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Il valore fiscale della rendita vitalizia o dell’usufrutto temporaneo: casi di irrazionalità

di Giuseppe Rebecca
commercialistatelematico.com - 18 maggio 2021

La rendita, prestazione periodica di denaro o di altre cose fungibili, può essere costituita a titolo oneroso oppure gratuito.

Risultano anche situazioni atipiche, con rendita costituita a fronte della cessione di un credito, di un bene mobile, di una azienda: in particolare, si è avuto modo di riscontrare una certa diffusione nel campo della cessione di farmacie contro la costituzione di una rendita.

Come durata la rendita può essere:

1. temporanea (e l'eventuale decesso del beneficiario nel durante farà subentrare gli eredi);

2. vitalizia (e il decesso ne causa la cessazione);

3. perpetua (che però è sempre redimibile).

 

La base imponibile della rendita

Analizziamo la questione della determinazione della base imponibile, ai fini delle imposte indirette.

Ai fini dell’imposta di registro ne tratta l'articolo 46 del TUR.

La base imponibile di una rendita è data dal maggiore tra la somma pagata o il valore dei beni ceduti dal beneficiario e il valore della rendita stessa (comma 1).

E già qui ci si chiede come si possa ipotizzare il caso in cui una rendita superi il valore del bene cui si riferisce; situazione non certamente logica, ma che potrebbe trovare giustificazione nelle modalità di calcolo di cui si vedrà.

A tale valore sarà applicata l'imposta di registro del 3%, se si tratta di una rendita costituita a fronte di un pagamento di un determinato importo, oppure le aliquote relative ai trasferimenti immobiliari (2%, 9% e 15%) nel caso appunto di trasferimenti di beni.

Il comma 2 sempre dell'art.46 del TUR specifica che il valore della stessa è dato, salvo le successive variazioni di legge:

1. nel caso di rendita perpetua, dal "ventuplo della rendita";

2. nel caso di rendita a tempo determinato, dal valore attuale delle annualità, calcolate al saggio di interesse legale, ma in nessun caso superiore al ventuplo della annualità stessa;

3. e nel caso di rendita vitalizia, dall'ammontare ottenuto moltiplicando la annualità per il coefficiente determinato in base alla età del beneficiario.

Stesso identico schema applicativo è dettato anche per l'imposta sulle successioni e donazioni, all'art.17 del D.Lgs 346/1 9 90.

Con vari Decreti Ministeriali, ogni qualvolta è variato il tasso legale, sono stati anche pubblicati nuovi coefficienti per la determinazione dell'usufrutto e della nuda proprietà.

Come pure il multiplo, originariamente stabilito in venti volte. (E ciò n base all'art.3, comma 164 della Legge n.662 del 23 dicembre 1996).

Si tratta di aggiustamenti esattamente inversamente proporzionali alle variazioni dei tassi, restando invariata la struttura di base.

L'ultimo DM è del 18 dicembre 2020 e ha portato il valore di 20 volte a 10.000 volte, a fronte di un interesse legale passato dal 5% del 1986 allo 0,01% per il 2021.

E questo per atti dall'l gennaio 2021.

Ora, è evidente che con l'interesse al 5%, moltiplicando per 20 si arrivava a 100.

Con l'interesse allo 0,01%, per arrivare a 100 si dovrà moltiplicare per 10.000.

E questo, come si vedrà, porta a situazioni del tutto assurde, illogiche e slegate dalla realtà.

E questa è una situazione che si produce da molti anni, anche se si è maggiormente manifestata con le drastiche riduzioni dell'interesse legale di questi ultimi anni.

 

Il problema

Probabilmente tutto nasce per effetto deirarticolo 1866, comma 1 del codice civile ove si prevede che il riscatto di una rendita perpetua si effettua mediante il pagamento della somma che risulta dalla capitalizzazione della rendita annua sulla base dell'interesse legale.

Applicare estensivamente questo criterio porta comunque a risultati irrazionali, anche civilistici.

Non si può considerare che il tasso legale sia sempre l'esatto frutto di un investimento, né tantomeno considerare che una rendita derivi appunto da un investimento al tasso legale.

Analizziamo i diversi casi di valutazione di una rendita.

Per una rendita perpetua annua di euro 30.000, con il conteggio richiesto VA=R/i, abbiamo 30.000/0,01% che dà come risultato 300.000.000 euro, cifra evidentemente del tutto spropositata.

Nel caso di una rendita annua a tempo determinato, per 10 anni, di euro 30.000, il valore attuale diviene pari ad euro 299.835, il che è del tutto ragionevole; e questo dimostra anche come la previsione della norma, che il valore attuale non dovrebbe mai superare le 10.000 volte la rendita stessa (300 milioni), sia privo di ogni logica.

Nel caso invece di una rendita vitalizia di euro 30.000 a favore di una persona di anni 60, applicando la attuale tabella si ha un valore di 180.000.000 euro (30.000x6000).

Non considerando l'interesse, il beneficiario dovrebbe vivere 6.000 anni per arrivare al valore della rendita.

È di tutta evidenza la irrazionalità del calcolo.

 

Dove sta l'errore?

L'errore, evidente, limitandoci all'impatto fiscale, sta nell'aver scelto lo stesso identico prospetto per il calcolo della rendita rispetto a quello per la determinazione dell'usufrutto vitalizio. Non si tratta di fattispecie similari, ma ben differenziate.

Nel calcolo dell'usufrutto vitalizio la determinazione del valore imponibile si ha partendo da una somma cui applicare appunto il coefficiente; nel caso invece di rendita il valore imponibile si ha solo attualizzando la rendita stessa.

E questo sempre nel presupposto che il rendimento sia esattamente pari all’interesse legale. In ogni caso anche l'articolo 1866 del codice civile dovrà necessariamente essere riformulato, pena la incostituzionalità.

 

A proposito delle tabelle

In ogni caso le stesse tabelle sono del tutto approssimative, e non tengono conto della dinamica demografica.

Intanto non c'è distinzione tra donne e uomini, quando invece la loro vita media è differente, per sesso, e in ogni caso negli anni sono rimaste sempre invariate, come base di determinazione (le variazioni apportate riguardano solo il tasso di interesse).

Tutto questo è addirittura evidenziato dalle stesse tabelle, allorché i tassi di interesse nel tempo sono stati coincidenti.

Si veda ad esempio, con il tasso del 2,5%, per i periodi 1999/2000, 2004/2007 e 2012/2013. I coefficienti sono rimasti gli stessi, nonostante il passaggio degli anni.

La vita media in oltre 20 anni è variata di molto, a fronte di tabelle invece sempre uguali.

È comunque di tutta evidenza come le tabelle per la determinazione dei valori dell'usufrutto e della nuda proprietà portino sempre a risultati sottostimati per l'usufrutto e sovrastimati per la nuda proprietà.

 

E l'usufrutto?

Lo stesso identico problema si verifica anche nella determinazione dell'usufrutto temporaneo, da determinare sempre con le modalità di cuiall'art. 46 TUR richiamato dall'alt. 48 sempre del TUR.

Nel caso di un immobile del valore di euro 500.000, l'usufrutto per una durata di 5 anni è pari a 249,95 (500.000x0,01%x4,999)

Si pensi quindi ad una persona che desideri cedere a terzi a titolo oneroso, ma le stesse questioni si pongono anche nel caso di una cessione a titolo gratuito, l'usufrutto di questo immobile per 5 anni; gli spetterà il reddito derivante da tale bene, a fronte di un versamento di nemmeno 250 euro.

È di tutta evidenza che qualcosa non va.

 

La risposta ad interpello n. 51/ 2021

Commentiamo la sorprendente risposta ad interpello n.51 del 20 gennaio 2021 che appunto riguardava la valorizzazione di una rendita vitalizia.

In una successione un familiare era stato nominato erede ed un estraneo legatario di una farmacia; il legato consisteva nel pagamento di una rendita vitalizia all'erede.

In base all'art, 46, comma 3 D.Lgs 346/1990 (TUS), in caso di legato con onere, il beneficiario dell'onere si presume a sua volta legatario; pertanto è tenuto ad indicare nella dichiarazione di successione anche la suddetta rendita.

E il valore di questa rendita, da calcolarsi come già visto sopra, superava di gran lunga il valore dei beni.

La parte così aveva ben sintetizzato:

"L'istante, erede e beneficiaria della rendita che deriva dall'onere posto a carico del legatario, ritiene che, ai fini della presentazione della dichiarazione di successione, possa determinare la base imponibile della suddetta rendita, tenendo conto del limite posto dal citato articolo 671 c.c., secondo il quale il legatario non può essere tenuto ad erogare somme superiori al valore del legato stesso.

Pertanto, sostiene l'istante, se l'onere del legatario non può superare il valore della cosa legata, inequivocabilmente, per una evidente regola di simmetria, il beneficiario dell'onere non potrà ricevere una rendita di valore superiore al valore del legato, nonostante le disposizioni testamentarie."

L'Agenzia delle Entrate, con una "acrobatica interpretazione" (Angelo Busani, ne NT Plus de II Sole 24 Ore del 20 gennaio 2021), per risolvere quello che non era risolvibile, ha bellamente trasformato una rendita vitalizia in rendita temporanea, e confermato la limitazione del valore della rendita nel valore del bene (farmacia).

Invero sarebbe stata una giusta occasione per proporre soluzioni diverse, magari anche allo stesso legislatore; occasione sprecata.

Valore della Rendita vitalizia: due sentenze sul tema

Stupisce osservare come una problematica così rilevante non abbia trovato adeguata corrispondenza in sentenze, e la dottrina stessa se ne sia poco occupata (tra i pochi, oltre al già citato Angelo Busani, Considerazioni critiche sul calcolo del valore della rendita vitalizia, ne II Corriere Tributario n 45/2018 p. 3483 ed anche Maurizio Villani, II calcolo della rendita vitalizia è illogico e arbitrario, ne II commercialista Telematico, 4 novembre 2019).

Qui riportiamo due sentenze del 2021, sempre relativamente a questa problematica.

Tale sentenza si è occupata di due donazioni di partecipazioni di controllo, del valore complessivo di circa 3 milioni di euro, fatte da una madre di 87 anni a favore di un figlio, con l'onere di una rendita vitalizia nei suoi confronti dell'importo di euro 4.000 annui.

Il calcolo del valore della rendita effettuato in base ai coefficienti porta ad una valutazione di 9,6 milioni di euro, importo ben superiore al valore delle donazioni, che peraltro erano anche esenti.

L'Agenzia delle Entrate aveva qualificato l'atto come costituzione onerosa di una rendita, e conseguentemente applicata l'aliquota del 3% sul valore della rendita appunto di 9,6 milioni di euro.

La sentenza ha precisato che:

"la determinazione fiscale del valore della rendita non può costituire un elemento civilistico capace di modificare i termini della realtà negoziale.”

"Il dato reale - ed insuperabile anche sotto il profilo dell'art. 53 Cost. - è che una rendita di 4 mila Euro mensili non rivalutabili, concessa a favore di una persona di 87 anni, non può - per impossibilità umana non transigibile - superare un valore dell'ordine di grandezza di un milione di Euro (che comunque si raggiungerebbe solo quando - Deo ultra favente - la beneficiaria arrivasse a spegnere almeno 108 candeline !!)''.

"Il negozio giuridico di cui si controverte resta un atto di donazione modale, quale che sia il valore fiscale della rendita: e si parla di valore fiscale per dire di un valore che esplica il suo significato soltanto nell'ambito del diritto tributario (così come avverrebbe - ad esempio - per il valore catastale di una abitazione, in base al quale si possono legittimamente pagare meno imposte di quanto avverrebbe con riferimento al valore economico effettivo, ma che non potrebbe mai essere invocato in una controversia civilistica - ad esempio, per laesio enormis - o in una disputa successoria per affermare che non vi sia stata una lesione di legittima...)".

In conclusione, si trattava di donazione modale, esente nella fattispecie.

La sentenza della CTR di Milano n. 591 del 16 febbraio 2021, rei. Oreste Saccone

Tale sentenza ha trattato il caso di una successione con un legato di rendita vitalizia di euro 3.000 al mese.

La parte aveva avanzato una "Richiesta di disapplicazione, per abnormità, illegittimità e irragionevolezza della tassazione, dei coefficienti di cui alla Tabella del D.M. dell'Economia e delle Finanze del 23 dicembre 2016 in relazione all'art. 46 c.2 lett. c) del D.P.R. n. 131 del 1986".

In effetti, la rendita sarebbe risultata valere 14,4 milioni di euro; la parte aveva proposto di liquidare l'imposta "sulla base di un coefficiente ragionevole che si potrebbe indicare in 43 (pari ai potenziali anni di vita residui della legataria per giungere all'età di 115 anni, età della persona attualmente più longeva in Italia) o in un diverso coefficiente che tenga conto dell'effettiva aspettativa di vita di una persona di 72 anni evitando una tassazione abnorme e sostanzialmente espropriativa".

I giudici de quo hanno anche dichiarato:

"l'illegittimità del D.M. 23 dicembre 2016 per violazione degli artt. 17 c. 1, lettera c) del TUS 346/90, 46, c.2, TUR 131/86.

Così come ne consegue la violazione dell'art. 3, c. 164, L. n. 662 del 1996, con il quale il Legislatore non ha inteso modificare il sistema di tassazione delle rendite vitalizie di cui agii artt. 17, comma 1 lettera c) del T.U. 346/1990 e 46, comma 2 lettera c) TUR 131/86, attribuendo alla modifica del saggio legale di interesse la funzione di criterio unico di riferimento per il calcolo delle rendite vitalizie, ma ha voluto assicurare il costante aggiornamento dei coefficienti in ragione dei rapidi e rilevanti mutamenti del costo del denaro (saggio legale degli interessi) e tenerne conto ai fini del predetto calcolo nel rispetto della disciplina di settore (art. 48, TUR 131/86 in tema di usufrutto a vita, artt. 46, comma 2, TUR 131/86 e 17, comma 1, lettera c) del TU 346/90 in tema di rendite a vita)".

Alla fine la tassazione è stata applicata su un decimo di quanto sarebbe risultato applicando pedissequamente i conteggi ministeriali.

È di tutta evidenza di come si sia trattato di una soluzione pratica, non supportata però da alcuna disposizione di legge.

 

Valore della rendita vitalizia: conclusione

Si è dimostrato come le modalità di calcolo del valore di una rendita vitalizia, come pure di una rendita o usufrutto temporaneo, portino a risultati abnormi, assurdi, al di fuori di ogni logica.

E questo sia per atti a titolo oneroso che gratuito.

L'applicazione della norma fiscale è viziata da incostituzionalità, per violazione del principio della equità e ragionevolezza, come pure incostituzionale a nostro avviso appare l'articolo 1866 del codice civile.

Non siamo in grado, al momento, di proporre una soluzione, ma la questione dovrà necessariamente essere risolta.

Tra l'altro, oltre a creare situazioni insostenibili, per i contribuenti, potrebbe anche essere utilizzata a beneficio degli stessi, in certi casi, a tutto danno per l'erario.

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