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Il canone di locazione a scaletta: aspetti fiscali

di Giuseppe Rebecca
commercialistatelematico.com - 5 settembre 2022

“Nell'ambito delle locazioni commerciali è sovente il ricorso ai c.d. «canoni a scaletta o scalettati», ossia a canoni di locazione di importo variabile in aumento o in diminuzione in base a elementi predeterminati dalle parti interessate, quali il fatturato oppure l'esecuzione da parte del conduttore dei lavori necessari a rendere l'immobile idoneo all'attività commerciale che verrà ivi svolta. In quest'ultimo caso, il canone di locazione stabilito annualmente in un certo ammontare, subisce delle variazioni in diminuzione durante l'esecuzione del contratto e nella pratica è utilizzato per consentire al conduttore di «rientrare», totalmente o parzialmente, delle spese dallo stesso sostenute per la preliminare ristrutturazione dell'immobile, il cui esborso si aggiunge a quello della locazione. Ciò ovviamente nel presupposto, più o meno esplicitato nel relativo contratto, che le opere di ristrutturazione eseguite sull'immobile da parte del conduttore ne accrescano il valore, a beneficio ovviamente del proprietario dello stesso.”

Così viene bene descritta, nella risposta ad interpello n. 424/2022 del 12 agosto 2022 dell’Agenzia delle Entrate, la fattispecie dei canoni a scaletta.

Da un punto di vista pratico possono risultare crescenti oppure anche decrescenti, nel senso che ad esempio il canone di locazione potrebbe essere concordemente determinato in euro 1.000, ma per i primi x anni essere ridotto, per agevolare il conduttore nell’avvio della sua attività, ad esempio ad euro 500 il primo anno, e così via. La sostanza è esattamente la stessa di una previsione a crescere.

Le problematiche fiscali che ne possono derivare sono due, e riguardano l’IVA e le imposte dirette; e questo soprattutto in presenza di lavori sostenuti da parte del conduttore.

L’IVA

Secondo l’Agenzia delle Entrate, come specificato nella risposta ad interpello n. 424/2022, nella fattispecie si ravvisano gli estremi della permuta.

A sostegno sono portate più sentenze.

La prima è la sentenza della Corte di Giustizia UE del 23 settembre 2013 ( causa C-283/12 ) che, ancorchè relativa ad una abitazione locata da persona fisica ad una società, ha delineato i principi generali della questione; alla fine della locazione i lavori effettuati dal conduttore andranno necessariamente a beneficio del proprietario.

La conclusione sulla natura corrispettiva di questa fattispecie è basata sulla considerazione che «38. (...), il corrispettivo di una cessione di beni può consistere in una prestazione di servizi e costituirne la base imponibile ai sensi dell'articolo 73 della direttiva IVA, a condizione tuttavia che esista un nesso diretto tra la cessione di beni e la prestazione di servizi, e che il valore di quest'ultimo possa essere espresso in denaro... Lo stesso vale quando una prestazione di servizi è scambiata con un'altra prestazione di servizi, purché tali medesime condizioni siano soddisfatte. 39. (...), i contratti di permuta, nei quali il corrispettivo è per definizione in natura, e le operazioni per le quali il corrispettivo è in denaro sono, dal punto di vista economico e commerciale, due situazioni identiche”.

Stesso identico concetto di permuta è stato sviluppato dalla Corte di Cassazione ( ordinanza n. 28725/2017 ).

Queste pronunce hanno per oggetto accertamenti in cui viene contestata la mancata fatturazione del canone “lordo”, in luogo del canone “netto”. “ Tra tutte, è dirimente la sentenza 12 luglio 2006, n. 15808 (in seguito più volte richiamata dalla stessa Corte, da ultimo nelle ordinanze 18 ottobre 2021, n. 28743, e 14 aprile 2022, n. 12254), nella quale si afferma l'obbligo di fatturazione da parte del proprietario del canone lordo, confermando così implicitamente la natura permutativa dell'operazione qui in discussione. Per la Cassazione, infatti, è... «pacifico che i lavori di ristrutturazione posti in essere in un edificio si risolvono in un vantaggio per il proprietario dell'edificio (cfr. la sentenza di questa Corte n. 2939 del 10 febbraio 2006) e quindi nel caso di specie in una forma diversa di corresponsione del canone. Dunque la proprietà non poteva “abbattere” i canoni percepiti sol perché una parte di essi venivano trattenuti dal conduttore a titolo di pagamento dei lavori eseguiti nell'interesse del proprietario ed a beneficio dello stesso».

Secondo il contribuente che ha dato origine, con la sua richiesta, alla risposta di interpello n. 424/2022, l'operazione non è però permutativa. I lavori eseguiti dall’affittuario, “tra l'altro di importo superiore all'importo della riduzione dei canoni concordata, rispondono a proprie esigenze personali”.

In senso conforme Sentenza della Commissione Tributaria Regionale della Lombardia numero 2134/13 del 1° ottobre 2020, che a sua volta richiama la sentenza della Cassazione n. 15808 del 12 luglio 2006. In tale sentenza della CTR “viene precisato che è necessario distinguere se le opere eseguite sull'immobile assolvono agli interessi del conduttore, nel qual caso nulla quaestio, oppure se le stesse costituiscano comunque un vantaggio differito alla riconsegna in favore del locatore, solo in questo ultimo caso, infatti, il canone intero va dichiarato dal locatore.” E nella fattispecie esaminata non si rientrava in questa situazione.Nello stesso senso, precedentemente, CTR Milano n. 3999 del 15 ottobre 2019 .

La concessa riduzione dei canoni per i primi 8 anni di locazione, di un contratto che durava 15 anni, “è stata un incentivo che il locatore ha concesso per favorire la sottoscrizione del contratto, posto che l'immobile non aveva tutte le caratteristiche necessarie specifiche per lo svolgimento della sua attività del conduttore, nonostante avesse comunque le caratteristiche per il suo utilizzo generico (a comprova di ciò evidenzia che è stato locato sino al 31 gennaio 2020 ad altro soggetto esercente attività similare a quella dell'attuale conduttore).”

Conseguentemente, ritiene la proprietà, che “la conduttrice non dovrà emettere fattura di rivalsa per le spese dei lavori sostenuti pari alla riduzione complessiva ottenuta, atteso che la stessa, oltre ad avere espressamente rinunciato in sede contrattuale alla rivalsa, le ha eseguite per una sua specifica necessità personale e non su richiesta del locatore avendo concesso in locazione un immobile già utilizzabile genericamente prima di questi lavori.”

Le imposte dirette

Nel caso trattato dalla risposta ad interpello n. 424/2022 il locatore, una società micro, aveva specificato nel contratto che erano “a carico della parte locataria le spese di ristrutturazione necessarie per adeguare l'immobile alle proprie necessità e che le opere eseguite dal conduttore, senza alcuna eccezione, saranno acquisite dal locatore di cui rimarranno di proprietà, senza diritto del conduttore ad alcuna indennità né a rimuovere quanto eseguito se non espressamente richiesto dal locatore.”

«In definitiva la riduzione dei primi 96 canoni è stato un incentivo che il locatore ha concesso per incentivare la sottoscrizione del contratto, visto che l'immobile non aveva tutte le caratteristiche necessarie specifiche per l'attività del conduttore, anche se aveva comunque le caratteristiche per il suo utilizzo generico».

Secondo l’Agenzia delle Entrate “la riduzione dei canoni concessa dalla parte locatrice rientra, quindi, in un accordo tra le parti che non incide sulla quota dei canoni di locazione che devono essere iscritti in bilancio in base alla loro maturazione, ma che rappresenta l'imputazione in capo al proprietario degli immobili di una parte dei costi sostenuti dal conduttore per le migliorie apportate ai beni. Per quanto concerne, il trattamento dei canoni di affitti (in relazione al loro ammontare al lordo del presunto sconto), trova applicazione quanto disposto per i contratti derivanti da prestazioni di servizi, ai sensi del comma 2, lettera b) dell'articolo 109 del TUIR per cui «i corrispettivi delle prestazioni di servizi si considerano conseguiti, e le spese di acquisizione dei servizi si considerano sostenute, alla data in cui le prestazioni sono ultimate, ovvero, per quelle dipendenti da contratti di locazione, mutuo, assicurazione e altri contratti da cui derivano corrispettivi periodici, alla data di maturazione dei corrispettivi».

In senso conforme, Cass. n. 2939 del 10 febbraio 2006.

In senso opposto CTR Roma n. 5921/7/17 del 12 ottobre 2017; lo “sconto” sul canone, ancorché legato in modo generico a spese e adempimenti diversi i in capo al conduttore, non è stato ritenuto legato all’effettuazione di lavori di ristrutturazione incrementali del valore dell’immobile.

Successivamente, sempre CTR Lazio (sentenza n. 3284/7/2019 ), ha fatto una distinzione di base; lo “sconto” sul canone legato alla effettuazione di lavori edilizi che comportino un vantaggio per la proprietà è inefficace ai fini fiscali, per cui sarà tassato l’intero ammontare del canone “lordo”. Invece, ove tale “sconto” sia motivato dall’intento di agevolare il conduttore nell’avvio della propria attività, in assenza quindi di alcuna correlazione con lavori di ristrutturazione, lo sconto non potrà essere disconosciuto dall’ufficio, trattandosi di una lecita pattuizione intercorsa tra le parti, e conseguentemente efficace anche ai fini fiscali.

Altro aspetto, la ricerca della neutralizzazione della svalutazione monetaria

Altro aspetto legato alla caratteristica dei contratto di locazione con canone a scaletta riguarda la questione del tentativo di neutralizzare la svalutazione monetaria.

Nei contratti è possibile inserire l’aggiornamento dei canoni in base alla svalutazione monetaria calcolata dall’Istat, ma con dei limiti ben precisi ( normalmente, per contratti di durata standard, al massimo il 75% della svalutazione dell’indice del costo della vita).

Per le locazioni commerciali, è in ogni caso legittima la clausola con cui viene concordata l’iniziale predeterminazione del canone in misura differenziata e crescente negli anni. Ma tutto ciò salvo che le parti non abbiano invece, con tale accordo, cercato di neutralizzare gli effetti della svalutazione monetaria, e in particolare i limiti dettati dall’ art. 32 della L. 392/78.
In questo senso, Corte di Cassazione, sentenza n. 10834 del 17 maggio 2011, n. 22908 del 10 novembre 2016 e più recentemente n.23986 del 26 settembre 2019.

Nella fattispecie il conduttore sosteneva la nullità del patto di determinazione del canone a scaletta, riconosciuto invece valido dalla Cassazione. Nello specifico non si parlava in ogni caso di lavori. Più in generale, per la negazione della ammissibilità di aumenti al di fuori dell’Istata, Cass. n. 8669 del 4 aprile 2017.

Si segnala come ci sia anche un orientamento opposto, sempre della Cassazione (Cass. n. 19475/2005 ), “in relazione al principio della libera determinazione convenzionale del canone locativo in materia di locazione di immobili destinati ad uso non abitativo, la clausola convenzionale, che prevede future maggiorazioni del canone diverse dall’aggiornamento (art. 32 della L. 392/78), per qualificarsi legittima, deve chiaramente riferirsi ad elementi predeterminati, desumibili dal contratto e tali da essere idonei ad influire sull’equilibrio economico del rapporto, in modo autonomo dalle variazioni annue del potere di acquisto della moneta”. In assenza di tali elementi, la clausola contrattuale deve intendersi nulla. Nello stesso senso anche Cassazione n. 6474/2017
Secondo risalente giurisprudenza, la predeterminazione del canone a scaletta è invece sempre ammessa, in quanto espressione del principio della libera determinazione convenzionale del canone locativo, per gli immobili commerciali, salvo che non sia accertata la funzione elusiva del limite posto dall’art. 32 della L. 392/78 (Cass. n. 8883/1991 ). Nello stesso senso, successivamente, Cass. n. 13887 del 23 giugno 2011, n. 5849 del 24 marzo 2015, n. 6474 del 14 marzo 2017, n.15348 del 21 giugno 2017 e n. 33884 del 12 novembre 2021. Si segnala anche Corte di Appello di Venezia dell’8 luglio 2020.

In definitiva,, la predeterminazione dei canoni in misura crescente, quindi a scaletta, è ammessa, eccetto qualora si possa dimostrare che in realtà le parti non abbiano voluto eludere i precisi limiti quantitativi posti dall’art. 32 della L. 392/78.

E questo si può raggiungere prevedendo :
- il pagamento di canoni quantitativamente differenziati;
- oppure il frazionamento dell’intera durata del contratto in periodi temporali più brevi, attribuendo a ciascuno di essi un canone diverso;
- oppure correlando la determinazione del canone a determinati precisi fatti o elementi. ( ovviamente in questo caso diversi dalla svalutazione monetaria)

Eventualmente dovrà essere il conduttore a cercare di dimostrare che il vero motivo della determinazione del canone a scaletta sia stato la ricerca di elusione del divieto di cui all’art. 32 della L. 392/78. E in questo caso si incorrerebbe nella sanzione di nullità di cui all’art. 79 comma 1 della stessa legge. In caso contrario il patto si deve comunque considerare valido.

Conclusione

Un contratto di locazione di immobile commerciale che preveda un canone a scaletta, sostanzialmente in aumento negli anni, è perfettamente legittimo sia sotto l’aspetto tributario che sotto l’aspetto giurisprudenziale. L’importante è che non vengano violati due aspetti. Il primo è che gli eventuali lavori edilizi effettuati dall’affittuario, e previsti nel contratto, non siano un accrescimento del valore del bene, per un utilizzo generalista, ma rappresentino invece una necessità specifica per l’attività svolta dal conduttore.

Il secondo aspetto da tenere presente è che non si violi la previsione degli aumenti determinati dall’Istat, che non sia un metodo surrettizio di aumento dei canoni.

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