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Società di persone. Costo fiscalmente riconosciuto per la quota di partecipazione ceduta. Problematiche per il recesso

di Giuseppe Rebecca
commercialistatelematico.com - 12 ottobre 2020

Nel caso di cessione di quote di società di persone, come pure anche nel caso di recesso, si dovrà in ogni caso determinare il valore di costo fiscalmente riconosciuto alla partecipazione, per il socio persona fisica cedente.

Nel caso di cessione, per determinare ilcapital gain da tassare, oggi con l’unica aliquota del 26 %. Tassazione per cassa.

Nel caso di recesso, per la determinazione della differenza da recesso da tassare come reddito di partecipazione. Tassazione per competenza. Tassazione separata se la partecipazione è posseduta da più di 5 anni oppure, su opzione, tassazione con le normali aliquote IRPEF (art.17, c.1, lett. l) e c. 3 TUIR) , come anche per le partecipazioni possedute da un periodo inferiore.

In particolare non ci convincono due scelte, una del legislatore e una dell’Amministrazione finanziaria, peraltro consolidate e a quanto ci risulta nemmeno più messe in discussione, relativamente al recesso. Una riguarda la categoria di reddito assegnata alla differenza di recesso per il socio recedente, reddito di partecipazione in luogo di reddito di capitale, e l’altra riguarda la deducibilità fiscale della differenza da recesso per la società, per via di certe illogicità che si potrebbero verificare.

Il costo fiscalmente riconosciuto

il costo fiscalmente riconosciuto è dato dal prezzo di acquisto ( o di sottoscrizione ) della partecipazione, cui aggiungere gli utili fiscali dichiarati successivamente e detrarre gli utili distribuiti, nei limiti di quanto dichiarato, quindi sino a concorrenza dell’imponibile. Lo stesso in caso di perdite fiscalmente determinate, da detrarre.

Sono in ogni caso escluse da tassazione le somme provenienti da rimborso del capitale e/o di finanziamenti soci. In definitiva, il costo di acquisto è aumentato delle spese incrementative, dei versamenti in conto capitale, a fondo perduto, a copertura perdite, delle rinunce ai crediti e dei redditi imputati per trasparenza, con detrazione delle perdite attribuite e gli utili distribuiti, nel limite dei redditi fiscali.

Così precisa l’art.68, c.6 del tuir: “Per le partecipazioni nelle società indicate dall’articolo 5, il costo è aumentato o diminuito dei redditi e delle perdite imputate al socio e dal costo si scomputano, fino a concorrenza dei redditi già imputati, gli utili distribuiti al socio.”

Nel casi di provenienza donativa, la base di riferimento è il costo riconosciuto al donante, oltre all’imposta sulle donazioni.

In caso di provenienza successoria, se soggetta ad imposte, la base di riferimento è il valore dichiarato o definito, più l’imposta sulle successioni. Se non soggetta ad imposte, valore normale alla data di apertura della successione (per titoli non quotati, in base al patrimonio netto contabile, senza alcun avviamento non contabilizzato; per titoli quotati, media aritmetica dei valori dell’ultimo mese ).

Nel caso della cessione, la eventuale rivalutazione della quota è fiscalmente riconosciuta, il che non accade invece nel caso del recesso, dove in pratica la eventuale rivalutazione effettuata dal socio non ha alcun effetto pratico. E questo per via della tipologia di reddito che si realizza dal punto di vista tributario: nel caso di recesso il reddito realizzato non è considerato reddito da capital gain, ma reddito di impresa.

Valore contestato per il recesso

Cosa accade nel caso in cui ci sia controversia circa l’ammontare della differenza da recesso? Si dovrebbe ritenere il tutto sospeso fino alla determinazione condivisa o giudiziale di un importo. La Direzione Regionale della Lombardia si è però pronunciata in senso opposto (risposta ad istanza di consulenza giuridica presentata dall’Ordine dei Dottori Commercialisti di Milano, risposta n. 904/5/2014). Il momento di riferimento per la tassazione della differenza di recesso è quello in cui il recesso ha effetto, ha affermato la DRE. Ma si tratta di un orientamento del tutto inapplicabile, nella pratica; impossibile da seguire. In pratica, ancorché la differenza da recesso sia tassata per competenza, il relativo importo da dichiarare dovrà essere previamente determinato; non si potrà o meglio dovrà dichiarare un determinato importo, contestato da controparte, solo perché il socio recedente lo ha chiesto.

Gli utili e le perdita da sommare

Al costo di acquisto o di sottoscrizione sono poi da aggiungere, sia nel caso di cessione che di recesso, gli utili fiscali dichiarati e da detrarre gli utili distribuiti, nei limiti di quanto fiscalmente imputato; in caso di perdite, da detrarre.

E’ pacifico che gli utili da aggiungere siano quelli fiscali. L’utile civilistico non avrà invece rilevanza alcuna. Un problema invece si può porre nel momento in cui si devono detrarre gli utili distribuiti; presumibilmente per primi andranno detratti gli utili fiscali sino alla loro concorrenza.

La evidente finalità della norma è quella di evitare che redditi e perdite, tassati o dedotte per trasparenza in capo al socio possano essere nuovamente tassati o dedotte in occasione della cessione della partecipazione. Si cerca infatti la neutralità. Si ricorda che nel passato erano invece escluse da questo meccanismo le società di persone immobiliari e finanziarie; ora tale esclusione non esiste più.

Per certi versi è lo stesso meccanismo che si applica alle società di capitali tassate per trasparenza; l’Agenzia delle Entrate con circolare n. 49/2004, par. 2.8 ha precisato che gli utili distribuiti eccedenti il reddito fiscale non concorrono a formare il reddito del socio.

“Analogamente a quanto avviene nelle società di persone, gli utili maturati in regime di trasparenza fiscale non concorrono a formare il reddito dei soci, anche qualora siano distribuiti dopo la vigenza dell’opzione, in regime di tassazione ordinaria, e in misura eccedente il reddito imputato per trasparenza. Lo chiarisce espressamente il comma 1 dell’articolo 8 del decreto ministeriale, aggiungendo che la disposizione resta valida anche con riferimento alla distribuzione di tali utili e riserve, dopo il periodo di trasparenza, a favore di nuovi soci. Tale previsione è, tuttavia, subordinata alla circostanza che questi ultimi siano compresi tra i soggetti che, ai sensi dei primi due commi dell’articolo 115, possono essere soci di una società trasparente.”

Pertanto gli utili distribuiti da detrarre hanno una limitazione, l’ammontare degli utili imponibili.

E questo appare logico e razionale. Ove così non fosse, il socio potrebbe averne un danno, con una limitazione al costo fiscale della partecipazione derivante da distribuzione di utili non tassati.

Come anticipato, si possono manifestare aspetti pratici di non immediata soluzione. Gli utili effettivi di una società di persone, se non distribuiti, vanno annualmente a costituire un debito della società nei confronti dei soci. E questo avviene nel corso degli anni. Come si potrà stabilire se quanto pagato a un socio in un determinato momento si riferisca a utili dell’ultimo anno oppure di anni precedenti?

Una esemplificazione chiarirà meglio la questione.

SNC agricola, tassata su base catastale, che dal 2016 al 2018 ha dichiarato utili fiscali di 20.000 e utili di bilancio per 300.000. Nel 2019 utili imponibili 5.000 e utile civilistico 70.000. Complessivamente quindi, dal 2016 al 2019, utili imponibili per 25.000 e utili di bilancio per 370.000. Se non ha mai distribuito nulla ai soci, e ora distribuisce 20.000, come considerare tale distribuzione? Distribuzione di utili imponibili dei vari anni o invece parte della differenza non imponibile? Stesso problema se si distribuissero 100.000 euro; tutti non imponibili oppure prima si dovranno detrarre gli utili imponibili di 25.000? Nel caso di due soci al 50%, con partecipazione acquistata per 1.000.000, le variazioni da apportare a tale costo saranno, in aumento gli utili fiscali, e quindi 12.500, e in detrazione 10.000 oppure zero? Oppure nella seconda esemplificazione detrarre sempre 12.500 oppure zero? Si ritiene di optare per una soluzione pro fisco, e considerare distribuiti per primi gli utili fiscali, ma nei limiti di tale importo.

Le due scelte dell’Amministrazione finanziaria

a. Reddito di partecipazione per la differenza da recesso

Per il socio recedente la differenza da recesso è considerata dallo stesso legislatore reddito di partecipazione, con importanti conseguenze fiscali. Innanzitutto il trattamento fiscale, soggetto a tassazione IRPEF separata se la società (non la partecipazione ) ha oltre 5 anni, con possibilità di opzione per la tassazione ordinaria IRPEF e quindi non al capital gain. E conseguentemente con la assoluta indifferenza di eventuali rivalutazioni nel frattempo effettuate da parte del socio, che in caso di recesso vengono così perdute. Così ha deciso il legislatore, dopo anni di incertezza, con l’articolo 20 bis del tuir introdotto dall’articolo 1 del D.Lgs n.247/2005. Si tratta di una scelta discutibile. Infatti la ragione che sta alla base di tale opzione è che con il recesso il socio che esce percepisce tutte assieme le plus sui beni societari di cui avrebbe potuto godere durante la vita della società Ma ci sono troppe variabili che contraddicono questa ipotesi. La prima è che i plusvalori oggi ottenibili potrebbero non esserlo più un domani. Ma la seconda critica è che l’ammontare di tale differenza è influenzato dal costo sostenuto dal socio. Se il socio avesse acquistato la partecipazione da poco, a prezzo magari elevato, potrebbe non esserci alcuna differenza da recesso. La differenza di recesso non dipende quindi solo da plusvalori latenti, ma anche, e talvolta soprattutto, dal prezzo di acquisto della partecipazione stessa; e di solito, tale fattore limita l’ammontare della differenza. In ogni caso anche l’Amministrazione finanziaria, prima della variazione normativa del 2005, aveva ritenuto trattarsi di reddito di capitale ( Circ. 54/E 2002 ). Ora invece reddito di partecipazione.

b. Differenza da recesso costo deducibile per la società

La differenza da recesso è stata riconosciuta come onere deducibile dal reddito della società (Ris.n. 64/E del 2008 ).

Precedentemente due contrapposte erano le tesi avanzate: 1) indeducibilità (e in questo senso si ha DRE Lombardia 5 maggio 2005 );2) deducibilità ( DRE Campania 15 ottobre 2003 ). E in questo senso si era anche pronunciata l’Amministrazione finanziaria, con le istruzioni al modello unico 2000/2001, istruzioni ridotte negli anni successivi e poi del tutto omesse dal 2004.

Per differenza da recesso per la società si intende la differenza tra quanto liquidato rispetto alla quota di patrimonio netto contabile spettante. E già in questa affermazione si può osservare come questo importo non coincida con la differenza da recesso per il socio, data invece rapportando il suo costo di acquisto fiscalmente riconosciuto con quanto incassato. Potrà invece coincidere evidentemente solo nel caso di sottoscrizione iniziale, e non di acquisto successivo.

In caso di acquisto della partecipazione ad un valore rilevante, da parte del socio ora recedente, la società potrà trovarsi a poter dedurre un importo anche significativo.

Tale differenza può derivare “dall’esistenza di plusvalenze latenti sui beni dell’attivo, da valori di avviamento e dalla quota parte di utili in corso di maturazione alla data del recesso” ( Ris. 64/E/2008 ). Ad ogni buon conto “tale importo concretizza, a parere della scrivente, un componente negativo rilevante ai fini della determinazione del reddito della società.” ( ibidem ).

Successivamente si ha anche il parere giuridico, già sopra citato, rilasciato dalla DRE Lombardia, su istanza dell’Ordine dei Dottori Commercialisti di Milano (n.904-5/2014 ), il quale conferma gli assunti. In particolare precisa che “in linea di principio, la «differenza da recesso» coincide con l’importo liquidato al socio eccedente il costo fiscale della partecipazione, costituito ordinariamente dai conferimenti e dalle riserve di utili tassati per trasparenza”. In realtà, come già detto, questa coincidenza la si avrà solo nel caso di acquisizione della partecipazione per sottoscrizione; in caso di acquisto, quanto espresso ovviamente non vale.

Conclusione

Nel caso di cessione di quote o di recesso nelle società di persone, il costo fiscalmente riconosciuto per la determinazione del capital gain nel primo caso, e del reddito di partecipazione nel secondo caso, si determina sommando al costo di acquisizione tutti gli utili fiscali e detraendo, nei limiti del reddito, gli utili distribuiti.

Nel caso di un recesso, la cosiddetta “differenza da recesso” realizzata dal socio è tassata per competenza, quale reddito di partecipazione, con la tassazione separata, salvo opzione per la tassazione ordinaria. Per la società, la “differenza da recesso” (non necessariamente corrispondente) è ammessa in deduzione dal reddito imponibile.

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