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Recesso socio di minoranza: sconto di minoranza?

di Giuseppe Rebecca
commercialistatelematico.com - 5 maggio 2020

In questo articolo analizziamo la problematica relativa alla valutazione di una partecipazione di minoranza per un socio che recede in una società di capitali (srl, spa o sapa ) ed in particolare se possa essere applicato o meno uno sconto, per tener conto della limitata importanza della quota .

Ricordiamo come numerose siano le possibilità di recesso, sia per le SPA (art 2437 c.c. e seguenti) sia le le SRL (art.2473 c.c.). Qui però non tratteremo di questo aspetto, quanto piuttosto di come valutare la quota del socio che recede.

Per le s.r.l. l’articolo 2473, c. 3 del c.c . così prevede, relativamente al recesso:

“i soci che recedono dalla società hanno diritto di ottenere il rimborso della propria partecipazione in proporzione del patrimonio sociale. Esso a tal fine è determinato tenendo conto del suo valore di mercato al momento della dichiarazione di recesso; in caso di disaccordo la determinazione è compiuta tramite relazione giurata di un esperto nominato dal tribunale, che provvede anche sulle spese, su istanza della parte più diligente; si applica in tal caso il primo comma dell’articolo 1349”.

Per le S.p.A. non quotate , sempre nel caso di recesso, abbiamo l’art. 2437 ter, c. 2 “il valore di liquidazione delle azioni è determinato dagli amministratori, sentito il parere del collegio sindacale e del soggetto incaricato della revisione legale dei conti, tenuto conto della consistenza patrimoniale della società e delle sue prospettive reddituali, nonché dell’eventuale valore di mercato delle azioni”.

Il c. 6 prevede poi il caso del disaccordo; “in caso di contestazione da proporre contestualmente alla dichiarazione di recesso il valore di liquidazione è determinato entro novanta giorni dall’esercizio del diritto di recesso tramite relazione giurata di un esperto nominato dal tribunale, che provvede anche sulle spese, su istanza della parte più diligente; si applica in tal caso il primo comma dell’art. 1349”.

In tutte e due le previsioni normative si fa riferimento al “valore di mercato” al momento del recesso. E’ quindi di tutta evidenza che si dovrà tener conto del valore di mercato, appunto, e non di altri valori. Quindi valore effettivo dei beni, tenuto conto delle prospettive reddituali.

Ciò ovviamente salvo eventuali diverse previsioni statutarie in merito, che prevarrebbero.

Ma il vero problema è se il valore di mercato sia della società o piuttosto della quota; questa è la vera questione, come vedremo.

Valutando la società, dovendo poi valutare una quota, ne deriverebbe una semplice operazione matematica; valutato l’intero, il valore della quota corrisponde alla percentuale della quota stessa.

Qualora invece si ritenesse di valutare la quota in sé, subentrano altre considerazioni, che interesse ha il terzo ad acquistarla sul mercato, in base ai diritti che la quota dà. E in questo caso è di tutta evidenza che entrano in gioco i premi di maggioranza e gli sconti di minoranza.

Letteralmente la norma pare però riferirsi al valore di mercato dell’intero, escludendo quindi qualsiasi variazione per premio o sconto. Ma ove così fosse, resterebbe da giustificare la diversa posizione in cui si troverebbe il socio di minoranza che appunto recede rispetto al socio che vende.

Infatti nel l caso di recesso potrebbe anche percepire un valore superiore a quello che potrebbe realizzare con una vendita.

La dottrina è comunque divisa, sul punto.

 

La valutazione

Non ci addentriamo nella questione valutativa, ma ci limitiamo ad un particolare aspetto, cioè se sia corretto o meno applicare uno sconto di minoranza alla valutazione della quota della società. Riteniamo che in questa fattispecie non si possa invece parlare del contrario, cioè del premio di maggioranza, tenuto conto che si è in presenza di un recesso. Il socio di maggioranza ha la possibilità di incidere sulle scelte sociali, ragione per cui pare difficile ipotizzare che il socio di maggioranza possa deliberare una operazione societaria che poi lo autorizzi a recedere. In questo caso a maggior ragione lo farebbe anche il socio di minoranza, se non altro per le difficoltà di liquidare il socio recedente. Pare proprio difficile ipotizzare questo caso.

La norma non detta nulla circa le modalità di determinazione del valore della partecipazione. In ogni caso si ritiene che la valutazione debba essere motivata e dettagliata; non è peraltro richiesto un bilancio aggiornato. I riferimenti desumibili dalla norma sono la consistenza patrimoniale, le prospettive reddituali e il valore di mercato. Esattamente gli stessi criteri richiesti dal PIV (Principi Italiani di Valutazione) .

In ogni caso lo statuto può anche prevedere criteri differenti per la valorizzazione della partecipazione (art. 2437-ter c.c.).

 

Un approfondimento

È del tutto evidente che il mercato apprezza di più una quota che permetta di avere il controllo di una società piuttosto che una quota ininfluente.

Per controllo si intende sia controllo di diritto che di fatto, così come peraltro specificato dall’art. 2359 c.c..

E questo al di là della percentuale assoluta; in questo caso anche una percentuale ridotta potrebbe risultare importante, consentendo l’acquisizione del controllo da parte di altri soci (si pensi al caso di tre soci, due al 49% e il terzo al 2%).

La Relazione illustrativa alla riforma del diritto societario, con riferimento all’art. 2473 c.c., evidenzia come l’obiettivo di tale norma sia quello di assicurare che la valutazione della quota sia il più aderente possibile al suo valore di mercato

Ma c’è una differenza tra la libera negoziabilità della quota, per la quale possono venire in gioco il premio di maggioranza o lo sconto di minoranza, e la valutazione della quota in caso di recesso. Ed allora si può affermare che il “valore di mercato” (terzo comma, secondo periodo) non è riferito alla quota, bensì al “patrimonio sociale” (terzo comma, primo periodo). Nel valutare la quota si dovrà così ricavare il valore della stessa con un semplice calcolo proporzionale. Sarà sufficiente applicare al valore della società la percentuale della quota del socio recedente.

 

Qualche sentenza

Nel caso di recesso del socio, la recente giurisprudenza nega l’applicazione di ogni correttivo, per lo sconto di quote di minoranza.

Tribunale di Roma, sentenza n. 8457 del 20 Aprile 2015 (in www. giurisprudenzadelleimprese.it ) .

La fattispecie riguardava la valutazione delle quote in caso di recesso in una s.r.l.

Due erano i soci, uno all’ 85% e l’altro al 15%. Il socio con il 15% aveva diritto di recedere, per effetto di una scissione non proporzionale.

Contestando il valore indicato nello stesso progetto di scissione, il socio di minoranza si è rivolto al Tribunale, per la nomina di un esperto a ciò incaricato.

Nelle more della valutazione, viene sottoscritto un contratto di acquisto quote, al prezzo “minimo” stabilito dal progetto, con l’accordo di una revisione in base all’eventuale diverso valore che il perito o il giudice dovesse poi indicare.

E il giudice ha affermato che, alla luce dell’art. 2473 comma 3 c.c., la valutazione della quota è da effettuare in base a due criteri fondamentali: quello di mercato e quello proporzionale.

Nell’utilizzo del criterio proporzionale, è esclusa, la possibilità di applicazione di sconti di minoranza (per i ridotti poteri connessi alla posizione di socio di minoranza) o di illiquidità (per la prevedibile assenza di mercato). La sentenza sostiene che la esigenza di “conformare” il reale valore della quota ceduta al “peso specifico” della stessa, attraverso i ricordati sconti, viene meno, nel caso specifico, in quanto la cessione è operata non in favore di soggetti terzi, in capo ai quali avrebbe potuto essere ipotizzato una minore appetibilità della partecipazione di minoranza, ma in favore del soggetto già titolare del residuo capitale sociale ed obbligato ad acquistarla nel contesto di un’operazione di scissione.

In conclusione, sconto di minoranza da non applicare, se per effetto del recesso acquista il socio di maggioranza.

Decreto del Tribunale di Padova, n. 980 del 22 maggio 2014 (in fallimentiesocietà.it).

Il caso riguardava sempre una s.r.l., con recesso esercitato dal socio titolare del 7,5%.

Contestato il valore proposto dalla società, il socio di minoranza ha depositato ricorso ex art. 2473, c. 3, per la nomina dell’esperto stimatore.

Il CTU nella fattispecie ha tenuto conto dell’avviamento, che in quello specifico caso era previsto dallo stesso statuto, e ha valutato la società con il metodo misto patrimoniale - reddituale e capitalizzazione limitata.

Il CTU, tenuto conto del combinato disposto dell’art. 2473 c.c., che richiama il “valore di mercato” e dell’art. 1349 c.c. (riferito all’“equo apprezzamento dell’esperto”), in considerazione del particolare assetto societario, ha ritenuto di applicare, trattandosi appunto di una quota “di minoranza – uno “sconto per mancanza di controllo”, per l’assenza dei peculiari poteri conferiti – appunto – dal controllo societario. iI CTU evidenziava che tale sconto rifletteva l’assenza dei poteri conferiti dal controllo, e tenuto conto della compagine societaria, atteso che la maggioranza assoluta del capitale (pari al 90%) era detenuta da un unico soggetto, che ai sensi dello statuto poteva esercitare un controllo assoluto sullo svolgimento della vita sociale (essendo i quorum costitutivi e deliberativi pari alla maggioranza assoluta del capitale sociale). Pertanto il CTU rilevava che, da un lato, chiunque tra i soci avesse acquisito tale quota non avrebbe modificato il proprio status individuale di controllo; dall’altro, la conclusione sarebbe stata la medesima se ad acquisire la quota fosse stato un terzo soggetto.

In definitiva, il CTU sosteneva l’equiparazione recesso a cessione a terzi ai fini della valutazione.

Con la sentenza sopra indicata, il Tribunale di Padova ha però negato l’applicazione del correttivo, in caso di recesso.

Così si è espresso il Tribunale: “(..) la norma di legge, così come quella statutaria, riferiscono il valore di mercato non alle singole quote ma al patrimonio sociale nel suo complesso e pertanto, attesa l’inesistenza di un mercato dei patrimoni sociali nella loro interezza, essa non può che significare un riferimento al valore economico effettivo del patrimonio netto e, quindi, al capitale economico della società (…)”.

“Ritenuto pertanto che il riferimento normativo al rimborso della quota in proporzione del patrimonio sociale esclude di per sé la possibilità che possano venire in considerazione premi di maggioranza o sconti di minoranza che riguardano e possono venire in considerazione solo nell’ambito della negoziazione di una quota in relazione al prezzo convenuto in uno scambio isolato ove rilevano posizioni di interesse soggettivo e di forza contrattuale dei soggetti coinvolti”.

In conclusione, il Tribunale di Padova ha pertanto ritenuto che in caso di recesso non vada applicato correttivo alcuno, al valore della società.

 

La Fondazione Nazionale dei Dottori Commercialisti

La Fondazione Nazionale dei Dottori Commercialisti è intervenuta, sul punto, con un documento datato 30 aprile 2015.

“Il valore di mercato” esprime il valore economico effettivo ( fair value) del patrimonio sociale nel suo complesso. Tale interpretazione è confermata dalla lettura della Relazione al d.lgs. n. 6/2003, che nel par. 11 afferma che la disciplina dettata dal comma 3 dell’art. 2473 c.c. “tende ad assicurare che la misura della liquidazione della partecipazione avvenga nel modo più aderente possibile al suo valore di mercato; ed introduce un procedimento volto a superare le soluzioni penalizzanti tutt’ora adottate nel diritto vigente, ove le soluzioni penalizzanti sono quelle della liquidazione in base al valore contabile della partecipazione ai sensi del previgente art. 2437 c.c.”.

Relativamente alla applicabilità di variazioni, in aumento o in diminuzione, così si è espresso questo studio: “La valorizzazione della partecipazione avviene in proporzione della partecipazione che il socio recedente possiede nella società e quindi nel patrimonio sociale; data la diretta proporzionalità tra valore del patrimonio sociale e valore della partecipazione, a differenza di quanto avviene nel caso di cessione di partecipazioni, non si dovrebbe tener conto di premi di maggioranza o sconti di minoranza, né tantomeno di eventuali diritti particolari del socio potranno influenzare il valore della partecipazione che lo stesso ha nella società. Secondo tale orientamento dottrinario, la valutazione, ai fini del recesso, non dovrebbe, pertanto, essere influenzata dall’ipotesi in cui dalla partecipazione derivi un controllo della società, ed allora al suo normale valore non dovrà essere sommato il cd. “premio di maggioranza”; dunque, anche nel caso di una partecipazione minoritaria, non dovrebbe essere effettuato lo “sconto di minoranza” (si noti come anche la Fondazione ipotizzi la possibilità di un recesso del socio maggioritario, il che ci pare non realistico, come abbiamo già segnalato).

“In dottrina si riscontrano orientamenti non univoci sul tema; secondo alcuni autori non si può escludere in linea di principio la possibilità di tenere conto, nella valutazione della partecipazione, delle singole peculiarità che caratterizzano la liquidazione della medesima; in particolare, viene sostenuto che in caso di partecipazione minoritaria si possa tener conto degli sconti di minoranza legati ai ridotti poteri attribuiti dalla medesima e degli sconti di liquidità legati alla mancanza di mercato e di negoziabilità della stessa; [1] in tale ultimo caso, è giustificata l’applicazione di una decurtazione dovuta alla difficoltà di negoziazione di una partecipazione che risulti di minoranza, in conseguenza della carenza di potenziali acquirenti che non rendono la partecipazione liquidabile”.

Queste le conclusioni dello studio, conclusioni che lasciano aperta ogni soluzione: “va sottolineato perciò che, in assenza di condivisi Principi di Valutazione, entrambe le posizioni mostrano spunti di condivisibilità che lasciano all’interprete la scelta”.

Per le S.p.A., invece, così si esprime la Fondazione:

“Quanto già osservato per la valutazione delle partecipazioni di s.r.l. vale anche per le azioni di società non quotate, in particolare, con riferimento all’applicabilità o meno di premi di maggioranza o sconti di minoranza; da una lettura delle relative disposizioni civilistiche inerenti le modalità di determinazione del valore sia delle partecipazioni di s.r.l. che delle azioni di società non quotate, si evince che la differenza è solo termologica (riferendosi al patrimonio sociale nel primo caso, ed alla consistenza patrimoniale della società ed alle sue prospettive reddituali, nonché dell’eventuale valore di mercato delle azioni, nel secondo)”.

 

Il Comitato Triveneto dei Notai

Anche il Comitato Triveneto dei Notai è intervenuto su questo punto, nei loro orientamenti in materia di atti societari pubblicati in settembre 2015.

Per le Spa è stata ritenuta valida una clausola statutaria che prevedesse esplicitamente, nel caso di recesso, l’applicazione di un premio di maggioranza o di uno sconto di minoranza. Si tratta dell’orientamento H.H.8-S.p.A. – Recesso.

Lo statuto può prevedere ciò. Ma non è detto che, ove lo statuto non lo preveda, non si possa applicare. Certo, la previsione toglie ogni incertezza.

 

Un altro argomento a sostegno della tesi

La tesi che nega la applicabilità di uno sconto di minoranza, nella valutazione di quote per il socio recedente, trova supporto anche nell’art. 2437-quater c.c. che tratta del procedimento di liquidazione delle azioni. Per la cessione delle azioni da parte del socio recedente, a tutela del capitale sociale e dei creditori, è previsto un particolare procedimento, già definito a scalare. Prima si favorisce la cessione delle azioni agli altri soci, poi a terzi e solo in caso di esito negativo di queste opzioni, si prevede l’acquisto delle azioni da parte della società o la riduzione del capitale sociale. La eventuale applicazione di sconti, nella valutazione della partecipazione, appare incompatibile con le modalità di liquidazione previste, oltre che di ostacolo pratico.

 

Le altre fattispecie

Fino a qui abbiamo analizzato la questione sotto l’ottica del recesso, per il quale ci sono appunto delle previsioni di legge specifiche (gli articoli 2473 cc per le srl e 2437 cc per le Spa).

Tutto ciò manca invece nelle previsioni delle altre fattispecie quali la vendita.

Appare pacifico che in questo caso il correttivo è da applicare, pena lo stravolgimento della logica economica.

Una quota di maggioranza varrà proporzionalmente di più di una quota di minoranza, appare ovvio. Unica cosa non determinata è la percentuale di rettifica, che ovviamente dipende dal mercato.

Mediamente si sono viste applicazioni di un percentuale del 20%, con un range dal 15% al 25%, ma molto dipende, come è ovvio, dalla forza contrattuale delle parti e dall’interesse di terzi.

Se poi si dovesse trattare di cessione tra soci, se chi acquista diventa socio di controllo valuterà la partecipazione in un certo modo. Se invece il controllo è già in mano all’acquirente, applicherà lo sconto perché si tratta di quota di minoranza.

 

Conclusione per il recesso

La giurisprudenza, invero scarna , pare negare l’applicazione di correttivi alla valutazione della quota, in caso di recesso del socio. Si valuta la società e per derivazione a tale valore di applica la percentuale rappresentata dalla quota , senza correttivi di sorta .

La dottrina è invece divisa, sul tema, come ha confermato anche lo studio della Fondazione Nazionale dei Dottori Commercialisti.

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