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Rimborsi dell'accisa - ordinanza di rimessione incidentale avanti alla Corte Costituzionale

Gazzetta Ufficiale della Repubblica Italiana - 14 luglio 2021

Ordinanza del 26 marzo 2021 del Collegio arbitrale di Vicenza nell’arbitrato in corso tra Officine Meccaniche ANI spa contro Consorzio Energia Assindustria Vicenza - ENERGINDUSTRIA

Imposte e tasse - Rimborsi dell’accisa - Previsione che qualora, al termine di un procedimento giurisdizionale, il soggetto obbligato al pagamento dell’accisa sia condannato alla restituzione a terzi di somme indebitamente percepite a titolo di rivalsa, il rimborso è richiesto dal soggetto obbligato, a pena di decadenza, entro novanta giorni dal passaggio in giudicato della sentenza.

- Decreto legislativo 26 ottobre 1995, n. 504 (Testo unico delle disposizioni legislative concernenti le imposte sulla produzione e sui consumi e relative sanzioni penali e amministrative), art. 14, comma 4.

IL COLLEGIO ARBITRALE

composto dai signori:

dott. Giuseppe Rebecca, Presidente;

avv. Roberto Roberti, componente;

avv. Claudio Solinas, componente;

ha pronunciato la seguente ordinanza nella procedura di arbitrato rituale instaurata tra Officine Meccaniche ANI S.p.a. (C.F. 00152030243), con sede legale in Chiampo, via Arzignano 190, in persona del legale rappresentante pro tempore signora Taglier Mariangela, assistita e rappresentata dall’avv. Elena Schiavon (C.F. SCHLNE67H53L840W), con domicilio eletto in Vicenza, Contrà Muschieria n. 26, pec: Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. È necessario abilitare JavaScript per vederlo. e Consorzio Energia Assindustria Vicenza - Energindustria (C.F. 02785440245), con sede legale in Vicenza, Piazza Castello 3, in persona del legale rappresentante pro tempore dott. Carlo Brunetti, assistito e rappresentato dall’avv. Claudio Toniolo (C.F. TNLCLD54S20D933C), pec: Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. È necessario abilitare JavaScript per vederlo. dall’avv. Caterina Basso (C.F. BSSCRN71S48L840L), pec: Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. È necessario abilitare JavaScript per vederlo. e dall’avv. Giulia Toniolo (C.F. TNLGLI- 81P65E970U), pec: Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. È necessario abilitare JavaScript per vederlo. con domicilio eletto in Vicenza, Contrà XX Settembre n. 37, in punto: rimborso delle somme pagate nell’anno 2011 a titolo di addizionale provinciale all’accisa all’energia elettrica.

Il Collegio arbitrale (nominato con atto di compromesso del 6 novembre 2020, costituito nella riunione del 9 novembre 2020, con sede presso lo studio del Presidente dott. Giuseppe Rebecca in Vicenza, Contrà Lodi n. 31, pec Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. È necessario abilitare JavaScript per vederlo.), ritenuta la controversia in decisione con ordinanza del 12 febbraio 2021, espone quanto segue.

Svolgimento del procedimento arbitrale.

La vicenda arbitrale trova origine nella richiesta avanzata dalla società Officine Meccaniche ANI S.p.a. al Consorzio Energia Assindustria Vicenza - Energindustria di rimborso dell’addizionale provinciale all’accisa all’energia elettrica che detto Consorzio le aveva addebitato in fattura nell’anno 2011 per la somma complessiva di euro 16.436,44.

Negli anni 2010-2011 il Consorzio Energia Assindustria Vicenza - Energindustria aveva posto in essere una par-ticolare iniziativa consortile di approvvigionamento e di vendita diretta di energia elettrica a favore di un gruppo di consorziati forti consumatori (i.e. Energy Trading), tra i quali figurava anche la società Officine Meccaniche ANI S.p.a., e - in forza della normativa allora vigente - aveva applicato in fattura l’addizionale provinciale all’accisa all’energia elettrica (Nel periodo a tutto il 31 dicembre 2011, le bollette elettriche per consumi non domestici fino a 200.000 kwh di consumi mensili per punto di prelievo sono state gravate da una addizionale provinciale all’accisa all’energia elettrica, con una aliquota variabile da un minimo di euro 9,30 ad un massimo di euro 11,40 su mille Kwh, a seconda delle delibere provinciali adottate), che aveva poi riversata all’Erario.

Sulla scorta dell’orientamento giurisprudenziale costante della Corte di cassazione (che a partire dalla decisione n. 27101/2019 del 23 ottobre 2019, ha statuito che la addizionale provinciale alle accise sull’energia elettrica si pone in contrasto con il diritto comunitario e pertanto deve essere disapplicata, con il conseguente diritto degli utenti non domestici al recupero delle somme versate quale indebito oggettivo, nel termine prescrizionale ordinario di dieci anni dalla data dei vari pagamenti), con richiesta del 5 agosto 2020 (doc. 2 del proprio fascicolo) la società Officine Meccaniche ANI S.p.a. ha intimato al Consorzio il rimborso integrale delle somme indebitamente versate a titolo di addizionale provinciale alle accise sull’energia elettrica negli anni 2010 e 2011 per l’importo complessivo di euro 16.436,44, o nei diversi importi eventualmente spettanti, oltre agli interessi di legge maturati e maturandi.

Con comunicazione del 7 agosto 2020 (doc. 3 del fascicolo di Officine Meccaniche ANI S.p.a.) il Consorzio Energia Assindustria Vicenza - Energindustria respingeva la richiesta di rimborso.

Stante l’impossibilità (per le ragioni in seguito evidenziate) di un accordo bonario, le parti in data 6 novembre 2020 stipulavano un atto di compromesso per arbitrato, chiamato a decidere secondo diritto con le formalità proprie dell’arbitrato rituale, che prevedeva di sottopone al Collegio arbitrale i seguenti quesiti:

«Accertare e dichiarare se sussista o meno il diritto della società Officine Meccaniche ANI S.p.a. - quale cliente - a ripetere dal Consorzio Energia Assindustria Vicenza - quale fornitore - le somme corrisposte a titolo di addizionale provinciale all’accisa all’energia elettrica e, in conseguenza di tale accertamento, condannare o meno il Consorzio fornitore a rimborsare al Consorziato - cliente le somme richieste e accertate come dovute, con gli interessi di legge».

«Accertare o meno la rilevanza e la non manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale dell’art. 14 decreto legislativo n. 504/1995 con le norme costituzionali di cui all’art. 41, 3, 24 e 25 della Costituzione, con l’adozione dei provvedimenti conseguenti ed inerenti di rigetto o di accoglimento della istanza presentata».

Il Collegio arbitrale, costituito nella riunione del 9 novembre 2020, assegnava termini di difesa alle parti:

sino al 2 dicembre 2020, alla società Officine Meccaniche ANI S.p.a., e sino al 23 dicembre 2020 al Consorzio Energindustria, per il deposito di memorie contenenti le rispettive domande, eccezioni e le relative istanze, anche istruttorie, con deposito dei documenti che si intendono esibire al Collegio, e comunque degli elementi di cui ai punti 2, 3, 4 e 5 e 6 dell’art. 163 c.p.c.;

sino all’11 gennaio 2021 alla società Officine Meccaniche ANI S.p.a., e sino al 25 gennaio 2021 al Consorzio Energindustria, per il deposito di rispettive ed eventuali memorie di replica e controreplica;

fissando per la comparizione delle parti la riunione del giorno 8 febbraio 2021 ad ore 14,30.

Nella memoria di costituzione di data 2 dicembre 2020 la società Officine Meccaniche ANI S.p.a. ha chiesto al Collegio arbitrale l’accoglimento delle seguenti domande:

«accertare e dichiarare che l’art. 6 comma 1 del decreto-legge n. 511/1988 convertito, con modificazioni, dalla legge n. 20/1989 si pone in contrasto con l’art. 3, par. 2 della direttiva 92/12/CEE, e con l’art. 2008/118/CE, art. 1, par. 2 e, di conseguenza, deve essere disapplicato»;

«in conseguenza di tale disapplicazione accertare e dichiarare che le somme pagate a titolo di addizionale all’accisa all’energia elettrica, in contrasto con la normativa comunitaria, costituiscono indebito oggettivo e devono essere rimborsate»;

«accertare e dichiarare che le somme pagate a titolo di addizionale all’accisa all’energia elettrica dalla società Officine Meccaniche ANI S.p.a. nei confronti del Consorzio Energia Assindustria Vicenza ammontano complessivamente in euro 16.436,44 a titolo di capitale»;

«condannare il Consorzio Energia Assindustria Vicenza - Energindustria a corrispondere alla società Officine Meccaniche ANI S.p.a. la somma di euro 16.438,47 pagata a titolo di addizionale all’accisa all’energia elettrica oltre agli ulteriori interessi maturati dai singoli pagamenti sino al saldo»;

«con rifusione delle spese di procedura e oneri di difesa a favore della società Officine Meccaniche ANI S.p.a.».

Nella memoria di costituzione di data 23 dicembre 2020 il Consorzio Energia Assindustria Vicenza - Energindu- stria ha dedotto, tra l’altro:

che l’art. 14 decreto legislativo n. 504/1995 stabilisce: «Qualora, al termine di un procedimento giurisdizionale, il soggetto obbligato al pagamento dell’accisa sia condannato alla restituzione a terzi di somme indebitamente percepite a titolo di rivalsa dell’accisa, il rimborso è richiesto dal predetto soggetto obbligato, a pena di decadenza, entro novanta giorni dal passaggio in giudicato della sentenza che impone la restituzione delle somme»;

che «l’art. 14 decreto legislativo n. 504/1995 pone a carico del Consorzio un onere finanziario complessivo insostenibile a mera tutela dei soli interessi dell’Erario:

oltre quattro milioni e mezzo di euro, se valutato nei confronti di tutti i potenziali creditori;

oltre un milione e mezzo di euro, di debito certo ed attuale, se valutato nei confronti dei clienti che hanno interrotto il termine prescrizionale con la presentazione delle istanze di rimborso e che stanno minacciando in concorso le azioni giudiziarie;

centinaia di migliaia di euro, per spese giudiziali alle quali il Consorzio non può sottrarsi»;

che gli oneri imposti a mera tutela degli interessi dell’Erario ledono il proprio diritto alla libertà di impresa, previsti dagli articoli 16 (i.e. Libertà di impresa) e 52, primo comma (i.e. Portata dei diritti garantiti) della Carta dei Diritti Fondamentali dell’Unione europea, perché «non rispettano il contenuto essenziale» di tale diritto e priva il Consorzio delle risorse finanziarie necessarie alla sua esistenza e alla sua attività, con un forte rischio di insolvenza e di estinzione;

che l’art. 14 decreto legislativo n. 504/1995, si pone in contrasto non solo con la Carta dei Diritti Fondamentali dell’Unione europea, ma anche con gli articoli 3 e 41 della Costituzione;

che, in particolare, la norma si manifesta irragionevole (art. 3) perché impone all’attività di impresa oneri arbitrari e misure palesemente incongrui e non proporzionali, atti a condizionare le scelte imprenditoriali in grado così elevato da indurre la funzionalizzazione dell’attività economica, sacrificandone le opzioni di fondo, restringendone in rigidi confini lo spazio e l’oggetto delle scelte organizzative (art. 41);

che, oltretutto, anche qualora ritenesse fondata la richiesta di rimborso avanzata dai propri consorziati in quanto imposizione fiscale illegittima e come tale abrogata, il Consorzio non può aderire spontaneamente alla richiesta di rimborso, ma ha l’onere di essere parte in un procedimento giurisdizionale di condanna alla restituzione delle somme percepite a titolo di accisa (o addizionale all’accisa) che è imposto come necessario per poter far valere il suo diritto al successivo rimborso da parte dell’amministrazione finanziaria;

che per effetto di tale norma, non potendo il fornitore adempiere all’obbligo restitutorio di propria iniziativa (pena la perdita del diritto al rimborso nei confronti dell’Erario) il cliente si trova obbligato a radicare un procedimento giurisdizionale e il venditore ha l’onere di attendere la definitività della sentenza di condanna; una spontanea restituzione dell’accisa indebitamente riscossa o una definizione transattiva non consentono al venditore di ottenere dall’Erario il rimborso di quanto eventualmente restituito.

Il Consorzio Energia Assindustria Vicenza - Energindustria ha quindi richiesto al Collegio di sollevare la questione di incostituzionalità dell’art. 14 decreto legislativo n. 504/1995 ed ha formulato le seguenti domande:

«In via principale tutelare il diritto alla libertà di impresa di cui all’art. 16 della Carta dei Diritti Fondamentali dell’Unione europea e conseguentemente, previa disapplicazione diretta della normativa nazionale di cui all’art. 14 decreto legislativo n. 504/1995 in contrasto con la superiore normativa comunitaria, rigettare la domanda di accertamento e condanna proposte perché infondate».

«In subordine, ritenere e dichiarare che la questione di incompatibilità dell’art. 14 decreto legislativo n. 504/1995 con gli articoli 3, 41 e 117 della Costituzione, come sollevata in atti, è rilevante e non manifestamente infondata; e previa sospensione del presente giudizio, rimettere gli atti alla Corte costituzionale per il conseguente giudizio di legittimità in via incidentale».

«Spese di lite integralmente rifuse».

«In ulteriore subordine, nella denegata ipotesi di soccombenza, disporre la compensazione delle spese di lite, considerato l’obbligo disposto per legge a carico del consorzio resistente di essere parte del giudizio, ai sensi e per gli effetti di cui all’art. 14 decreto legislativo n. 504/1995.

Il 12 febbraio 2021, sciolta la riserva dell’8 febbraio 2021, riunione nella quale era stato esperito inutilmente il tentativo di conciliazione, il Collegio arbitrale tratteneva la vertenza in decisione.

Legittimazione del Collegio arbitrale costituito a sollevare questione incidentale di legittimità costituzionale ex art. 23 della legge 11 marzo 1953, n. 87.

In via preliminare, il Collegio arbitrale afferma la propria legittimazione a sollevare questione incidentale di legittimità costituzionale in quanto Collegio chiamato a decidere un Arbitrato rituale.

Infatti, nell’atto di compromesso, le parti hanno convenuto espressamente che:

«L’arbitrato sarà rituale, non amministrato, e il Collegio arbitrale deciderà secondo diritto nel rispetto delle norme inderogabili degli articoli 806 e ss. del codice di procedura civile, pervenendo ad un lodo suscettibile di essere reso esecutivo e di produrre gli effetti di cui all’art. 825 c.p.c.

Al Collegio arbitrale viene riconosciuta la facoltà di regolare lo svolgimento del giudizio nel modo ritenuto più opportuno dallo stesso. In ogni caso il Collegio arbitrale dovrà attuare il diritto del contraddittorio, concedendo alle parti ragionevoli ed equivalenti possibilità di difesa».

Sulla base del contenuto del compromesso arbitrale sottoscritto tra le parti, e sulla base dello svolgimento del procedimento come sopra richiamato, risulta chiara e incontestabile la natura rituale del procedimento arbitrale e la conseguente legittimazione del Collegio, come nel caso specifico, a rimettere alla Corte costituzionale una questione di legittimità costituzionale ai sensi dell’art. 23 della legge 11 marzo 1953, n. 87.

Disapplicazione dell’addizionale provinciale alle accise sull’energia elettrica di cui al decreto-legge n. 511 del 1988, art. 6.

Rispetto alle possibili questioni di legittimità costituzionale, ed agli effetti del giudizio di rilevanza, appare pregiudiziale la valutazione incidentale della fondatezza o meno della richiesta avanzata dalla società Officine Meccaniche ANI S.p.a. di disapplicazione dell’addizionale provinciale alle accise sull’energia elettrica di cui al decreto-legge n. 511 del 1988, art. 6.

L’art. 6 comma 1 del decreto-legge n. 511/1988 convertito, con modificazioni, dalla legge n. 20/1989, ha istituito un’addizionale all’accisa sul consumo di energia elettrica il cui gettito era destinato a finanziare i bilanci delle province.

Per effetto di tale normativa, nel periodo a tutto il 31 dicembre 2011, le bollette elettriche per consumi non domestici fino a 200.000 kwh di consumi mensili per punto di prelievo sono state gravate da una addizionale provinciale, con una aliquota variabile da un minimo di euro 9,30 ad un massimo di euro 11,40 su mille Kwh, a seconda delle delibere provinciali adottate.

L’addizionale veniva addebitata in fattura dal venditore al cliente e riscossa contestualmente al corrispettivo della fornitura. L’addizionale riscossa veniva poi riversata dal venditore all’Agenzia delle dogane contestualmente all’accisa.

L’addizione provinciale è stata abrogata dall’art. 4, comma 10, decreto-legge 2 marzo 2012, n. 16 «A decorrere dal 1° aprile 2012».

Il contrasto della normativa nazionale con il diritto comunitario - ravvisato dallo stesso legislatore - è stato ripetutamente dichiarato dalla Corte di cassazione, investita della questione a seguito dei ricorsi di numerose società: con orientamento costante a partire dalla pronuncia n. 27101/2019 del 23 ottobre 2019, la Suprema Corte ha statuito che l’addizionale provinciale alle accise sull’energia elettrica deve essere disapplicata e che le somme pagate a tale titolo costituiscono un indebito oggettivo, con il conseguente diritto degli utenti non domestici al rimborso delle medesime, nel termine prescrizionale di dieci anni dalla data di pagamento, per le seguenti motivazioni (vedasi, da ultimo, Cassazione sentenza n. 10690 del 5 giugno 2020):

«perché le addizionali provinciali siano legittime ai sensi della direttiva 2008/118/CE occorre il cumulativo riscontro di due requisiti, cioè: 1) il rispetto delle regole di imposizione dell’Unione applicabili ai fini delle accise o dell’IVA per la determinazione della base imponibile, il calcolo, l’esigibilità e il controllo dell’imposta; 2) la sussistenza di una finalità specifica»;

la seconda condizione non è rispettata «in quanto né la disposizione di cui al decreto 11 giugno 2007, art. 6, del capo del Dipartimento per le politiche fiscali del Ministero dell’economia e delle finanze, previsto dal medesimo articolo, comma 2, chiariscono in alcun modo le specifiche finalità che le addizionali dovrebbero soddisfare, non essendo in armonia con il diritto unionale la destinazione di tali addizionali a semplici finalità di bilancio»;

«in particolare, tenuto conto delle sentenze della Corte di giustizia sopra richiamate, non può essere ritenuta finalità specifica la destinazione (evincibile dalla premessa del decreto-legge n. 511 del 1988) delle imposte addizionali ad “assicurare le necessarie risorse agli enti della finanza regionale e locale, al fine di garantire l’assolvimento dei compili istituzionali”, non essendo tale finalità realmente distinta dalla generica finalità di bilancio»;

«altrettanto deve dirsi per quanto riguarda i riferimenti alla legge 8 giugno 1990, n. 142, art. 54, al decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267, art. 149 (Testo unico delle leggi sull’ordinamento degli enti locali, T.U.E.L.) ovvero all’art. 19 T.U.E.L.: le indicazioni che si traggono da tali norme sono infatti del tutto generiche e non in grado di distinguere la finalità specifica cui l’addizionale provinciale intende soddisfare»;

«la circostanza che in tema di bilancio degli enti locali non sia possibile destinare o vincolare a spese analiticamente individuate i proventi dell’addizionale, da un lato, non giustifica la violazione del diritto unionale e, dall’altro, non impedisce al legislatore di individuare una finalità specifica che i proventi dell’addizionale debbano soddisfare, indipendentemente dalla diretta correlazione tra entrata e spesa in sede di bilancio»;

«Nemmeno è possibile trarre argomenti dal decreto-legge 29 dicembre 2010, n. 225, art. 2, comma 2-bis, conv. con modif. nella legge 26 febbraio 2011, n. 10 (norma, peraltro, introdotta solo in sede di conversione e con decorrenza 27 febbraio 2011), e ritenere che le addizionali provinciali sull’energia elettrica vadano a copertura dei “costi diretti e indiretti dell’intero ciclo di gestione dei rifiuti”: la disposizione richiamata si esprime in termini potenziali (la gestione dei rifiuti “può essere assicurata”) e l’Agenzia delle dogane e dei monopoli non ha affatto provato che detta addizionale sia stata, nel caso di specie, effettivamente destinata alla copertura di quei costi»;

«ne consegue che il decreto-legge n. 511 del 1988, art. 6, comma 2, indipendentemente da qualsiasi que-stione sul carattere self-executing della direttiva 2008/112/CE, peraltro integralmente recepita dalla normativa interna, va disapplicato in ossequio al ricevuto principio per cui l’interpretazione del diritto comunitario fornita dalla Corte di giustizia U.E. è immediatamente applicabile nell’ordinamento interno e impone al giudice nazionale di disapplicare le disposizioni di tale ordinamento che, sia pure all’esito di una corretta interpretazione, risultino in contrasto o incompatibili con essa (Corte costituzionale, 8 giugno 1984, n. 170 e successive, C.G.U.E., 22 giugno 1989, in causa C103/88, Fratelli Costanzo, punti 30 e 31; in materia tributaria, Sez. U, 12 aprile 1996, n. 3458)»;

«le imposte addizionali in questione non sono dunque dovute, con conseguente infondatezza del motivo di ricorso, dovendosi pertanto affermare il seguente principio di diritto: “l’addizionale provinciale alle accise sull’energia elettrica di cui al decreto-legge n. 511 del 1988, art. 6, nella sua versione, applicabile ratione temporis, successiva alle modifiche introdotte dal decreto legislativo n. 26 del 2007, art. 5, comma 1, va disapplicata per contrasto con la direttiva 2008/118/CE, art. 1, par. 2, per come interpretato dalla Corte di giustizia U.E. con le sentenze 5 marzo 2015, in causa C-553/13, e 25 luglio 2018, in causa C-103/17».

Alla luce della costante giurisprudenza della Suprema Corte ritiene il Collegio arbitrale, agli effetti del giudizio di rilevanza ed in via incidentale, di condividere ed applicare il suesposto principio di diritto e dunque che l’addizionale provinciale alle accise sull’energia elettrica di cui al decreto-legge n. 511 del 1988, art. 6, nella sua versione, applicabile ratione temporis, successiva alle modifiche introdotte dal decreto legislativo n. 26 del 2007, art. 5, comma 1, vada disapplicata come richiesto dalla società Officine Meccaniche ANI S.p.a., con conseguente sussistenza del dedotto indebito oggettivo.

Si tratta quindi di valutare se, nel caso di addebito delle accise (e relativa addizionale) al consumatore finale, quest’ultimo debba esercitare l’azione civilistica di ripetizione di indebito direttamente nei confronti del fornitore, se il diritto al rimborso spettante al fornitore richieda quale condizione necessaria che il consumatore finale abbia esercitato vittoriosamente nei suoi confronti azione di ripetizione di indebito e se la normativa vigente in ordine al rimborso dell’accisa indebitamente versata sia conforme ai precetti costituzionali.

Quadro normativo di riferimento in cui va collocata la disposizione (censurata) che disciplina il rimborso di accise (e/o relative addizionali) indebitamente corrisposte.

Secondo il Testo unico accise (decreto legislativo 26 ottobre 1995, n. 504 e successive modificazioni), nella versione applicabile ratione temporis, per i prodotti sottoposti ad accisa (ed alla relativa addizionale) l’obbligazione tributaria sorge al momento della loro fabbricazione ovvero della loro importazione (art. 2, comma 1); sono obbligati al pagamento dell’accisa il titolare del deposito fiscale dal quale avviene l’immissione in consumo e gli altri soggetti nei cui confronti si verificano i presupposti per l’esigibilità dell’imposta (comma 4).

Gli obbligati al pagamento dell’accisa sull’energia elettrica sono «i soggetti che procedono alla fatturazione dell’energia elettrica ai consumatori finali, di seguito indicati come venditori» (art. 53, comma 1, lettera a), mentre «i crediti vantati dai soggetti passivi dell’accisa verso i cessionari dei prodotti per i quali i soggetti stessi hanno assolto tale tributo possono essere addebitati a titolo di rivalsa» (art. 16, comma 3); all’art. 56 si precisa, altresì, che le società fornitrici «hanno diritto di rivalsa sui consumatori finali» (art. 56, comma 1).

Ai sensi dell’art. 14 TUA (nella versione applicabile ratione temporis alla presente procedura arbitrale, inalterata rispetto a quella dell’epoca - anno 2011 - della riscossione dell’addizionale all’accisa di cui si discute), «l’accisa è rimborsata quando risulta indebitamente pagata», ma il rimborso - previsto in via generale dall’art. 9, p. 2, della direttiva n. 2008/118/CE, che fa riferimento alle modalità stabilite dai singoli Stati membri - «deve essere richiesto, a pena di decadenza, entro due anni dalla data del pagamento» e che «Qualora, al termine di un procedimento giurisdizionale, il soggetto obbligato al pagamento dell’accisa sia condannato alla restituzione a terzi di somme indebitamente percepite a titolo di rivalsa dell’accisa, il rimborso è richiesto dal predetto soggetto obbligato, a pena di decadenza, entro novanta giorni dal passaggio in giudicato della sentenza che impone la restituzione delle somme».

Il diritto al rimborso dell’accisa è, dunque, regolato, in via generale, dall’art. 14 TUA, mentre il decreto-legge 30 settembre 1982, n. 688, art. 19, comma 1, conv. con modif. nella legge 27 novembre 1982, n. 873, secondo cui «chi ha indebitamente corrisposto diritti doganali all’importazione, imposte di fabbricazione, imposte di consumo o diritti erariali (...) ha diritto al rimborso delle somme pagate quando prova documentalmente che l’onere non è stato in qualsiasi modo trasferito su altri soggetti, salvo il caso di errore materiale», risulta applicabile unicamente «quando i tributi riscossi non rilevano per l’ordinamento comunitario» (legge 29 dicembre 1990, n. 428, art. 29, comma 3).

Per il rimborso dei tributi rilevanti per l’ordinamento comunitario dispone la legge n. 428 del 1990, art. 29, comma 2, il quale stabilisce che: «I diritti doganali all’importazione, le imposte di fabbricazione, le imposte di con-sumo, il sovrapprezzo dello zucchero e i diritti erariali riscossi in applicazione di disposizioni nazionali incompatibili con norme comunitarie sono rimborsati a meno che il relativo onere non sia stato trasferito su altri soggetti, circostanza che non può essere assunta dagli uffici tributari a mezzo di presunzioni».

Dal combinato disposto delle menzionate disposizioni emerge che il primo soggetto passivo del rapporto tributario è il fornitore di energia, tenuto verso il fisco per il pagamento dell’accisa ovvero della relativa addizionale. Egli può ribaltarne l’onere rivalendosi nei confronti dell’utente secondo la caratterizzazione tipologica delle accise; il che postula, per poter risultare efficace e garantire un gettito costante all’Erario, la concentrazione del controllo su pochi soggetti, ossia i produttori o gli importatori dei prodotti (Cassazione sentenza n. 17627 del 6 agosto 2014).

Per costoro, in sostanza, l’accisa è un costo sostenuto prima della cessione del bene, tale da farlo rientrare, ad esempio, nella base imponibile dell’IVA (Cassazione sentenza n. 24015 del 3 ottobre 2018).

Per altro verso, «la configurabilità della rivalsa come oggetto di un diritto e non come elemento connaturale ed ineludibile della fisionomia del tributo esclude la configurabilità del rapporto di sostituzione d’imposta e, per conseguenza, l’autonoma rilevanza del sostituito, ossia del consumatore finale» (Cassazione sentenza n. 9567 del 2013).

Le superiori conclusioni trovano conferma nella giurisprudenza della Corte di cassazione: sia pure con riferimento al gas metano, è stato, infatti, affermato che «il rapporto tributario inerente al pagamento dell’imposta si svolge solo tra la amministrazione finanziaria ed i soggetti che forniscono direttamente il gas metano ai consumatori e ad esso è del tutto estraneo l’utente consumatore» (Cassazione S.U. sentenza 25 maggio 2009, n. 11987), sicché «il solo soggetto obbligato verso l’amministrazione finanziaria è l’ente comunale che immette in consumo il gas e riscuote l’accisa inglobata nel prezzo (è una peculiarità che non incide sulla natura del tributo che resta distinto dal prezzo del gas) (...)» (Cassazione S.U. sentenza 19 marzo 2009, n. 6589).

Uno schema del tutto analogo è seguito per il versamento delle imposte addizionali di cui al decreto-legge n. 511 del 1988, art. 6, comma 3 (nel testo applicabile ratione temporis), secondo cui dette imposte sono dovute, dai soggetti obbligati di cui all’art. 53 TUA (società fornitrici), al momento della fornitura dell’energia elettrica ai consumatori finali e che «le addizionali sono liquidate e riscosse con le stesse modalità dell’accisa sull’energia elettrica».

In buona sostanza, l’imposta (e la sua addizionale) è dovuta dai soggetti che forniscono direttamente il prodotto ai consumatori, di guisa che soggetto passivo dell’imposta è il fornitore del prodotto; quanto al consumatore, l’onere corrispondente all’imposta è su di lui traslato in virtù e nell’ambito di un fenomeno meramente economico. Ne deriva che il rapporto tributario inerente al pagamento dell’imposta si svolge soltanto tra l’amministrazione finanziaria ed i soggetti che forniscono direttamente i prodotti, essendo ad esso estraneo l’utente consumatore.

Come è stato rilevato sia in dottrina che in giurisprudenza, «i due rapporti, quello fra fornitore ed amministrazione finanziaria e quello fra fornitore e consumatore, si pongono quindi su due piani diversi: il primo ha rilievo tributario, il secondo civilistico» (cfr. Cassazione sentenza n. 9567 del 2013).

È stato ancora precisato, sia pure con riferimento all’IVA di rivalsa (Cassazione sentenza n. 23288 del 27 settembre 2018) ma con evidente estensibilità ad altre ipotesi (come in tema di accise), che dal compimento dell’operazione imponibile scaturiscono tre rapporti (cfr. Cassazione S.U. sentenza n. 26437 del 20 luglio 2017): uno, tra l’amministrazione finanziaria e il cedente, relativo al pagamento dell’imposta; un secondo, tra il cedente e il cessionario, concernente la rivalsa; un terzo, tra l’amministrazione e il cessionario, relativo alla detrazione dell’imposta assolta in via di rivalsa.

Si tratta di rapporti che, pur essendo collegati, non interferiscono tra loro e soltanto il cedente ha titolo ad agire per il rimborso nei confronti dell’amministrazione, la quale, pertanto, essendo estranea al rapporto tra cedente e cessionario, non può essere tenuta a rimborsare direttamente a quest’ultimo quanto dallo stesso versato in via di rivalsa (Cassazione sentenza n. 14933 del 6 luglio 2011; Cassazione sentenza n. 17169 del 26 agosto 2015).

Al riguardo, la Corte di giustizia ha ripetutamente sottolineato (tra le tante, CGUE 27 aprile 2017, causa C-564/15, Farkas) che, in mancanza di disciplina dell’Unione in materia di domande di rimborso delle imposte, spetta all’ordinamento giuridico interno di ciascuno Stato membro stabilire i requisiti al ricorrere dei quali tali domande possono essere presentate, purché i requisiti in questione rispettino i principi di equivalenza e di effettività, vale a dire, non siano meno favorevoli di quelli che riguardano reclami analoghi basati su norme di natura interna e non siano congegnati in modo da rendere praticamente impossibile l’esercizio dei diritti conferiti dall’ordinamento giuridico dell’Unione (in termini, CGUE 15 marzo 2007, causa C-35/05, punto 37, Reemtsma Cigarettenfabriken).

E quindi rispetta i principi di neutralità e di effettività (consentendo all’acquirente, gravato dell’imposta erroneamente fatturata, di ottenere il rimborso delle somme indebitamente versate) un sistema nel quale, da un lato, il venditore del bene che ha versato erroneamente alle autorità tributarie l’IVA può chiederne il rimborso e, dall’altro, l’acquirente di tale bene può esercitare un’azione civilistica di ripetizione dell’indebito nei confronti di tale venditore (CGUE 15 marzo 2007, causa C-35/05, cit., punti 38 e 39 e giurisprudenza ivi citata).

È quindi compito degli Stati membri prevedere gli strumenti e le modalità procedurali necessari per consentire a detto acquirente di recuperare l’imposta indebitamente fatturata, in modo da rispettare il principio di effettività; sicché soltanto se il rimborso risulti impossibile o eccessivamente difficile, il principio di effettività può imporre che l’acquirente del bene in questione sia legittimato ad agire per il rimborso direttamente nei confronti delle autorità tributarie (come nel caso di fallimento del venditore: CGUE 27 aprile 2017, causa C-564/15, cit.; conf., CGUE 31 maggio 2018, cause C660 e 661/16, KollroB e Wirti, punto 66).

Il fruitore dei beni o dei servizi può dunque ottenere il rimborso dell’imposta illegittimamente versata esperendo nei confronti del cedente o del prestatore un’azione di ripetizione d’indebito di rilevanza civilistica (vedi, in tema di IVA, CGUE 15 dicembre 2011, causa C-427/10, Banca Popolare Antoniana veneta, punto 42; e, in tema di accise, CGUE 20 ottobre 2011, causa C-94/10, Danfoss) ed eccezionalmente un’azione diretta nei confronti dell’Erario, ove venga dedotta in relazione all’azione nei confronti del fornitore la violazione del principio di effettività.

L’impossibilità o l’eccessiva difficoltà di cui sopra non sono di per sé ravvisabili per il fatto che la natura indebita del pagamento dell’imposta discenda dalla contrarietà di una norma nazionale a una direttiva, ma sono correlate alla situazione del soggetto passivo (nel caso in questione, del fornitore) e non già a quella del consumatore finale.

Può quindi affermarsi, con specifico riferimento alla materia delle accise e delle addizionali, che secondo la normativa vigente (TUA):

obbligato al pagamento delle accise (e relativa addizionale) nei confronti dell’amministrazione doganale è unicamente il fornitore;

il fornitore può addebitare integralmente le accise (e relativa addizionale) pagate al consumatore finale;

i rapporti tra fornitore e amministrazione doganale e fornitore e consumatore finale sono autonomi e non interferiscono tra loro;

in ragione della menzionata autonomia, il consumatore finale, anche in caso di addebito del tributo da parte del fornitore, non ha diritto a chiedere direttamente all’amministrazione finanziaria il rimborso delle accise (e/o relativa addizionale) indebitamente corrisposte;

il diritto al rimborso spetta unicamente al fornitore, che può esercitarlo nei confronti dell’amministrazione finanziaria: a) nel caso in cui non abbia addebitato l’imposta al consumatore finale, entro due anni dalla data del pagamento; b) nel caso in cui il consumatore finale abbia esercitato vittoriosamente nei suoi confronti azione di ripetizione di indebito, entro novanta giorni dal passaggio in giudicato della relativa sentenza;

nel caso di addebito delle accise (e relativa addizionale) al consumatore finale, quest’ultimo può esercitare l’azione civilistica di ripetizione di indebito direttamente nei confronti del fornitore, salvo chiedere eccezionalmente il rimborso anche nei confronti dell’amministrazione finanziaria allorquando alleghi che l’azione esperibile nei confronti del fornitore si riveli oltremodo gravosa (come accade, ad esempio, nell’ipotesi di fallimento del fornitore).

In buona sostanza, secondo la normativa vigente:

le imposte addizionali sul consumo di energia elettrica di cui al decreto-legge n. 511 del 1988, art. 6, comma 3 (nel testo applicabile ratione temporis) sono dovute, al pari delle accise, dal fornitore al momento della fornitura dell’energia elettrica al consumatore finale e, nel caso di pagamento indebito, unico soggetto legittimato a presentare istanza di rimborso all’amministrazione finanziaria ai sensi del decreto legislativo n. 504 del 1995, art. 14 e della legge n. 428 del 1990, art. 29, comma 2, è il fornitore;

il consumatore finale dell’energia elettrica, a cui sono state addebitate le imposte addizionali sul consumo di energia elettrica di cui al decreto-legge n. 511 del 1988, art. 6, comma 3 (nel testo applicabile ratione temporis) da parte del fornitore, può agire nei confronti di quest’ultimo con l’ordinaria azione di ripetizione di indebito e, solo nel caso in cui tale azione si riveli impossibile o eccessivamente difficile con riferimento alla situazione in cui si trova il fornitore, può eccezionalmente chiedere il rimborso nei confronti dell’amministrazione finanziaria, nel rispetto del principio unionale di effettività e previa allegazione e dimostrazione delle circostanze di fatto che giustificano tale legittimazione straordinaria;

solo una volta che sia stata esercitata vittoriosamente da parte del consumatore finale l’azione di rimborso nei confronti del fornitore, quest’ultimo ha novanta giorni dal passaggio in giudicato della sentenza per far valere il diritto al rimborso nei confronti dell’amministrazione finanziaria.

Dubbi di costituzionalità del quarto comma dell’art. 14 decreto legislativo n. 504/1995.

Il Consorzio Energia Assindustria Vicenza - Energindustria ha evidenziato:

di aver incassato dai clienti negli anni 2010 e 2011, a titolo di addizionale provinciale all’accisa sull’energia elettrica, la somma complessiva di euro 6.011.045,80, che poi ha riversato all’Erario nella sua veste di debitore di imposta;

che, al momento della costituzione del Collegio arbitrale, oggetto di potenziale rimborso per indebito comu-nitario non era tutta la somma incassata a titolo di addizionale provinciale all’accisa sull’energia elettrica nel biennio 2010/2011, in quanto parte dell’indebito risultava prescritta;

che al momento della costituzione del Collegio arbitrale il potenziale onere di rimborso a carico del Consorzio per indebiti non prescritti poteva essere valutato in circa quattro milioni e mezzo di euro (come da elenchi e schede contabili prodotte);

che, alla data di radicazione del procedimento arbitrale, trentatré clienti avevano presentato istanza di rim-borso per le somme versate a titolo di addizionale provinciale all’energia elettrica negli anni 2010/2011, per un importo complessivo richiesto pari ad euro 1.537.261,72, intimando il pagamento e minacciando l’azione giudiziaria;

di avere l’onere, ai sensi dell’art. 14 decreto legislativo n. 504/1995, di sostenere un procedimento giurisdi-zionale per giungere ad una sentenza di condanna che gli consenta successivamente di richiedere all’Erario le somme (per addizionale provinciale) rimborsate ai clienti;

che all’importo capitale degli indebiti andrebbero quindi aggiunti i costi di difesa (quantificati in oltre un milione di euro per il solo giudizio di primo grado se tutti i clienti creditori agissero in giudizio ed in oltre 170.000 euro per i soli trentatré potenziali giudizi di primo grado relativi alle istanze di rimborso già ricevute, salvi i gradi successivi) e i realistici oneri legali di soccombenza;

che, anche a voler limitare l’onere ai trentatré giudizi potenziali conseguenti alle istanze di rimborso già presentate, il Consorzio sarebbe chiamato a allocare in bilancio un fondo per oneri di lite futuri che comprenda anche un importo non inferiore ad euro 170.000,00, senza considerare le ulteriori somme eventualmente dovute per oneri di soccombenza;

che sebbene la società Officine Meccaniche ANI richieda il rimborso della somma di soli euro 16.436,44 in linea capitale (importo il cui pagamento non comporta pregiudizio irreversibile o onere finanziario insostenibile) nell’ipotesi di rimborso generalizzato per indebito comunitario la valorizzazione dell’onere restitutorio e delle lesioni del diritto costituzionale e comunitario non devono essere valutati in senso atomistico, con riferimento limitato al singolo rimborso;

che quindi, imponendo l’art. 14 decreto legislativo n. 504/1995 un obbligo generale di rimborso dell’indebito comunitario, deve essere valutata la complessiva idoneità di tale obbligo generale ad incidere sfavorevolmente, ed in modo irreversibile, nella sfera giuridica patrimoniale del soggetto gravato dal rimborso;

che la valutazione del peso dell’obbligo e della sua irragionevolezza non deve essere rapportata alla mani-festazione di un singolo fatto (i.e. pagamento singolo e puntuale), ma deve essere svolta sullo stato di soggezione, da intendersi negli effetti complessivi che l’obbligo imposto dalla norma esplica nella sfera giuridica del Consorzio;

che l’Organo amministrativo del Consorzio ha l’obbligo di adottare idonee misure e politiche di bilancio e di programmazione della propria attività atte a coprire gli oneri e le passività sopraindicate quanto meno per un importo non inferiore ad euro 1.800.000,00 (debito restitutorio certo oltre ad oneri di giustizia e di soccombenza), con accantonamento minimo (limitato alle sole istanze già pervenute) di pari importo;

di essere verosimilmente nell’impossibilità di far fronte all’onere restitutorio imposto dalla legge ed agli oneri conseguenti, come si può desumere dal bilancio al 31 dicembre 2019 in atti, dal quale emergono: un valore della produzione di euro 1.376.435,00, costi della produzione per euro 1.263.763,00, un risultato prima delle imposte di euro 115.801,00, un utile di esercizio di euro 12.774,00, un netto patrimoniale di euro 981.589,00;

di non essere in grado di assicurare la costituzione di alcun fondo né di fronteggiare il debito restitutorio se non ricorrendo a misure di politica aziendale e di bilancio straordinarie che comporterebbero il congelamento della liquidità, lo stravolgimento della politica consortile in ordine a iniziative e sviluppi futuri, il forte rischio (o pericolo serio, concreto ed attuale) di non essere in grado di gestire la normale e ordinaria attività, in ordine ai debiti correnti, ivi compreso il trattamento di fine rapporto ai dipendenti, il pericolo della messa in liquidazione del Consorzio e della sua insolvenza;

che la presenza del debito restitutorio comporta che l’attività del Consorzio non sia più finalizzata a perseguire lo scopo consortile per cui è stato costituito, ma che venga monopolizzata, per un tempo al momento indefinito, dalla necessità di fronteggiare il debito stesso, sorto a causa di un comportamento non proprio, ma del legislatore, con rimborso differito nel tempo nell’esclusivo interesse dell’Erario;

che sussiste il rischio concreto e attuale di non essere in grado di far fronte all’onere restitutorio, con il pericolo della messa in liquidazione del Consorzio e della sua insolvenza, con conseguente estinzione;

che alla luce della situazione concreta che si è venuta a creare appare fondato il dubbio che la norma di legge di cui all’art. 14 decreto legislativo n. 504/1995, con riferimento alla fattispecie di indebito comunitario, si ponga in contrasto sia con gli articoli 3 e 41 della Costituzione, sia con l’art. 117 della Costituzione, in via mediata, per violazione degli articoli 16 e 52 della Carta Fondamentale dei Diritti dell’Unione europea;

che in questo caso, persistendo comunque in radice un dubbio di legittimità in presenza di una doppia pre- giudizialità, si rende necessario il rinvio pregiudiziale alla Corte costituzionale, come dalla stessa evidenziato in varie pronunce[1] [2], anche perché al Collegio arbitrale è preclusa la strada collaborativa con il giudice comunitario del rinvio pregiudiziale ex art. 267 TFUE.

Il Collegio arbitrale ritiene che sussistano dubbi di costituzionalità del quarto comma dell’art. 14 decreto legislativo n. 504/1995 sia sotto i profili evidenziati dal Consorzio Energia Assindustria Vicenza - Energindustria sia sotto gli ulteriori profili di seguito esposti.

Violazione degli articoli 41 e 3 della Costituzione.

Sul punto del diritto alla libertà della iniziativa economica previsto dall’art. 41 della Carta costituzionale e sui suoi limiti la giurisprudenza della Corte costituzionale è chiara, pacifica e costante:

la tutela costituzionale della sfera dell’autonomia privata non è assoluta;

il legislatore può imporre oneri all’attività di impresa: pertanto non è configurabile una lesione della libertà d’iniziativa economica allorché l’apposizione di limiti di ordine generale al suo esercizio corrisponda all’utilità sociale;

le limitazioni o gli oneri imposti alla attività di impresa non devono essere arbitrari;[3]

le misure in concreto adottate non devono essere palesemente incongrue;

l’intervento legislativo non deve essere tale da condizionare le scelte imprenditoriali in grado così elevato da indurre la funzionalizzazione dell’attività economica, sacrificandone le opzioni di fondo, restringendone in rigidi confini lo spazio e l’oggetto delle stesse scelte organizzative». [4]

Ad avviso del Collegio arbitrale la norma di cui al quarto comma dell’art. 14 del decreto legislativo n. 504/1992, con riferimento alle modalità imposte al venditore per la restituzione delle addizionali provinciali all’accisa all’energia elettrica quale indebito oggettivo comunitario e per il successivo recupero dell’addizionale, non è conforme ai principi costituzionali delineati dall’art. 41, ma pone un limite illegittimo, irragionevole e non proporzionato al diritto alla libertà di iniziativa economica posto che:

l’onere imposto dalla legge al venditore (nella specie il Consorzio Energia Assindustria Vicenza - Ener- gindustria) di rimborsare un indebito per violazione del diritto comunitario priva lo stesso delle risorse economiche necessarie allo svolgimento della propria attività, con il rischio di insolvenza e conseguente estinzione, per un fatto o inadempimento non imputabile allo stesso, ma al legislatore dello Stato membro, così arrecando pregiudizio al contenuto essenziale del diritto costituzionale alla libera iniziativa economica;

l’onere di «anticipare» le somme percepite indebitamente in virtù di una sentenza provvisoriamente esecutiva, con la possibilità di recuperare le somme solo dopo anni (divergenza temporale tra sentenza provvisoriamente esecutiva, che obbliga il venditore a corrispondere l’indebito comunitario, e passaggio in giudicato della sentenza che legittima la richiesta di restituzione delle somme anticipate), comporta uno sbilancio finanziario irragionevole ed inaccettabile, che pregiudica l’attività di impresa propria del venditore (nella specie il Consorzio Energia Assindustria Vicenza - Energindustria);

l’obbligo di sostenere una difesa giudiziale, per una moltitudine diffusa di procedimenti, con costi ingenti a proprio esclusivo carico senza alcuna possibilità di rimborso, appare del tutto irragionevole ed arbitrario, specie quando il diritto del cliente al rimborso appare chiaro e delineato alla luce della condivisibile giurisprudenza della Corte di cassazione;

proprio la presenza di un obbligo restitutorio generalizzato di una accisa o addizionale per indebito comunitario comporta che l’attività del Consorzio non sia più finalizzata a perseguire lo scopo per cui è stato costituito, ma venga monopolizzata, per un tempo indefinito al momento, dalla necessità di fronteggiare il debito stesso, sorto - come detto - a causa dell’emanazione di normativa in contrasto con il diritto comunitario.

L’onere imposto dall’art. 14 decreto legislativo n. 504/1995 a carico del fornitore di energia appare illegittimo anche perché sproporzionato e si manifesta insopportabile e spropositato, con conseguente violazione dell’art. 3 della Costituzione.

Per poter rispondere ai principi di proporzionalità e di ragionevolezza, le misure adottate dal legislatore nazionale devono infatti essere idonee al conseguimento degli obiettivi legittimi prefissati, non devono superare i limiti di quanto risulti necessario per conseguire tali obiettivi (tanto che qualora esistano diverse alternative sul piano regolamentare si deve ricorrere a quella meno restrittiva) e gli inconvenienti causati non devono essere sproporzionati rispetto agli scopi perseguiti.

Nel caso in esame appare evidente la sproporzione e la totale mancanza di bilanciamento degli interessi contrapposti, con il sacrificio del diritto alla libertà di impresa a favore dell’Erario.

Va infatti considerato che il quarto comma dell’art. 14 decreto legislativo n. 504/1995 disciplina due fattispecie tra loro ben diverse, e cioè:

sia l’ipotesi di indebito singolo e specifico per erronea applicazione dell’accisa o della sua addizionale;

sia l’indebito per violazione di normativa comunitaria (pur dovendosi ritenere che la predetta norma non sia sorta con la finalità di disciplinare tale indebito).

E che si tratti di fattispecie ben diverse tra loro è evidenziato dal fatto che:

a) l’indebito singolo e specifico per erronea applicazione dell’accisa:

colpisce in modo limitato pochi comportamenti, posti in essere in carenza o violazione dei presupposti richiesti dalla norma;

è frutto di un errore posto in essere dal venditore o dal cliente;

è conosciuto in concreto dalle sole parti del rapporto contrattuale;

genera un onere finanziario limitato, del tutto sostenibile da parte del venditore;

b) l’indebito per violazione di normativa comunitaria, per contro:

colpisce la generalità dei soggetti potenzialmente interessati all’accisa;

è conseguenza di un comportamento illegittimo del legislatore nazionale, cui competerebbe l’obbligo di porvi rimedio senza nessun concorso delle parti contrattuali;

non è conseguenza di un comportamento errato delle parti, le quali hanno dato corretta esecuzione ad una norma di legge vigente all’epoca dell’applicazione dell’accisa o sua addizionale;

non richiede l’opportunità che la verifica della debenza o meno del diritto al rimborso venga devoluto al soggetto che, in concreto e senza colpa, ha addebitato l’accisa ma può essere valutato direttamente dall’Erario, effettivo destinatario delle somme, sulla base della prova del pagamento indebito;

genera un onere molto elevato, spropositato ed insostenibile da parte del soggetto passivo dell’accisa.

La lettera dell’art. 14 decreto legislativo n. 504/1995, che non opera distinzioni tra i due diversi tipi di indebito, va così irragionevolmente a disciplinare in modo identico fattispecie diverse tra loro, e cioè sia l’indebito dovuto a errore limitato e non generalizzato, commesso dal venditore o dall’acquirente nel corso del rapporto contrattuale, sia l’indebito comunitario, conseguente all’illegittimità dell’addizionale provinciale all’accisa all’energia elettrica, determinando così conseguenze insostenibili per il venditore nell’ipotesi di indebito generalizzato comunitario; la violazione dell’art. 3 della Costituzione appare, nell’applicazione della predetta norma all’indebito comunitario, del tutto evidente.

Violazione dell’art. 117 della Costituzione, in via mediata, per violazione degli articoli 16 e 52 della Carta Fondamentale dei Diritti dell’Unione europea.

Alla luce della situazione concreta sulla quale il Collegio arbitrale è chiamato a pronunciarsi, appare fondato il dubbio che la norma di legge di cui all’art. 14 decreto legislativo n. 504/1995, quarto comma, si ponga in contrasto anche con gli articoli 16 e 52 della Carta Fondamentale dei Diritti dell’Unione europea, e pertanto, con l’art. 117 della Carta costituzionale.

Va evidenziato al riguardo:

che la fattispecie in esame è assoggettata alla disciplina della direttiva 2008/118/CE del Consiglio del 16 dicembre 2008, per la cui attuazione è stato novellato l’art. 14 del decreto legislativo n. 504/1995;

che, in particolare, l’art. 9 di tale direttiva dispone: «Le condizioni di esigibilità e l’aliquota dell’accisa da applicare sono quelle in vigore alla data in cui l’accisa diviene esigibile nello Stato membro nel quale ha luogo l’immissione in consumo. L’accisa viene applicata e riscossa e, se del caso, è oggetto di rimborso o sgravio secondo le modalità stabilite da ciascuno Stato membro. Gli Stati membri applicano le medesime modalità ai prodotti nazionali e ai prodotti provenienti dagli altri Stati membri»;

che l’art. 14 del decreto legislativo n. 504/1995 costituisce l’adeguamento dell’ordinamento nazionale alla normativa comunitaria e quindi norma di derivazione comunitaria;

che gli articoli 16 e 52 della Carta Fondamentale dei Diritti dell’Unione europea dispongono:

«Art. 16 (Libertà di impresa). — È riconosciuta la libertà d’impresa, conformemente al diritto dell’Unione e alle legislazioni e prassi nazionali»;

«Art. 52 (Portata dei diritti garantiti). — Eventuali limitazioni all’esercizio dei diritti e delle libertà riconosciuti dalla presente Carta devono essere previste dalla legge e rispettare il contenuto essenziale di detti diritti e libertà. Nel rispetto del principio di proporzionalità, possono essere apportate limitazioni solo laddove siano necessarie e rispondano effettivamente a finalità di interesse generale riconosciute dall’Unione o all’esigenza di proteggere i diritti e le libertà altrui»;

che le citate norme sono state interpretate dalla giurisprudenza della Corte di giustizia nel senso che:

la libertà di impresa implica la libertà di esercitare un’attività economica o commerciale, la libertà con-trattuale e la libera concorrenza; [5]

il diritto alla libertà d’impresa comprende segnatamente il diritto di ogni impresa di poter disporre liberamente, nei limiti della responsabilità per le proprie azioni, delle risorse economiche, tecniche e finanziarie di cui dispone;[6]

la libertà d’impresa non costituisce una prerogativa assoluta, e può essere soggetta a interventi dei poteri pubblici suscettibili di stabilire, nell’interesse generale, limiti all’esercizio dell’attività economica;

ai sensi dell’art. 52, paragrafo 1, della Carta, eventuali limitazioni all’esercizio dei diritti e delle libertà riconosciute da quest’ultima devono essere previste dalla legge, rispettare il contenuto essenziale di tali diritti e libertà e, nel rispetto del principio di proporzionalità, essere necessarie e rispondere effettivamente a finalità di interesse generale riconosciute dall’Unione europea o all’esigenza di proteggere i diritti e le libertà altrui; [7]

che se è pur vero che gli Stati membri dispongono di un ampio margine discrezionale nella scelta degli oneri imposti per conseguire un fine di interesse pubblico «siffatto margine discrezionale non può giustificare che siano lesi i diritti che i soggetti dell’ordinamento ricavano dalle disposizioni del Trattato che sanciscono le loro libertà fondamentali. Inoltre le limitazioni apportate al libero esercizio dei diritti e delle libertà fondamentali garantite dalla Carta, nella fattispecie alla libertà di impresa sancita dall’art. 16 di quest’ultima, devono del pari rispettare il contenuto essenziale di tali diritti e libertà» (Sentenza del 21 dicembre 2016, AGET Iralklis, C-201/15, punti 81 e 82);

che, secondo la giurisprudenza della Corte di giustizia, il controllo di proporzionalità consiste nell’esaminare la corrispondenza tra gli obiettivi prefissi e le misure scelte per conseguirli e che, per poter rispondere al principio di proporzionalità, le misure adottate devono essere idonee al conseguimento degli obiettivi legittimi prefissati, non devono superare i limiti di quanto risulti necessario per conseguire tali obiettivi (qualora esistano diverse alternative sul piano regolamentare si deve ricorrere a quella meno restrittiva) e gli inconvenienti causati non devono essere sproporzionati rispetto agli scopi perseguiti (bilanciamento interno o proporzionalità strictu sensu). (C-101/12, Schaible EU:C:2013:661, punto 29), o (C-528/13, Léger, EU:C:2015:288, punto 58).

Orbene, alla luce del fatto che il Consorzio Energia Assindustria Vicenza - Energindustria ha comprovato, con la produzione di idonea documentazione, l’entità degli oneri di rimborso ai cessionari della addizionale e dei costi necessari di giustizia, ritiene il Collegio arbitrale che tale rimborso:

vada ad inibire (o fortemente limitare) al Consorzio l’esercizio ordinario della propria attività, privandolo delle disponibilità patrimoniali e finanziarie necessarie per il suo funzionamento;

comporti per la società l’incapacità di far fronte ad un rimborso generalizzato, al quale sarebbe obbligato a seguito di sentenze di accertamento e di condanna;

comporti per la società il forte pericolo di insorgenza di uno stato di insolvenza con il rischio della sua estinzione,

e che, conseguentemente, l’incidenza dell’onere imposto comporti la compressione e la conseguente estinzione del diritto di libertà di impresa, con conseguente violazione del precetto comunitario di cui all’art. 52, secondo il quale «le limitazioni ... devono rispettare il contenuto essenziale di detti diritti e libertà».

Come in precedenza esposto, l’entità del debito restitutorio comporta che l’attività della società non sia più finalizzata a perseguire l’attività propria di impresa, che viene compromessa, per un tempo al momento indefinito, dalla necessità di fronteggiare un debito restitutorio causato dal legislatore.

L’onere imposto, oltre a comprimere e non rispettare il contenuto essenziale del diritto della libertà di impresa, viola anche il requisito del principio di proporzionalità richiesto nel secondo periodo del primo comma dell’art. 52 della Carta; appare infatti del tutto evidente la sproporzione e la totale mancanza di bilanciamento degli interessi contrapposti (l’utilità sociale voluta dal legislatore con il diritto alla libertà di impresa tutelato dalla Carta dei Diritti Fondamentali), con il sacrificio totale del diritto a vantaggio di una mera utilità a favore dell’Erario (che mantiene per tempo irragionevole la disponibilità di importi incassati in forza di tributo illegittimo), bilanciamento che potrebbe essere perseguito diversamente (ad esempio assimilando l’ipotesi di indebito comunitario all’ipotesi di legittimazione diretta del cessionario nei confronti dell’Erario prevista nel caso di impossibilità o eccessiva difficoltà di conseguire dal fornitore il rimborso dell’imposta indebitamente pagata).

Va evidenziato che il Collegio arbitrale ritiene di non poter disapplicare direttamente la norma nazionale in quanto: la giurisprudenza comunitaria esistente non fornisce i chiarimenti necessari per una chiara e pacifica disapplicazione della norma nazionale;

il Collegio arbitrale non ha la possibilità di adire la Corte di giustizia in via pregiudiziale e di collaborazione; sussiste nel caso in esame una questione di doppia pregiudizialità (controversie che possono dare luogo a questioni di illegittimità costituzionale e, simultaneamente, a questioni di compatibilità con il diritto dell’Unione). Ulteriori profili di incostituzionalità in ordine alla normativa dedotta in controversia e suo presupposto.

La disposizione legislativa (art. 14, quarto comma, del decreto legislativo 26 ottobre 1995, n. 504) che il Collegio arbitrale sospetta d’incostituzionalità viola inoltre gli articoli 3, 24, 111 e 117, primo comma della Costituzione, sotto i seguenti profili.

Ad avviso del Collegio arbitrale sussiste ulteriore violazione dell’art. 3 della Costituzione perché la norma censurata (art. 14, quatto comma, del decreto legislativo 26 ottobre 1995, n. 504):

imponendo al fornitore di energia elettrica (che abbia esercitato la rivalsa sul consumatore finale dell’accisa e dell’addizionale) l’onere (a pena della perdita del diritto al rimborso dell’accisa e/o dell’addizionale provinciale all’accisa) di subire una pronuncia di condanna nel giudizio (ordinario o arbitrale rituale) promosso dal cessionario che reclami la restituzione dell’accisa o addizionale indebitamente traslata,

e, inoltre, gravando il cessionario dell’onere di una procedura giudiziale per il recupero dell’indebito in quanto il fornitore non può effettuare spontaneamente il rimborso a pena della perdita del diritto al recupero dell’indebito nei confronti dell’Agenzia delle dogane, non rispetta i principi generali di eguaglianza e ragionevolezza (stabiliti dall’art. 3 della Costituzione), senza alcuna ragionevole giustificazione e per molteplici profili e concretizza un inammissibile sbilanciamento tra i diritti di fornitore e cessionario, da una parte, e le esigenze della finanza pubblica, dall’altra.

La violazione del principio di uguaglianza sancito dall’art. 3 della Costituzione appare evidente ove si consideri la diversa disciplina di rimborso in ambito accise rispetto ad altre procedure di rimborso di indebito nei confronti dell’amministrazione finanziaria; ad esempio, sussiste violazione del principio di uguaglianza:

1) tra cessionario in ambito di accisa e di addizionale provinciale all’accisa (illecitamente applicata) e cessionario in ambito di IVA (illecitamente applicata), posto che solo nella prima ipotesi il cessionario è gravato dall’onere di una procedura giudiziale per il recupero dell’indebito in quanto il fornitore non può effettuare spontaneamente il rimborso a pena della perdita del diritto al recupero dell’indebito nei confronti dell’Agenzia delle dogane;

2) tra cessionario in ambito di accisa e di addizionale provinciale all’accisa illecitamente applicata da fornitore nei cui confronti l’ordinaria azione di ripetizione di indebito si riveli impossibile o eccessivamente difficile e cessionario in ambito di accisa o addizionale provinciale illecitamente applicata da fornitore nei cui confronti l’ordinaria azione di ripetizione di indebito si riveli possibile o non eccessivamente difficile, posto che solo nella prima ipotesi il cessionario è gravato dall’onere di una procedura giudiziale di accertamento (e condanna) per il recupero dell’indebito, con l’anticipazione di spese (quanto meno il contributo unificato e la marca di iscrizione a ruolo) e dilatazione dei tempi di recupero dell’indebito;

3) tra fornitore di energia elettrica (gravata di accisa e di addizionale provinciale) e fornitore di beni e servizi (assoggettati ad IVA), in quanto solo nella prima ipotesi il fornitore - per non precludersi la possibilità di recuperare l’accisa (e l’addizionale provinciale) che è tenuto a rimborsare al cessionario - si vede gravato da una procedura giudiziale, degli oneri della propria difesa in giudizio, degli oneri di lite, dell’imposta di registrazione della sentenza o del lodo di condanna; oneri tutti di cui non ha titolo al successivo rimborso e che portano in sostanza alla decurtazione dell’importo che andrà a recuperare dall’Agenzia delle dogane, con violazione dei principi di neutrahtà e di effettività. La disposizione legislativa (art. 14, quarto comma, del decreto legislativo 26 ottobre 1995, n. 504), che il Collegio arbitrale sospetta d’incostituzionalità viola inoltre il principio di ragionevolezza.

La procedura di rimborso dell’accisa (e dell’addizionale provinciale), inasprita dal filtro dell’azione giudiziaria (l’art. 14 TUA, comma 4, considera l’azione di rimborso come un posterius della vittoriosa azione proposta nei confronti del fornitore dal consumatore definitivamente inciso dal peso economico dell’imposta), non può trovare giustificazione (se non meramente apparente) nella «esigenza di evitare un ingiustificato arricchimento in favore del fornitore

(Cassazione n. 19618 del 1° ottobre 2015; Cassazione n. 11224 del 16 maggio 2007; Cassazione n. 10939 del 24 maggio 2005)» (vedasi Cassazione sentenza n. 3233/2020) che trattenga l’accisa e l’addizionale provinciale rimborsategli o nell’esigenza di evitare comportamenti fraudolenti; va infatti considerato:

che la sentenza (o lodo reso all’esito di arbitrato rituale) definitiva di accertamento e condanna alla restituzione dell’indebito ottenuta dal cessionario nei confronti del fornitore ha efficacia solo inter partes e non vincola in alcun modo l’amministrazione finanziaria, che per procedere al rimborso al fornitore dell’accisa o addizionale provinciale indebitamente versatele dovrà comunque svolgere autonoma istruttoria per verificare la fondatezza della richiesta;

che, anche ai fini del rispetto dei principi di equivalenza ed effettività del diritto al rimborso (vedasi CGUE 15 marzo 2007, causa C-35/05, punto 37), il legislatore deve scegliere modalità procedurali idonee ad evitare inutili e dispendiose procedure, specie ove possa evitare un ingiustificato arricchimento del fornitore o condizionando il rimborso (oltre che alla prova del credito) alla prova (ad esempio con bonifico «parlante» su conto del cessionario, che l’amministrazione finanziaria può monitorare) dell’avvenuta rifusione dell’indebito al cessionario (momento dal quale far decorrere il termine di decadenza del diritto a richiedere il rimborso), oppure prevedendo che il rimborso spettante al fornitore vada accreditato sul conto indicato dal cessionario (pure facilmente verificabile dall’amministrazione finanziaria), fermo restando che soltanto il cedente ha titolo ad agire per il rimborso nei confronti dell’amministrazione;

che (nel caso di disponibilità alla definizione stragiudiziale della pretesa del cessionario) è del tutto irragionevole imporre un’azione giudiziaria per consentire il recupero di una addizionale illegittimamente disposta dal legislatore e successivamente abrogata, con aggravio procedimentale ed economico inutilmente complesso.

E la previsione del citato art. 14 non può trovare giustificazione neppure nella dichiarata (vedasi relazione illustrativa del decreto legislativo n. 48/2010 di modifica dell’art. 14 del decreto legislativo 26 ottobre 1995, n. 504) esigenza di annullare gli effetti negativi derivanti agli operatori interessati dalla coesistenza di due termini (l’uno, decennale, di prescrizione e l’altro, biennale, di decadenza) concessi rispettivamente al consumatore finale per ottenere la restituzione delle somme indebitamente pagate a titolo di accisa e all’operatore per richiedere il rimborso delle medesime somme da parte dell’amministrazione finanziaria; fatte salve altre soluzioni, sarebbe stato sufficiente prevedere che il diritto al rimborso spettante all’operatore sorgesse solo al momento della rifusione dell’indebito al consumatore finale.

Sussiste inoltre, ad avviso del Collegio arbitrale la violazione dell’art. 24 della Costituzione, sotto il profilo del diritto di difesa, laddove l’art. 14 del decreto legislativo 26 ottobre 1995, n. 504, imponendo al fornitore di energia elettrica (che abbia esercitato la rivalsa sul consumatore finale dell’accisa e dell’addizionale) l’onere (a pena della perdita del diritto al rimborso dell’addizionale provinciale dell’accisa) di una resistenza «suicida» in giudizio, con i relativi oneri processuali e di difesa, va a trasformare il diritto di difesa in un obbligo che va inevitabilmente a ledere l’effettività del diritto al rimborso (dati i costi processuali ed accessori); non può sottacersi che il diritto di difesa ricomprende necessariamente anche il diritto di scegliere di evitare il contenzioso mediante un adempimento spontaneo che eviti inutili oneri.

La disposizione legislativa (art. 14, quarto comma, del decreto legislativo 26 ottobre 1995, n. 504) che il Collegio arbitrale sospetta d’incostituzionalità si pone, altresì, in contrasto con gli articoli 111 e 117 della Costituzione, per flagrante violazione del diritto fondamentale ad un «processo equo» ed alla effettività della tutela giurisdizionale, trasposto in termini di «giusto processo», secondo il significato a tal espressione attribuito dall’art. 111 della Costituzione;

ed invero:

non può infatti essere considerato «equo» un processo non necessario, inutilmente imposto sia al soggetto passivo dell’accisa sia al consumatore finale, che ben potrebbero definire bonariamente in via stragiudiziale il diritto di quest’ultimo al rimborso dell’accisa (e/o addizionale all’accisa) indebitamente pagata al fornitore, e che porta all’unico risultato pratico di spostare in avanti nel tempo il momento in cui l’Erario dovrà rimborsare l’accisa (e/o addizionale all’accisa) indebitamente incassata, sempre che i costi della procedura in rapporto all’effettivo recupero dell’accisa o addizionale non inducano il fornitore a rinunciare al diritto al rimborso vantato nei confronti dell’Erario e a definire stragiudizialmente il rapporto con il cessionario (con evidente arricchimento per l’Erario);

non può essere considerato «equo» un processo che comunque, in ragione degli oneri ad esso connessi, va a ledere l’effettività e la piena tutela del diritto al rimborso (dell’accisa e/o addizionale all’accisa indebitamente applicata) o per il fornitore di energia elettrica o per il consumatore;

non può essere considerato «equo» un processo che, stante la sua inutilità, va ingiustamente a procrastinare nel tempo il diritto al rimborso dell’indebito;

non può essere considerato «equo» un processo che, stante la sua inutilità, va ad «ingolfare» il meccanismo della giustizia civile.

Come detto, la condanna definitiva del fornitore al rimborso dell’indebita addizionale all’accisa (che non fa stato nei confronti del terzo amministrazione finanziaria) non apporta alcuna utilità in termini di tutela dell’esigenza di evitare un ingiustificato arricchimento in favore del fornitore (posto che pagamento spontaneo lo impedirebbe) né dell’esigenza di evitare comportamenti fraudolenti (dato che la sentenza definitiva di condanna del fornitore non elimina l’istruttoria da parte dell’amministrazione finanziaria sulla fondatezza della richiesta di rimborso).

Né, sotto diverso profilo, può ritenersi che sia solo la definitività della sentenza di condanna a dare certezza alla data di decorrenza del dies a quo dal quale far decorrere il termine per la richiesta all’Erario del rimborso da parte del fornitore dell’accisa e/o addizionale all’accisa indebitamente versata; il fornitore può adeguatamente documentare l’avvenuto rimborso dell’indebito al consumatore mediante operazioni bancarie tracciate, può fornire al riguardo dichiarazioni sostitutive dell’atto di notorietà e può subire il controllo di dette operazioni bancarie da parte dell’amministrazione finanziaria.

Rilevanza della questione di costituzionalità dell’art. 14, quarto comma, del decreto legislativo 14 ottobre 1995, n. 504.

Ad avviso del Collegio arbitrale, sgombrato il campo dalla questione della disapplicazione dell’addizionale provinciale alle accise sull’energia elettrica di cui al decreto-legge n. 511 del 1988, art. 6, la rilevanza ex art. 23 della legge n. 87 del 1953 della prospettata questione di costituzionalità discende da un lato dall’inesistenza di altre eccezioni preliminari o pregiudiziali sollevate dalle parti o rilevabili d’ufficio che siano preordinate sotto il profilo logico rispetto alla questione di costituzionalità e, dall’altro, dalla diretta applicabilità al caso in esame della norma la cui costituzionalità è messa in discussione.

La norma che disciplina il diritto al rimborso, e di cui il Collegio arbitrale ha il dubbio di lesione costituzionale, è contenuta all’attuale quarto comma dell’art. 14 del decreto legislativo n. 504/1995, secondo cui: «Qualora, al termine di un procedimento giurisdizionale, il soggetto obbligato al pagamento dell’accisa sia condannato alla restituzione a terzi di somme indebitamente percepite a titolo di rivalsa dell’accisa, il rimborso è richiesto dal predetto soggetto obbligato, a pena di decadenza, entro novanta giorni dal passaggio in giudicato della sentenza che impone la restituzione delle somme» (In assenza di ulteriori precisazioni, il richiamo all’art. 14 decreto legislativo n. 504/1995 contenuto nella presente ordinanza si deve intendersi riferito alla disposizione sopra richiamata).

Va rilevato al riguardo:

che la società Officine Meccaniche ANI S.p.a. espressamente dichiara che l’azionato «diritto al rimborso è disciplinato dall’art. 14 legge n. 504/1995» (pagina 6 della memoria di costituzione);

che il Consorzio Energia Assindustria Vicenza - Energindustria eccepisce che l’art. 14 del decreto legislativo n. 504/1995 deve essere disapplicato in quanto in contrasto con il diritto comunitario (articoli 16 e 52, primo comma, della Carta dei Diritti Fondamentali dell’Unione europea) ed in contrasto con gli articoli 3, 41 e 117 della Costituzione;

che l’art. 14 del decreto legislativo n. 504/1995 disciplina proprio il rapporto giuridico del rimborso di una accisa (o addizionale provinciale) indebitamente corrisposta;

che l’art. 14 del decreto legislativo n. 504/1995 impone al cliente che intende agire per il rimborso dell’accisa indebitamente versata di agire in via giurisdizionale nei confronti del proprio fornitore;

che l’art. 14 del decreto legislativo n. 504/1995 impone l’assoggettamento del venditore all’obbligo di corrispondere le somme pagate indebitamente dai clienti a titolo di addizionale all’accisa;

che l’art. 14 del decreto legislativo n. 504/1995 prevede la possibilità per il cliente di conseguire il rimborso anche in presenza di una sentenza non definitiva, ma provvisoriamente esecutiva; mentre il fornitore di energia può conseguire il rimborso dall’erario delle somme pagate al cliente solamente in presenza di una sentenza definitiva di condanna;

che l’onere imposto dall art. 14 del decreto legislativo n. 504/1995 al fornitore di energia elettrica (che voglia conservare il diritto al rimborso dell’addizionale all’accisa indebitamente versata) di subire una condanna alla restituzione dell’addizionale al cessionario si ripercuote sull’addebito al fornitore degli oneri di lite, con evidente violazione dell’effettività del suo diritto al rimborso (che verrebbe falcidiato dagli oneri stessi), violazione che si verificherebbe invece in capo al cessionario nell’ipotesi di compensazione di detti oneri.

Ad avviso del Collegio arbitrale la norma di cui all’art. 14 decreto legislativo n. 504/1995 trova necessaria appli-cazione nel giudizio in corso, ponendosi in un rapporto di rigorosa e necessaria strumentalità tra la soluzione della questione sollevata e il progredire verso la decisione della controversia, che non può essere risolta senza l’applicazione della norma, oggetto di dubbio di costituzionalità.

Il giudizio arbitrale non può quindi essere definito indipendentemente dall’applicazione della norma invocata e dalla conseguente risoluzione delle prospettate questioni di legittimità costituzionale, sì che appare evidente la sussi-stenza del requisito pregiudiziale della rilevanza.

Impossibilità di un’interpretazione costituzionalmente orientata.

Ritiene il Collegio arbitrale che vada risolta con esito negativo la verifica di praticabilità di una esegesi costituzio-nalmente orientata dalla normativa denunciata, per l’ostacolo che trova nella lettera della normativa stessa, che prevede: l’assoggettamento del fornitore di energia all’obbligo di rimborsare le somme pagate indebitamente dai clienti a titolo di addizionale all’accisa;

l’obbligo per il cliente di ripetere le somme esclusivamente nei confronti del fornitore di energia;

che per poter richiedere il rimborso all’amministrazione finanziaria, il soggetto obbligato al pagamento dell’accisa sia previamente condannato alla restituzione a terzi di somme indebitamente percepite a titolo di rivalsa dell’accisa (o addizionale provinciale).

La chiara disposizione della norma, non consente di procedere ad una interpretazione adeguatrice della disposi-zione censurata, diversa da quanto traspare dalla lettera della norma e dalla chiara interpretazione resa dalla Corte di cassazione con numerose sentenze sul punto, successive alla decisione n. 27101/2019 del 23 ottobre 2019.

Considerazioni conclusive

Ad avviso del Collegio arbitrale appaiono dunque rilevanti e non manifestamente infondate in riferimento agli articoli della Costituzione n. 3, 24, 41, 111, primo e secondo comma, e 117, primo comma, anche in via mediata per violazione degli articoli 16 e 52 della Carta Fondamentale dei Diritti dell’Unione europea, le sopra specificate questioni di legittimità costituzionale dell’art. 14 del decreto legislativo 26 ottobre 1995, n. 504 nella parte in cui prevede che: «Qualora, al termine di un procedimento giurisdizionale, il soggetto obbligato al pagamento dell’accisa sia condannato alla restituzione a terzi di somme indebitamente percepite a titolo di rivalsa dell’accisa, il rimborso è richiesto dal predetto soggetto obbligato, a pena di decadenza, entro novanta giorni dal passaggio in giudicato della sentenza che impone la restituzione delle somme».

P. Q. M.

Il Collegio arbitrale, come sopra composto, considerata la natura rituale del proprio arbitrato e la conseguente propria legittimazione a sollevare questione incidentale di legittimità costituzionale, visti gli articoli 23 della legge 11 marzo 1953, n. 87 e 819-bis, primo comma, n. 3 del codice di procedura civile, per i motivi indicati nella presente ordinanza dichiara rilevanti e non manifestamente infondate, con riferimento agli articoli della Costituzione 3, 24, 41, 111, primo e secondo comma, e 117 primo comma, anche in via mediata per violazione degli articoli 16 e 52 della Carta Fondamentale dei Diritti dell 'Unione europea, le sopra specificate questioni di legittimità costituzionale dell’art. 14 del decreto legislativo 26 ottobre 1995, n. 504 nella parte in cui prevede che «Qualora, al termine di un procedimento giurisdizionale, il soggetto obbligato al pagamento dell'accisa sia condannato alla restituzione a terzi di somme indebitamente percepite a titolo di rivalsa dell’accisa, il rimborso è richiesto dal predetto soggetto obbligato, a pena di decadenza, entro novanta giorni dal passaggio in giudicato della sentenza che impone la restituzione delle somme».

Sospende, per l’effetto, il presente giudizio arbitrale.

Dispone la notifica della presente ordinanza alle parti costituite, al Presidente del Consiglio dei Ministri, nonché la comunicazione ai Presidenti del Senato e della Camera dei Deputati.

Dispone la trasmissione della presente ordinanza e degli atti del procedimento arbitrale alla Corte costituzionale, unitamente alla prova delle notificazioni e comunicazioni prescritte.

Delega il Presidente del Collegio arbitrale agli incombenti di rito. Così deciso in Vicenza nella riunione del 26 marzo 2021.

Il Collegio arbitrale

Il Presidente: REBECCA

I componenti: ROBERTI - SOLINAS



[1] «Questa Corte ritiene che, laddove una legge sia oggetto di dubbi di illegittimità tanto in riferimento ai diritti protetti dalla Costituzione italiana, quanto in relazione a quelli garantiti dalla Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea in ambito di rilevanza comunitaria, debba essere sollevata la questione di legittimità costituzionale, fatto salvo il ricorso, al rinvio pregiudiziale per le questioni di interpretazione o di invalidità del diritto dell’Unione, ai sensi dell’art. 267 del TFUE.» (Corte Costituzionale, sentenza n. 269/2017).

[2] 3.1.- «Questa Corte ha ribadito anche di recente la propria competenza a sindacare gli eventuali profili di contrasto delle disposizioni nazionali con i principi enunciati dalla Carta (ordinanza n. 117 del 2019, punto 2. del Considerato in diritto). Quando è lo stesso giudice rimettente a sollevare una questione di legittimità costituzionale che investe anche le norme della Carta, questa Corte non può esimersi dal valutare se la disposizione censurata infranga, in pari tempo, i principi costituzionali e le garanzie sancite dalla Carta (sentenza n. 63 del 2019, punto 4.3. del Considerato in diritto). L’integrarsi delle garanzie della Costituzione con quelle sancite dalla Carta determina, infatti, “un concorso di rimedi giu-risdizionali, arricchisce gli strumenti di tutela dei diritti fondamentali e, per definizione, esclude ogni preclusione” (sentenza n. 20 del 2019, punto 2.3. del Considerato in diritto)» (Corte Costituzionale, sentenza n. 182 del 30 luglio 2020)

[3] «Non è configurabile una lesione della libertà d’iniziativa economica allorché l’apposizione di limiti di ordine generale al suo esercizio corrisponda all’utilità sociale, come sancito dall’art. 41, secondo comma, Cost., purché, per un verso, l’individuazione di quest’ultima non appaia arbitraria e, per altro verso, gli interventi del legislatore non la perseguano mediante misure palesemente incongrue (ex plurimis, sentenze n. 56 del 2015, n. 247 e n. 152 del 2010 e n. 167 del 2009)» (ex plurimis, sentenza n. 203 del 2016). (Corte Costituzionale 7 maggio 2020 n. 85, e sentenze richiamate).

[4] Vi è lesione del principio costituzionale di libertà della iniziativa economica allorquando il limite apposto sia «atto a condizionare le scelte imprenditoriali in grado così elevato da indurre la funzionalizzazione dell’attività economica, sacrificandone le opzioni di fondo, restringendone in rigidi confini lo spazio e l’oggetto delle stesse scelte organizzative» (Corte Costituzionale sentenza n. 47/2018; n. 56/2015; n. 388/1992; n. 548/ 1990).

[5] Sentenza del 16 luglio 2020, C-686/18, Adusbef e altri, punto 82; Sentenza del 12 luglio 2018, C-540/16, Spika e altri, punto 34; Sentenza del 21 dicembre 2016, AGET Iralklis, C-201/15, punto 67; Sentenza del 17 ottobre 2013, C-101/12, Schaible, punto 25; Sentenza del 22 gennaio 2013, C-283/11 Sky Osterreich, punto 42.

[6] Sentenza del 30 giugno 2016, C-134/15, Lidl GmbH & Co. KG, punto 27; Sentenza del 27 marzo 2014, C-314/12, UPC Telekabel Wien, punto 49.

[7] Sentenza del 24 settembre 2020, C-223/19, Ys, punto 88; Sentenza del 16 luglio 2020, C-686/18, Adusbef e altri, punto 86; Sentenza 26 ottobre 2017, C-534/16, BB construct s. r. o., punto 36; Sentenza del 30 giugno 2016, C-134/15, Lidl GmbH & Co. KG, punto 30; Sentenza del 4 maggio 2016, C-477/14, Pillbox 38, punti da 157 a 160, Sentenza del 17 ottobre 2013 C-101/12, Schaible, punto 28; Sentenza del 22 gennaio 2013, C-283/11, Sky Osterreich, punti 45 e 46.

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