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Rappresentazione ereditaria, aliquote e franchigie

di Giuseppe Rebecca
commercialistatelematico.com - 26 agosto 2021

Qualora il chiamato all'eredità non possa (perché premorto, oppure per altri motivi) o non voglia accettare l'eredità o il legato e non ci sia un testamento con il quale sia stata disposta una “sostituzione”, si applicherà il meccanismo della “rappresentazione” ( art. 467 c.c. ) . Devono però ricorrere le seguenti due condizioni:

a) il primo chiamato deve avere discendenti legittimi o naturali;

b) il primo chiamato deve essere figlio legittimo, legittimato, adottivo o naturale del defunto oppure fratello o sorella del defunto stesso.

La rappresentazione infatti non opera qualora il chiamato all’eredità sia un soggetto diverso dal figlio oppure dal fratello del de cuius, oppure un parente in linea collaterale ( ad esempio figlio di un fratello del de cuius ) o un altro parente in linea retta, ad esempio suo nipote ( figlio del figlio ) ( Cass. n. 22840/2009 ).

Con la rappresentazione i discendenti del primo chiamato (“rappresentanti”) subentrano «nel luogo e nel grado del loro ascendente» (detto “rappresentato”) che non voglia o non possa accettare l'eredità.

All’interno di ciascuna stirpe ereditaria la rappresentazione opera all'infinito, e cioè non c'è limite di grado di parentela tra de cuius e discendente per l'operare della rappresentazione. (Per una dettagliata esemplificazione, vedasi l’articolo di Angelo Busani, Rappresentazione ereditaria e imposta di successione, nel suo sito ) .

Da un punto di vista fiscale si dovrà determinare se l’imposta di successione debba calcolarsi in base al rapporto di parentela tra il defunto e il “rappresentato” oppure in base al rapporto di parentela tra il defunto e gli eredi “rappresentanti”.

L’Agenzia delle Entrate, risoluzione n. 8/E del 12 febbraio 2010, è per la seconda interpretazione. Si fa riferimento al rapporto del de cuius con il rappresentante. “In particolare, in base alla predetta disposizione, il trattamento tributario è condizionato dal rapporto naturale (parentela o coniugio) esistente tra il de cuius e il beneficiario, indipendentemente dal titolo della chiamata all’eredità. A tal fine la Commissione Tributaria Centrale (decisione n. 3418 dell’8 maggio 1990), sebbene in riferimento alla normativa previgente, ha affermato che una diversa interpretazione della norma, che dia rilevanza “…agli effetti della ‘rappresentazione’ comporterebbe ai fini tributari un inammissibile ‘salto’ nel cosiddetto ‘ordine naturale di successione’ con una conseguente ed ingiustificata 4 attenuazione della ratio del tributo successorio graduato…in ragione dell’ammontare dell’attivo ereditario, sul vincolo, più o meno stretto, di parentela esistente tra il dante causa e colui che in effetti è chiamato a godere dell’eredità”. In senso conforme si è espressa la Corte di Cassazione con sentenza n. 6955 del 26 luglio 1994. In ragione di quanto precede, la scrivente è del parere che, ai fini della determinazione della base imponibile e dell’aliquota applicabile, nell’ipotesi in cui il chiamato all’eredità subentri per rappresentazione, non occorre fare riferimento al rapporto esistente tra il de cuius e il rappresentato, bensì a quello intercorrente tra il primo e il rappresentante. Ne consegue che al rappresentante verrà eventualmente riconosciuta la franchigia in base al suo rapporto di parentela con il de cuius. Tale franchigia (ove spettante) competerà per intero a ciascuno dei rappresentanti. In definitiva, nel caso di specie, considerato il rapporto di parentela tra il de cuius e i soggetti rappresentanti, non può essere riconosciuta alcuna franchigia, in quanto non trova applicazione la disposizione richiamata di cui all’articolo 2, comma 48, lettera a-bis), del decreto legge n. 262 del 2006.”.

Da un punto di vista civilistico, i “rappresentanti” sono chiamati all’eredità “nel luogo e nel grado del loro ascendente”; in caso di applicazione letterale, l’acquisto del “rappresentante” dovrebbe essere tassato come se fosse l’acquisto del “rappresentato” (e cioè il figlio del fratello del de cuius dovrebbe beneficiare della franchigia di 100mila euro, spettante ai fratelli e alle sorelle) mentre, in caso di interpretazione “estensiva”, trattandosi di una successione tra parenti collaterali di terzo grado, la franchigia non spetterebbe.

Secondo l’Agenzia delle Entrate «la disciplina civilistica di un istituto è applicabile al campo tributario qualora l’ordinamento tributario non disciplini autonomamente la materia con proprie norme» cosicché «il trattamento tributario è condizionato dal rapporto naturale (parentela o coniugio) esistente tra il de cuius e il beneficiario, indipendentemente dal titolo della chiamata all’eredità».

In definitiva, il trattamento tributario riservato al rappresentante è quello che deriva dal suo rapporto con il de cuius. E questo sia come aliquote che come franchigie.

A titolo esemplificativo, nel caso di subentro di due figli del figlio del de cuius, premorto, ogni figlio godrà di una franchigia di 1.000.000 e per l’eccedenza l’aliquota sarà del 4 %.

È di tutta evidenza come questa situazione si possa anche prestare a situazioni di comodo, con rinuncia del figlio del de cuius a favore dei suoi figli, soprattutto se numerosi. Ma questa è la interpretazione data dalla stessa Amministrazione finanziaria.

Qualora invece rappresentanti siano i figli di un fratello, premorto, a loro non spetterà franchigia alcuna e l’aliquota applicabile sarà comunque il 6%.

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