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Gli orientamenti divergenti e l’accertamento infinito. Chi tutela il contribuente?

di Giuseppe Rebecca
commercialistatelematico.com - 29 dicembre 2021

Il Parlamento italiano ha approvato la legge 27 settembre 2021, n. 134, che delega il Governo ad operare, entro un anno, una significativa riforma del processo penale. La norma è entrata in vigore il 19 ottobre 2021.

Rispetto all'originario disegno di legge presentato dal Governo Conte II nel marzo del 2020 (A.C. 2435), la Camera dei deputati ha introdotto importanti modifiche al testo, anche a seguito dell'approvazione di alcuni emendamenti depositati dal Governo Draghi (c.d. Riforma Cartabia). Il Senato ha poi definitivamente approvato il disegno di legge (A.S. 2353), nel testo licenziato dalla Camera.

Le deleghe attribuite al Governo riguardano sostanzialmente una rimodulazione dei termini delle indagini preliminari, una deflazione delle impugnazioni ed un maggior ricorso agli strumenti alternativi. Ma la vera novità, quella più importante, riguarda in generale la prescrizione, con l’introduzione dell’istituto della improcedibilità per i casi di superamento della durata massima del processo.

L’intento della riforma è quello di assicurare tempi ragionevoli agli imputati, altrimenti soggetti a lunghi e defatiganti processi; e questo salvo eccezioni per i reati più gravi. Giustamente ci si preoccupa di non danneggiare l’imputato sottoponendolo a procedimenti senza fine. Tenuto conto della endemica lentezza della giustizia, in Italia, si sono previste riduzioni dei termini, per la prescrizione. E si tratta di un concetto condiviso dai più.

Questa situazione stride con quanto sta succedendo, dalla fine del 2020, in campo tributario, dove invece si va nel senso diametralmente opposto. Si tratta proprio di due orientamenti del tutto divergenti, come si avrà modo di illustrare.

Tra l’altro, nella più completa indifferenza generale; non ci risultano infatti forti levate di scudi, né sollevazioni popolari, ad oggi, ma solo qualche critica dottrinaria, talvolta anche un po’ felpata, relegata in ambiti ristretti.

 

Le Sezioni Unite della Cassazione

Recentemente, le Sezioni Unite della Cassazione, sentenziando in materia tributaria, di fatto stanno allungando i termini per gli accertamenti tributari all’infinito, e per imposte diverse. E’ evidente la discrasia; da una parte si attua un atteggiamento rispettoso, per i soggetti imputati di reati penali, dall’altra si vorrebbe perseguire i contribuenti per decenni. Si confida in un “ ravvedimento “ della Cassazione, per non rendere necessario ricorrere alla Corte Costituzionale, per violazione del diritto di difesa e disparità di trattamento.

Ci riferiamo alle due ultime sentenze delle Sezioni Unite del 29 luglio 2021, n.21765 e 21766(estensore Angelina Maria Perrino).

La fattispecie si riferiva ad un riporto di credito IVA; tale riporto potrà posticipare i termini per l’accertamento? In pratica, per poter accertare la debenza del credito i termini decorreranno dalla sua prima iscrizione, oppure dall’anno del suo utilizzo? Nonostante plurime sentenze contrarie sempre della Cassazione (da ultimo la n. 3098/2019), ci sono state due sentenze di rimessione alle Sezioni Unite (15525 e 20842 del 2020) cui hanno fatto seguito le recenti sentenze appunto delle Sezioni Unite sopra richiamate. I termini decorrono dall’utilizzo del credito IVA, secondo le Sezioni Unite.

Tutto ha inizio con la nota sentenza della Cassazione a Sezioni Unite n. 8500 del 25 marzo 2021 (estensore Giacomo Maria Stalla) secondo la quale il corretto riferimento per la decadenza accertativa da parte dell’Ufficio è alla data di utilizzo del diritto, e non alla data della sua formazione. Principio poi appunto confermato dalle Sezioni unite, con le sentenze n.21765 e 21766.

La sentenza n.21765 /2021, sulla falsariga della richiamata sentenza 8500/2021, ha espresso il seguente ulteriore principio di diritto: «In tema di rimborso dell’eccedenza detraibile di Iva, l’amministrazione finanziaria può contestare il credito esposto dal contribuente in dichiarazione, che non derivi dalla sottostima dell’imposta dovuta, anche qualora siano scaduti i termini per l’esercizio del potere di accertamento o di rettifica dell’imponibile e dell’imposta dovuta, senza che abbia adottato alcun provvedimento».

 

Le quattro ordinanze e i 9 casi

Abbiamo già analizzato dettagliatamente la questione nel nostro precedente articolo” L’accertamento senza limiti temporali: alcuni casi di giurisprudenza”, ne Commercialista telematico del 7 settembre 2021) al quale rimandiamo per una analisi dettagliata e dal quale riportiamo la sintesi delle varie situazioni che si possono verificare, con l’aggiunta di un nono caso .

Le quattro ordinanze di rimessione del 2020 in estrema sintesi riguardano tre fattispecie (sono riportate in ordine di data):

1) L’utilizzo delle quote di svalutazione crediti

Per gli istituti di credito, le quote di svalutazione crediti eccedenti quanto annualmente ammesso in detrazione possono essere sempre accertate?

Ordinanza interlocutoria di rimessione n 10701 del 5 giugno 2020, con successiva sentenza a Sezioni Unite n. 8500 del 25 marzo 2021.

2) L’utilizzo delle quote di ammortamento.

L’eventuale controllo delle quote di ammortamento deve riguardare l’anno in cui il bene è entrato in funzione, oppure l’anno di utilizzo delle quote stesse? Cassazione n. 9993/2018: le quote di ammortamento possono essere rettificate solo con riferimento all’anno di sostenimento della spesa.

Ordinanza di rImessione alle Sezioni Unite n. 16752/2020 del 6 agosto 2020, al momento ancora in attesa della sentenza a Sezioni Unite.

3) Il riporto di un credito di imposta IVA.

Tale riporto può posticipare i termini di accertamento? Secondo Cassazione n. 3098/2019 no. In ogni caso ci sono due ordinanze di rimessione alle Sezioni Unite, la n. 15525 del 21 luglio 2020 e la n. 20842 del 30 settembre 2020, con successive sentenze delle Sezioni Unite n. 21765 e 21766 del 29 luglio 2021.

Ma evidentemente, oltre a queste tre fattispecie, esistono anche altri casi caratterizzati dalle stesse identiche problematiche; abbiamo individuato altre 6 fattispecie (e appunto il totale fa 9):

a) L’utilizzo delle perdite fiscali.

Le perdite fiscali sono accertabili nell’anno di formazione oppure nell’anno di utilizzo? Cassazione n. 417/2015, la decadenza decorre dall’anno di formazione delle perdite;

b) L’utilizzo delle detrazioni di imposta.

L’eventuale controllo deve riguardare l’anno in cui sono state sostenute le spese oppure l’anno di utilizzo delle stesse? CTR Torino n. 1698/6/2018, non rileva il fatto che la detrazione sia utilizzata in modo frazionato, nel tempo; il riferimento per eventuali accertamenti è l’anno di formazione del diritto;

c) I crediti di imposta

I crediti di imposta sono accertabili nel maggior termine degli 8 anni? Cassazione n. 24093/2020 sì; sentenza molto criticata, dalla dottrina

d) I bonus edilizi

Le stesse identiche problematiche si potranno porre per tutti i bonus e superbonus edilizi e per i mobili; al momento peraltro non siamo a conoscenza di contenziosi, sul punto. Ma si tratta di norme abbastanza recenti.

e) La restituzione dei finanziamenti soci

La restituzione di finanziamenti ai soci, finanziamenti effettuati in periodi non più accertabili, può essere accertata quale presunto reddito del socio nell’anno di restituzione? Sì, secondo Cass. n. 18370/2021.

f) Le spese incrementative

Le spese incrementative su un immobile non documentate sono recuperabili , ai fini della determinazione di un plusvalore, ancorchè riferite ad annualità non più accertabili . Cassazione n. 748/2021, invero con una scarsissima motivazione.

In totale, quindi, 9 diversi casi con caratteristiche sostanzialmente similari, caratterizzati da possibili prolungamenti del periodo accertativo.

 

La norma di comportamento n. 200/2017

La Commissione norme di comportamento e di comune interpretazione in materia tributaria della AIDC, Associazione Italiana Dottori Commercialisti ed Esperti Contabili di Milano , nel 2017 aveva già trattato la materia di sui qui si tratta e aveva emesso la seguente massima :

“Al fine dell’accertamento delle imposte sui redditi e assimilate, nel valutare le ripercussioni di eventi intervenuti in periodi d’imposta per i quali sia spirato il termine di decadenza, il contribuente non può essere gravato da un onere probatorio eccedente quello previsto per legge sul piano degli obblighi di conservazione documentale. In tali ipotesi, pertanto, il contribuente può comprovare la correttezza del proprio operato avvalendosi di ogni ragionevole mezzo di prova, individuabile nelle scritture contabili e ausiliarie, nelle dichiarazioni dei redditi dei periodi d’imposta ancora accertabili, nei contratti, nelle perizie e in qualsiasi ulteriore documentazione del cui obbligo di conservazione il contribuente sia ancora gravato, ovvero sia stato oggetto di volontaria conservazione, anche oltre. “ E questa era la conclusione della analisi : “ In conclusione, quando l’evento originario risalga a un periodo non più accertabile, l’onere della prova relativo alle poste imputate nei periodi successivi all’evento originario – ovvero ai periodi ancora accertabili - è assolvibile sulla base della produzione da parte del contribuente di un’ordinata e coerente documentazione contabile e tributaria riguardante i periodi di imposta per i quali sono ancora pendenti i termini di conservazione obbligatoria delle scritture e della documentazione contabile e tributaria. Così, ad esempio, per comprovare la corretta deduzione di quote di ammortamento di beni strumentali acquistati in un esercizio non più accertabile, il contribuente è chiamato a produrre un’ordinata e regolare tenuta delle scritture contabili, comprensiva del Registro dei beni ammortizzabili previsto dall’articolo 16 del Dpr 600/1973 o del Libro degli inventari, ove opportunamente integrato ai sensi di legge , mentre non è gravato dall’obbligo di produrre documenti risalenti all’esercizio in cui il bene è stato acquistato, quando sia spirato il termine di decadenza dell’accertamento relativo a quel periodo d’imposta . “

 

La sentenza della CTP di Reggio Emilia n. 162/2021

Pur dopo la prima delle tre sentenze della Cassazione, la Commissione Tributaria Provinciale di Reggio Emilia (Sentenza n. 162 del 14 giugno 2021, rel. Marco Montanari) ha affermato che “se un fatto con conseguenze redditualmente rilevanti, si realizza in un determinato periodo d’imposta è a questo periodo d’imposta che ci si deve rifare, rectius risalire, volendone contestare l’an ed il quantum”. Si trattava di un accertamento IRES, IRAP e IVA per una Spa sull’anno 2014, con tra l’altro quote di ammortamento contestate su cespite acquisito nel 2010.

La Commissione, pur a conoscenza della richiamata sentenza di Cassazione n. 8500/2021, ha specificato che tale orientamento, “pur, così, autorevolmente affermato, non è condiviso da questo Giudice; invero e proprio l'autonomia di ogni singolo periodo d'imposta, continuamente e condivisibilmente, richiamata nella pronuncia, che impedisce di condividere le conseguenze che ne trae la Corte secondo cui"... posto che tutte le volte in cui viene riportato in dichiarazione il componente di reddito pluriennale ne vengono al contempo richiamati e riutilizzati tutti i fatti presupposti e gli elementi costitutivi..." (par4.7); infatti se un "fatto", con conseguenze redditualmente rilevanti, si realizza in un determinato periodo d'imposta è a questo periodo d'imposta che ci si deve rifare rectius" risalire", volendone contestare l'an ed il quantum; che, poi, se la norma consente, od obbliga, di spalmarne gli effetti in più periodi d'imposta, questa costituisce un'operazione, meramente aritmetica," vincolata" nell'ammontare è dunque con riferimento a questo periodo d'imposta che vanno conteggiati i termini decadenziali”. La sentenza delle Sezioni Unite porterebbe a “conseguenze palesemente contrastanti i principii di proporzionalità e ragionevolezza sanciti della Costituzione, che, ricordiamolo, impone al Giudice di ricercare e privilegiare, sempre, l'interpretazione costituzionalmente orientata; a tacere poi della palese violazione che il principio fa dell'art. 22, comma 2, D.P.R. n. 600 del 1973 e art. 8,comma 5, dello Statuto del Contribuente. “

La sentenza sarà sicuramente contestata dalla Agenzia delle Entrate, e l’esito non appare dei più favorevoli, al contribuente. Il coraggio di questa Commissione sicuramente cozzerà di fronte a una sentenza della Cassazione a Sezioni Unite.

Ove nel frattempo non dovesse intervenire un intervento legislativo, in merito, l’unica strada percorribile per contestare questa interpretazione appare quella della sollevazione del principio della incostituzionalità. Ove le norme dovessero essere interpretate come fanno le Sezioni Unite della Cassazione, ecco che le norme stesse diventano incostituzionali, per i motivi che indicheremo appresso.

 

Conclusioni

In presenza di accertamento basato su accadimenti intervenuti in periodi di imposta precedenti a quello oggetto di controllo, per i quali sia già superato il termine di decorrenza per l’accertamento, il contribuente non può essere gravato dell’obbligo di produrre documentazione risalente al periodo non più accertabile, essendo appunto superato il termine di decadenza dell’accertamento relativo a quello specifico periodo d’imposta.

Non può essere quindi sostenuta la tesi dell’Agenzia delle Entrate, secondo la quale le perdite sono accettabili nei limiti temporali di accertamento relativi ai periodi di imposta in cui sono state utilizzate. Si tenga anche conto che altrimenti, con la possibilità di utilizzo senza più limiti temporali, i due eventi potrebbero anche differire di molto, nel tempo. E non pare logico, oltre che non previsto dalle norme, dilatare in questo modo i tempi degli accertamenti.

La posizione dell’Agenzia tende probabilmente ad evitare eventuali abusi di diritto costituiti dalla possibilità, nel caso specifico delle perdite, di dichiarare una perdita fittizia non utilizzata per i primi 5 periodi successivi (un eventuale accertamento a rettifica di tali perdite, non comporterebbe il versamento di alcuna imposta), che si intende utilizzare solo successivamente a tali periodi.

E questo valga anche per tutti gli altri casi; non si può prorogare ad libitum il potere accertativo, per l’Agenzia delle Entrate.

E mentre il legislatore sta andando nella direzione di aumentare la tutela nei confronti dei cittadini, in campo penale, con la riduzione della prescrizione, in campo tributario l’orientamento della Cassazione è diametralmente opposto, in evidente violazione dei principi costituzionali.

Le prime tre sentenze a Sezioni Unite del 2021, la n. 8500, 21765 e 21766 non convincono, e se la giurisprudenza dovesse seguire il principio di diritto indicato da tali sentenze non resterà che eccepire la incostituzionalità delle norme relative alla Corte Costituzionale, visto che sono così interpretate. In particolare l’eccezione potrebbe riguardare la violazione dell’art.24 della carta costituzionale, essendo di fatto leso il diritto alla difesa, mentre le due più recenti sentenze del 29 luglio si sono occupate degli articoli 3, 24 e 53, denegando appunto la eccepita incostituzionalità con riferimento a questi articoli. Potrebbe essere eccepita anche la disparità di trattamento.

 

 

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