pervenuti da ultimo per successione del marito/padre. Alla mamma sarebbe spettato un terzo dei beni (al di là di una maggiore quota di un piccolo terreno) e altrettanto, in quote uguali di 1/3 ciascuno, ai figli. Nella ipotizzata divisione, si prevedeva di assegnare alla madre il diritto di usufrutto su tutto e ai figli la nuda proprietà di beni distinti. E il diritto di usufrutto, calcolato con le tabelle ministeriali sulla base dei valori catastali rivalutati, risultava inferiore alla quota pertoccante.

Probabilmente nel formulare la domanda il notaio non è stato molto preciso, e ha un po' mischiato le cose. Infatti ha specificato: 1) che la massa da dividere è calcolata sulla base dei valori catastali rivalutati, il che ovviamente può essere; 2) che il valore di usufrutto è calcolato in misura superiore a quella che risulterebbe dalle tabelle ministeriali, e anche questo ben può essere;3) ma parla anche di valore superiore anche per le assegnazioni ai due figli. Qualcosa in questo discorso non torna. Se i conteggi della massa da dividere sono fatti in base ai valori catastali rivalutati, non può essere che tutte le quote siano poi superiori al valore automatico. Questo ben può verificarsi, ma solo se si determina la massa da dividere su valori differenti, e ovviamente superiori a quelli automatici. Nella risposta, l’Amministrazione finanziaria correttamente precisa che per la determinazione della massa comune ed anche delle rispettive quote si deve far riferimento al valore venale dei beni, il che è del tutto corretto. Afferma poi che in caso di differenze tra quota di diritto e quota di fatto, si rende necessario confrontare tali valori e determinare il conseguente conguaglio. E anche questa affermazione appare del tutto condivisibile.

Ex articolo 34, comma 4 DPR 131/1986, “le comunioni tra I medesimi soggetti, che trovano origine in più titoli, sono considerate come una sola comunione se l'ultimo acquisto di quote deriva da successione a causa di morte”. Si è invece in presenza delle cosiddette masse plurime allorché gli stessi soggetti siano comproprietari di più beni per effetto di una pluralità di titoli (di cui l’ultimo non successorio), non quindi in forza di un titolo unico, realizzando quindi tante comunioni quanti sono i titoli di provenienza. La circolare numero 37 del 10 giugno 1986 ha chiarito che l'ultimo acquisto di quote, come peraltro eventuali acquisti precedenti, deve necessariamente riguardare tutti i condividenti e non soltanto alcuni di loro. L'atto di divisione rientra nella categoria degli atti aventi natura dichiarativa, e deve essere registrato in termine fisso, con applicazioni dell’imposta di registro dell'1% applicata al valore della massa comune (art 3 Tariffa, parte 1 allegata al TUR), com'è stato anche confermato dalla circolare del 29 maggio 2013 numero 18 /E paragrafo 2.2.1. Quando poi sulla massa siano effettuati dei conguagli, qualora dovessero superare 5% del valore della quota, si considerano cessioni. La risposta dell'Amministrazione finanziaria nell’interpello n 534/2020 ricorda gli articoli 8 e 14 del TUS che parlano appunto di valore venale. Omette però di ricordare l'articolo 34, comma 5, il quale inibisce una rettifica dei valori dichiarati in misura non inferiore al valore catastale automatico, sempre escluse le are edificabili. La base imponibile è quindi sempre costituita dal valore venale, e su questo non c'è alcun dubbio, solo che un valore pari o superiore alla valutazione automatica esclude ogni possibile accertamento.

Appare invece pacifico che non si possono sdoppiare i valori sulla base del principio del prezzo valore, con valori fiscali e valori reali. Nel caso specifico, tra l’altro, la valutazione dell’usufrutto non era stata effettuata sulla base delle tabelle ministeriali, e questo forse ha comportato l’Iniziativa della richiesta di interpello.

Non si può utilizzare il principio del prezzo valore, e quindi indicare un valore concordato tra le parti, e fiscalmente indicarne uno di diverso, in assenza di conguagli. Quindi inapplicabilità del principio prezzo valore, e piena applicabilità delle valutazioni automatiche. Viene anche richiamata, nella risposta all’interpello, la Risoluzione n 136 del 14 giugno 2007; tale risoluzione ha specificatamente confermato che in caso di conguaglio poteva essere applicato, ricorrendone i presupposti, il principio del prezzo valore. Nel caso specifico, con una proporzione. Nella stessa risoluzione si afferma anche che “si deve escludere l’applicazione del criterio cosiddetto tabellare alle divisioni senza conguaglio”. Affermazione questa che ha creato parecchie perplessità. Ma probabilmente l’estensore della stessa voleva dire qualcosa di diverso da quanto comunemente intesa, e cioè che la base di determinazione dei valori non poteva essere quella tabellare, con valori diversi rispetto a quelli definiti tra le parti. La massa divisionale deve essere valutata in base ai valori effettivi, ma resta sempre valida la previsione di non accertabilità, qualora questi indicati valori siano pari o superiori a quelli automatici. Quanto al conguaglio, se costituito da una abitazione, o anche parte di essa, potrà essere applicato il principio del prezzo valore, ma solo limitatamente al conguaglio, che è stato determinato sulla base dei valori effettivi.

La risposta all’ interpello n 534/2020 si conclude però con una affermazione non del tutto chiara, che parrebbe rimettere tutto in discussione. Ma così non è, come vedremo. Questa è l’affermazione: “Sulla base di quanto precede, si ritiene che la possibilità di applicare il criterio catastale (tipico degli atti di trasferimento immobiliare) è ammesso soltanto nel caso di emersione di un conguaglio divisionale di valore superiore al cinque per cento del valore della quota di diritto, eccedenza considerata 'vendita' e, dunque, soggetta all'applicazione dell'imposta di registro nella misura proporzionale, ai sensi dell'articolo 1 della tariffa, Parte I del TUR.” A nostro avviso si tratta di una precisazione riferita solo al caso in cui ci sia un conguaglio, nel senso che allora vale in ogni caso il valore catastale automatico, anche al di là del valore concordato tra le parti; tra le parti i valori concordati saranno quelli venali, e solo il conguaglio sarà considerato, in tutto o in proporzione, sulla base dei valori tabellari, come meglio è stato specificato nella citata risoluzione del 2007.

In definitiva, nulla cambia rispetto al consueto principio; la divisione si può legittimamente fare sulla base dei valori catastali automatici; quello che non si può fare, come conferma la risposta ad interpello n. 534/2020, è solo una eventuale diversa indicazione di valori, uno fiscale e uno ai fini della divisione. Almeno a noi così pare.

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