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Divisione ereditaria, imposta di registro

di Giuseppe Rebecca
commercialistatelematico.com - 17 febbraio 2022

Ritorniamo su un tema che ci ha occupato anche lo scorso anno, in ciò suggeriti da una recente sentenza di Cassazione (sentenza n. 2378 del 27 gennaio 2022) che invero non pare del tutto esaustiva, sul punto.

La questione è la seguente: come tassare i conguagli in caso di divisione successoria qualora ai comunisti venga assegnata esattamente la quota loro pertoccante. E questo anche allorché le risorse fossero di provenienza esterna alla comunione stessa.

Nell’articolo del 19 novembre 2021 “Divisione con conguagli che non sono conguagli” , si era analizzato un semplice caso, che qui riportiamo ancora una volta, risultando l’esempio molto più chiaro di molte parole: “eredità composta da due beni, uno che vale 30 e uno che vale 70, per un totale quindi di 100. Gli eredi sono due, in parti uguali, e pertanto a ciascuno spetta una quota di 50. Posto che i beni non possono facilmente essere divisi, cosa accadrà se in sede divisionale gli eredi si dovessero concordare per assegnare ad uno il bene di 70, con obbligo di corrispondere al coerede una somma di 20, così da portare le due quote ad uno stesso valore, appunto di 50? In definitiva, la ricchezza dei due eredi varia appunto di 50 per ciascuno, solo che un erede riduce le sue disponibilità finanziarie dell’importo corrispondente al calcolato conguaglio. Si dovrà tassare ex art. 34 TUS questo conguaglio di 20, che tra l’altro supererebbe la quota di esenzione del 5%, oppure si tratterebbe di un conguaglio non conguaglio?”

La questione è esattamente questa.

La Cassazione

Si era concluso tale analisi precisando che, secondo l’orientamento oramai consolidato della Cassazione, non si era in presenza di alcun conguaglio, e questo anche nel caso in cui le risorse per pareggiare le quote fossero di provenienza esterna alla comunione stessa.

Elenchiamo le sentenze della Cassazione che hanno preceduto la sentenza n. 2378/22, che sarà commentata in seguito. Si tratta delle sentenze n.32613 del 9 novembre 2021, n.30956 del 29 ottobre 2021, n. 3988/2021, n.20736/2019, n. 13637/2018, n.7606/2018, n. 17512/2017, n.20119/2012 e 17866/2010, tutte che si sono pronunciate univocamente, sul punto in questione.

Gli interpelli

L’Amministrazione finanziaria è recentemente intervenuta per ben tre volte, su questo tema, con risposte ad interpelli, n. 30 del 6 febbraio 2020, n. 452 dell’1 luglio 2021 e, in modo indiretto, n. 634 il 6 novembre 2020.Nelle due prime risposte sono state richiamate parte delle sentenze della Cassazione sopra riportate, evidentemente in quanto condivise. Anche se le fattispecie sottoposte all’esame della Agenzia delle Entrate non erano proprio del tutto coerenti (nei casi sottoposti mancava il conguaglio), è stata comunque avvertita la esigenza di richiamare qualche sentenza di Cassazione sul tema del conguaglio, tra quelle sopra indicate. Avendolo fatto senza un motivo immediato, diretto, e senza alcun distinguo, ne deriva che il richiamo ha valenza di condivisione.

La risposta ad interpello n. 534/2020 del 6 novembre 2020 in realtà non trattava dei conguagli direttamente, ma in modo indiretto. La fattispecie si riferiva ad una divisione di beni diversi tra una madre e due figli, tramutando quote di diritto di proprietà della madre in usufrutto su quote maggiori, anche su altri beni sempre della dividenda comunione ereditaria. L’aspetto ritenuto importante è che non ci fossero dei conguagli specifici.

Quindi, qualora non ci sia uno specifico dichiarato conguaglio, e le quote di diritto siano superiori a quelle di fatto, si applicherà sempre l’aliquota della divisione, l’1%. Ci resta comunque una curiosità: come possa esistere una divisione in cui tutte le quote di diritto siano superiori a quelle di fatto. A noi parrebbe cosa impossibile, non potendo effettuare le valutazioni in base a criteri automatici. Solo applicando questi ultimi potrebbe accadere, ma la risposta dell’Agenzia li esclude.

Per un commento più dettagliato alle tre risposte rimandiamo al nostro precedente articolo del 19 novembre 2021.

La Cassazione n. 2378/2022

Esaminiamo ora la sentenza della Cassazione n. 2378 del 27 gennaio 2022, rel. Giuseppe Lo Sardo, sempre sul tema dei conguagli.

La fattispecie si riferiva ad una divisione giudiziaria di una successione di un immobile, edificio industriale, non comodamente divisibile. Gli eredi erano 6, con quote diseguali, si deve supporre. La divisione era consistita nella assegnazione a quattro eredi dell’immobile, che quindi restavano in comunione, ancorché ristretta, e alla liquidazione di un importo di provenienza esterna agli altri due. Nessun conguaglio, ma solo liquidazione degli importi pertoccanti.

I contribuenti sostenevano che, trattandosi a loro avviso di stralcio divisionale, si doveva applicare l’imposta di registro solo sulla parte stralciata, e non su tutta la massa da dividere. Del resto, assai simile era il caso di cui alla risposta ad interpello n. 452/2021 sopra indicata.

Secondo la Cassazione (conformi le sentenze n. 18909/2020 e n.15182/2019) non si era realizzato uno stralcio divisionale, bensì lo scioglimento della comunione, con il contemporaneo sorgere di altra nuova comunione. Nello stesso identico senso si erano precedentemente pronunciate la Commissione tributaria Provinciale di Catania (n. 612/03/2010 del 13 settembre 2010 e Commissione Tributaria Regionale di Palermo n.1917/17/2015 dell’8 maggio 2015). Così ha ora precisato la Cassazione:

“Come è noto, tanto in sede contrattuale, quanto in sede giudiziale, si ha divisione soggettivamente parziale (o stralcio di quota divisionale) quando uno o più comproprietari vengono estromessi dalla comunione in quanto tacitati con taluni beni ricompresi nella comunione (ma anche con conguaglio), mentre lo stato di comunione per quote corrispondentemente ridotte (per numero) e proporzionalmente accresciute (per valore) permane tra gli altri comproprietari sui beni residui. In pratica, l'effetto dello scioglimento della comunione è limitato a taluni condividenti, ai quali sono assegnati solo alcuni beni della massa comune, in modo da restringere la comunione tra gli altri comunisti sui restanti beni.”

Pertanto, tale forma di divisione presuppone l'attribuzione di beni in natura (con l'eventuale integrazione di un conguaglio in danaro, per compensare la minusvalenza rispetto alla quota) a favore di uno o più comproprietari, che sono estromessi dalla comunione. L'espansione delle quote dei comunisti che restano in comunione è un effetto indiretto dello stralcio divisionale, la cui essenza resta la sottrazione di quanto stralciato alla massa comune.

Tale fattispecie è gravata dall'imposta di registro nella misura proporzionale dell'1%, ai sensi del D.P.R. n. 26 aprile 1986 n. 131, della tariffa allegata - parte prima, art. 3, ma la base imponibile è costituita dal valore della quota stralciata e non dal valore dalla massa comune (in termini: Cass., Sez. 1, 17 dicembre 1994, n. 10857). In tal senso, anche la risposta ad interpello dell'Agenzia delle Entrate n. 452/2021 dell'1 luglio 2021 ha confermato che lo stralcio di quota divisionale "(...) produce gli effetti di una divisione parziale in quanto alla sola "comunista stralciata" viene assegnata una quota corrispondente ai suoi diritti sulla comunione ereditaria" e che, "per quanto riguarda la determinazione della base imponibile su cui applicare l'aliquota dell'1 per cento prevista dal predetto art. 3 occorre aver riguardo al valore della "quota di diritto" spettante "alla comunista stralciata" (...)".

Viceversa, non si può avere stralcio di quota divisionale allorquando uno o più comproprietari vengono esclusi dalla comunione mediante il versamento del valore in danaro delle rispettive quote, senza alcuna attribuzione in natura, mentre lo stato di indivisione permane tra gli altri comproprietari sui beni comuni.”

Fino a qui la Cassazione, nella richiamata sentenza. Lo discrimine tra stralcio divisionale e divisione è rappresentato dalla attribuzione, almeno parziale, di qualche bene della stessa comunione a tutti; in assenza, si ha solo divisione.

La Cassazione così prosegue (ne riportiamo un ampio stralcio in quanto ci pare molto esaustivo, sul punto ):

“Nè si può sostenere che la permanenza della comunione tra alcuni dei condividenti impedisca di dar vita ad una vera e propria divisione, avendo già in passato questa Corte chiarito (Cass., Sez. 2, 10 febbraio 1962, n. 287; Cass., Sez. 2, 12 febbraio 2021, n. 3694) che, affinché si abbia negozio divisorio, non è necessario che si verifichi lo scioglimento della comunione nei confronti di tutti i coeredi, ma basta che ciò avvenga nei confronti dei coeredi partecipanti all'atto; in tal caso, infatti, lo scioglimento della comunione opera egualmente pur se limitato ai soli partecipanti all'atto ed ancorché i coeredi che rimangono in comunione dovranno poi mettere in essere un altro (od altri) negozi per pervenire allo scioglimento definitivo e totale della comunione stessa. Ma, ferma restando la necessità che l'attribuzione congiunta di una quota, in luogo di quelle spettanti individualmente ai condividenti, sia conseguenza di una richiesta delle parti stesse (Cass., Sez. 2, 16 febbraio 1966, n. 489; Cass., Sez. 2, 3 novembre 1978, n. 4984 - vedasi anche: Cass., Sez. 2, 28 giugno 1976, n. 2450, che ribadisce come tale modalità di scioglimento della comunione non contrasti con principi assoluti ed inderogabili, essendo rimesso all'accordo ed alla volontà delle parti), va richiamato il principio secondo cui (Cass., Sez. 2, 29 luglio 1966, n. 2117), ai fini della comoda divisibilità, non ci si può basare esclusivamente sulla natura e sulla destinazione degli immobili, ma - e soprattutto - bisogna tener conto dell'intera massa dei beni da dividere, in rapporto al numero delle quote e dei condividenti. In particolare, quando l'asse ereditario comprende un solo immobile, questo sarà comodamente divisibile se ciascuno dei coeredi potrà averne una parte, anche se di valore inferiore alla quota di sua spettanza salvo, in questa ipotesi, ad attuare il pareggio con l'operazione di conguaglio, ovvero, se, pur non essendo possibile frazionare comodamente l'immobile in tante parti corrispondenti al numero e alle quote dei condividenti, alcuni di questi richiedano congiuntamente la formazione di una porzione unica, corrispondente all'ammontare complessivo delle loro quote, giacché, in questo caso, la divisione è resa possibile dal minore frazionamento dell'immobile. Va pertanto ribadito il principio secondo cui (Cass., Sez. 2, 9 maggio 1967, n. 926) si ravvisa la comoda divisibilità della massa non solo quando sia possibile una ripartizione dell'immobile comune (o dei beni comuni) in tante parti (o in tanti lotti comprendenti singoli immobili) corrispondenti al numero ed alle quote dei condividenti, ma anche ove il frazionamento minore venga attuato, in corrispondenza ai diritti dei condividenti, formandosi, per quelli fra essi che ne facciano richiesta, un'unica porzione, che non muti fisionomia sul piano funzionale ed economico e che consenta la sua propria e normale utilizzazione senza spese rilevanti ed imposizione di vincoli a carico di altra porzione. Né è di ostacolo a tale soluzione, che preveda l'attribuzione di una quota al gruppo di condividenti, che ne abbia fatto richiesta, la circostanza che la detta quota non sia, a sua volta, comodamente divisibile fra i condividenti, ai quali sia congiuntamente attribuita. La possibilità che la divisione possa essere realizzata anche con la formazione di una o più quote destinate a rimanere in comunione tra alcuni degli originari condividenti che ne abbiano fatto richiesta, trova poi conferma in altri precedenti, i quali hanno ritenuto che l'attribuzione congiuntiva di beni ereditari non dà luogo al cosiddetto stralcio di quota o ad una divisione parziale, ma produce lo scioglimento della comunione ereditaria (Cass., Sez. 2, 6 maggio 2004, n. 8599; Cass., Sez. 2, 16 dicembre 2021, n. 40426) 1.6 Si ha divisione con conguaglio quando ad un condividente vengono assegnati beni per un valore complessivo superiore a quello a lui spettante sulla massa comune. In questo caso il condividente è tenuto a versare agli altri condividenti, che hanno subito una diminuzione rispetto alla propria quota di diritto, un conguaglio che è assoggettato all'imposta proporzionale prevista per i trasferimenti (vedasi la circolare emanata dall'Agenzia delle Entrate il 29 maggio 2013, n. 18/E). Tale nozione si attaglia anche alla fattispecie dell'art. 720 c.c. , nella quale occorre precisare che il conguaglio in danaro non ha funzione "compensativa", ma ha funzione "attributiva" o "satisfattiva", nel senso che il credito pecuniario non serve a colmare l'ineguaglianza di valore tra quota di diritto e porzione di fatto, a fronte dell'assegnazione di beni in natura di valore inferiore rispetto alla quota ereditaria, ma assurge a porzione di fatto per tacitare il valore della quota di diritto, a fronte della estromissione dall'assegnazione di beni in natura.”

 

Quali aliquote applicare?

“Per costante orientamento della giurisprudenza di legittimità, in tema di imposta di registro, in caso di scioglimento della comunione mediante assegnazione del bene in natura a un condividente e versamento agli altri di somme pari al valore delle quote, si applica l'aliquota di divisione e non quella di vendita, giacché quest'ultima, a norma del D.P.R. 26 aprile 1986, n. 131, art. 34 , si applica soltanto nel caso in cui a un condividente siano stati attribuiti beni per un valore eccedente quello spettante e limitatamente alla parte in eccedenza (Cass., Sez. 1, 12 novembre 1974, n. 3568; Cass., Sez. 5, 30 luglio 2010, n. 17866; Cass., Sez. 5, 16 novembre 2012, n. 20119; Cass., Sez. 5, 14 luglio 2017, n. 17512).

Ad ogni buon conto, nel caso in disanima, la base imponibile viene ad essere costituita dal (maggior) valore dell'immobile ereditario, in conformità al D.P.R. 26 aprile 1986, n. 131, art. 34, comma 1 , non rilevando a tal fine il (minor) valore dei conguagli, dal momento che lo scioglimento della comunione ereditaria consegue all'attribuzione congiunta ex art. 720 c.c. , (con l'estromissione dei coeredi non assegnatari), nonostante la successiva permanenza della comunione ordinaria tra i soli coeredi assegnatari.”

Qualcosa però non torna circa le aliquote da applicare alla fattispecie.

L’Agenzia delle Entrate aveva applicato l’aliquota del 7 % (allora applicabile agli immobili) sulla parte liquidata agli eredi, e l’1% sul restante totale.

La Cassazione non si pronuncia specificatamente su questa opzione, ma in definitiva la conferma. Nel testo così motiva, sul punto, con un ragionamento che ci pare contorto, e che anche pare contraddirsi:

A nostro personale avviso l’unica aliquota applicabile era quella dell’1%, sul valore totale. Nessuna aliquota “immobiliare”, non essendoci stati conguagli eccedenti il valore delle quote pertoccanti.

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