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Migliorie su beni di terzi e imposte

di Giuseppe Rebecca
commercialistatelematico.com - 7 marzo 2023

Torniamo su un tema che in parte abbiamo già trattato (“Migliorie su beni condotti in locazione: aspetti fiscali”, ne Commercialista Telematico del 18 gennaio 2021), per un aggiornamento e un più organico inquadramento. In parte è ripreso quanto riportato in tale articolo.

Si ricorda che, da un punto di vista civilistico, i costi sostenuti per migliorie e spese incrementative su beni di terzi sono capitalizzabili ed iscrivibili nella voce “Altre immobilizzazioni immateriali” dello Stato Patrimoniale, qualora le migliorie e le spese incrementative stesse non siano separabili dai beni stessi.

Il principio contabile 24 così precisa, al n. 76:

“L’ammortamento dei costi per migliorie dei beni di terzi si effettua nel periodo minore tra quello di utilità futura delle spese sostenute e quello residuo della locazione, tenuto conto dell’eventuale periodo di rinnovo, se dipendente dal conduttore.”

Per quanto concerne gli IAS, il n. 38 sostanzialmente afferma lo stesso principio degli OIC.

I criteri civilistici sono validi anche dal punto di vista fiscale ai fini dell’imputazione a conto economico dei relativi costi deducibili. Pertanto, i costi di cui trattasi non possono essere considerati deducibili integralmente nell’esercizio in cui sono stati sostenuti, ma rilevano quali costi ad utilizzazione pluriennale, ai sensi del terzo comma dell’art. 108 del Tuir nel limite della quota imputabile a ciascun esercizio.

Il trattamento fiscale delle spese per migliorie, come pure quelle di manutenzione straordinaria, sostenute su beni di terzi detenuti in locazione, od anche in comodato, non sempre è definito in modo univoco.

In particolare, le imposte che possono avere un legame con la questione sono l’IVA, le imposte dirette e l’imposta di registro.

 

L’IVA

Per quanto concerne l’IVA, con sentenza a Sezioni Unite n. 11533 dell’ll maggio 2018 (in senso conforme anche in pari data n. 11534, ed inoltre n. 6288 en. 16223 del 2018, risolvendo così precedenti contrasti della giurisprudenza di legittimità), la Cassazione ha stabilito che va riconosciuto il diritto alla detrazione dell’IVA per lavori di ristrutturazione o manutenzione anche in ipotesi di immobile di proprietà di terzi, condotto in locazione, purché sia presente un nesso di strumentalità con l’attività d’impresa o professionale.

Recentemente, nello stesso senso, Cassazione n. 1629 del 19 gennaio 2023. E questo indipendentemente dalla classificazione catastale dell’immobile; specificatamente abitazione utilizzata come ufficio.

In questo senso anche la giurisprudenza della Corte Europea di giustizia (sentenze C-672/16 del 2018, C-132/16 del 2017, C-124/12 del 2013 e C-29/08 del 2009) che, in base al principio di neutralità dell’imposta, ha riconosciuto il diritto alla detrazione dell’Iva ...”purché sia presente un nesso di strumentalità con l’attività d’impresa o professionale”

Il diritto alla detrazione è stato riconosciuto anche per l’IVA sulle spese per lavori realizzati su beni di proprietà di terzi non utilizzati dal committente nell’esercizio della propria attività caratteristica e sui quali lo stesso non vantava alcun titolo di detenzione/possesso (risposta a interpello 219/E/2021).

La Cassazione si è anche pronunciata per quanto concerne il diritto di rimborso dell’IVA correttamente detratta; con sentenza n. 10110 del 28 maggio 2020 è stato negato il diritto al rimborso, in quanto le opere di miglioramento eseguite su beni immobili di terzi sono state considerate fuori dall’ambito di applicazione dell’art. 30 comma 2 lett. c) del DPR 633/72.

Non sono infatti state ritenute riconducibili all’acquisto di beni ammortizzabili. In tale sentenza è stato anche specificato come il diritto alla detrazione dell’IVA non comporti automaticamente il riconoscimento del diritto al rimborso della imposta.

Nello stesso senso Cassazione n. 24518 del 4 novembre 2020. n. 23667 del 28 ottobre 2020 e n. 24779 del 4 dicembre 2015.

In senso contrario, e quindi per il riconoscimento del diritto al rimborso, orientamento che riterremmo maggioritario, si hanno Cassazione n. 27813 del 22 settembre 2022. n. 35553 del 19 novembre 2021. n. 24518 del 4 novembre 2020. n. 22708 del 20 ottobre 2020. n. 10110 del 28 maggio 202Q.n. 6200 del 27 marzo 2015, n. 9327 del 28 aprile 2014 e n. 8389 del 5 aprile 2013.

Specificatamente per i professionisti si ha la sentenza di Cassazione n. 14583 dell’ll maggio 2022 che ha negato la detraibilità dell’IVA per un professionista, nel caso di ristrutturazione integrale di un immobile; nel caso specifico non si trattava di un semplice adattamento dello stesso alla attività, nel qual caso invece l’IVA sarebbe stata detraibile.

 

Le imposte dirette

Analizziamo ora la questione della deducibilità per il conduttore degli stessi costi per opere di miglioria ai fini delle imposte sui redditi.

La Cassazione (n. 13327/2013) aveva già affermato che le spese di ristrutturazione dell’immobile in cui si esercita l’attività d’impresa sono deducibili dal soggetto che le ha effettivamente sostenute, anche se si tratta del conduttore e non del proprietario.

Questo approccio “sostanzialistico” della Cassazione supera (sotto l’aspetto tributario) quanto previsto dalla disciplina civilistica, per giungere a un concetto di inerenza che valorizza il legame esistente tra soggetto che si è fatto carico della spesa e impresa che, grazie anche ad essa, produrrà proventi imponibili.

I giudici sembrano voler evitare che si giunga al paradosso che chi ha effettivamente sostenuto i costi non li possa dedurre, così come non può fare chi ne sarebbe astrattamente legittimato ma non è il soggetto che ha di fatto realizzato l’investimento”. (Giorgio Gavelli, Il Sole 24 Ore, 2011)

Nello stesso senso anche Cassazione n. 24277 del 27 novembre 2015; i costi di manutenzione straordinaria sostenuti su un immobile di terzi sono deducibili se sostenuti per assicurare lo sfruttamento nel tempo degli immobili e finalizzati all’esercizio della propria attività lavorativa.

Quindi, si deve ritenere che la deducibilità di detti costi riguarda il soggetto che esegue i lavori, non subordinandoli a chi possiede il diritto di proprietà dell’immobile.

A fronte di certi atteggiamenti negativi dell’Amministrazione finanziaria, la Cassazione si è espressa a favore della tesi della deducibilità di tali oneri per chi li ha sostenuti.

Si ha anche una recentissima risposta ad interpello In. 105 del 19 gennaio 2023) a conferma dell’attuale favorevole atteggiamento dell’Amministrazione finanziaria; il caso si riferiva ad un soggetto IAS adopter, ma nella risposta si fa anche riferimento a soggetti che utilizzano i principi contabili interni.

Le spese di miglioria su beni di terzi sono deducibili nel limite della quota imputabile a ciascun esercizio. Nella fattispecie, pur in presenza di un contratto di locazione di durata di 12 anni, la società ha attribuito a queste spese una utilità di 5 anni, con conseguente ammortamento in cinque esercizi. E nella risposta si conferma di condividere questa impostazione.

Conformemente a quanto sopra si ha anche la sentenza della Commissioni di Giustizia di secondo grado di Livorno, n. 1216 del 28 ottobre 2022; in presenza di capitalizzazione di queste spese, l’eventuale cessione della azienda a terzi, con successiva messa in liquidazione della società, consente di spesare totalmente il residuo non ancora ammortizzato, considerandolo sopravvenienza passiva, e non minusvalenza.

Relativamente ai professionisti, la Cassazione (sentenze n. 11907/2019 e 7226/2020) è intervenuta rilevando che i costi di ristrutturazione dell’immobile, così come risultanti dalla documentazione contabile, sono deducibili se sostenuti al fine di poter avere un migliore esercizio dell’attività professionale ed un aumento della redditività.

In senso conforme anche Agenzia delle Entrate Circolare n. 47/E/2008 e Risoluzione 99/E/2009. E questo indipendentemente dalla classificazione catastale; nei casi specifici si trattava di abitazioni utilizzate come uffici. La deducibilità è peraltro limitata al 5% del costo complessivo di tutti i beni ammortizzabili, con eccedenza deducibile in quote costanti nei successivi 5 anni.

Sul tema, per un approfondimento, si veda lo studio del CNDCEC del 25 luglio 2019 e del Notariato, Studio Tributario n. 88-2011/T “Beni immobili strumentali nell’esercizio di arti e professioni: spese di ammodernamento, ristrutturazione e manutenzione”.

 

Un caso di giurisprudenza

Secondo CTR Brescia (sentenza n. 2908 del 16 maggio 2016) le migliorie su beni di terzi condotti in locazione sono fiscalmente deducibili in base ai criteri civilistici di ripartizione temporale adottati dal contribuente.

Nel caso specifico l’impresa aveva considerato, nella redazione del bilancio, un’utilità futura dei costi di manutenzione di cinque anni, ancorché il contratto di affitto di azienda avesse una durata di 15 anni, rinnovo compreso.

L’amministrazione aveva contestato questo comportamento e ripartito le spese sul più lungo arco temporale dell’affitto del ramo d’azienda.

Secondo la CTR la norma fiscale si “appiattisce” su quella civilistica, ma ha anche stabilito che il contribuente deve provare la correttezza dei criteri di ripartizione temporale dei costi adottati. L’onere del contribuente è solo di dimostrare che il periodo di utilità futura fosse effettivamente quello previsto.

Dal canto suo la Cassazione (sentenza n. 382, 13 gennaio 2016) si è pronunciata in un caso che riguarda la corretta imputazione di spese di manutenzione straordinarie su beni di terzi, detenuti in locazione. L’impresa aveva capitalizzato le spese e imputate al conto economico in base alla durata residua del contratto di locazione. Non aveva tenuto conto del periodo di possibile rinnovo del contratto di locazione.

La sentenza, la prima in merito, è stata tranchant; si tiene conto del solo periodo di durata iniziale, se così ha fatto l’impresa, contabilmente. Successivamente nello stesso senso Cass. n. 6288/2018, n. 3387/2020, 19920 del 21 giugno 2022.

L’Amministrazione finanziaria, invece, si era da tempo pronunciata per la necessità di tener conto del possibile rinnovo contrattuale (risoluzioni 400/1983 e 2980/1982).

La sentenza della Cassazione 7885/2016 (sempre sezione quinta) fa un po’ di chiarezza sulla deducibilità delle spese di manutenzione. Il caso, datato, riguardava la possibilità di dedurre integralmente nell’esercizio le spese di manutenzione straordinarie, ove non capitalizzate, sotto l’aspetto contabile. Si trattava di spese per il rifacimento del tetto del capannone di proprietà dell’impresa, oltre che spese di manutenzione di uno stampo produttivo. Per la Cassazione si possono dedurre le spese di manutenzione spesate a conto economico, anche se straordinarie. L’unico requisito è il rispetto del limite del 5% del costo complessivo.

L’articolo 102, comma 6 del Tuir stabilisce che le spese di manutenzione, riparazione, trasformazione e ammodernamento dei beni strumentali all’esercizio dell’impresa, qualora non siano imputate a incremento del costo dei beni ai quali si riferiscono, sono deducibili nel limite del 5% del costo complessivo di tutti i beni materiali ammortizzabili. Quindi piena adesione al criterio contabile, salvo la verifica della capienza del 5 per cento. E in effetti così si era comportata l’impresa.

In realtà, dunque, è il Tuir che avrebbe bisogno di manutenzione, per rendere più definito il trattamento fiscale delle spese di manutenzione, evitando così di dover ricorrere a organi amministrativi o giurisdizionali.

 

L’eventuale riduzione dei canoni di locazione

Qualora i beni sui quali fossero stati effettuati dei lavori di miglioria fossero concessi in locazione, e i canoni di locazione fossero appunto ridotti in funzione del sostenimento di queste spese, potrebbe anche ravvisarsi una operazione permutativa (Cassazione 28725/2017 e 15808/2006).

Nello stesso senso, Risposta ad interpello n. 424 del 12 agosto 2022.

Se l’immobile necessita di lavori di risistemazione per renderlo Idoneo non alla specifica attività, ma ad un utilizzo generico, e il conduttore si sostituisce al locatore nella loro esecuzione scontandoli, per accordo tra le parti, dal canone di locazione, ci si può trovare infatti in presenza di una permuta. Conseguentemente la riduzione di canone, ancorché non incassata, dovrebbe essere fatturata e compensata con i lavori stessi.

Secondo CTR Lombardia (sentenza n 2134/13/2020) il canone di locazione va integralmente dichiarato, ancorché le parti ne abbiano concordato una riduzione, a titolo di copertura delle spese di adeguamento dei locali sostenute dal conduttore, qualora tali migliorie restino comunque acquisite dal locatore alla cessazione del contratto.

Nel caso specifico, a fronte di lavori accollati al conduttore, le parti avevano concordato l’annullamento delle prime due rate di canone che conseguentemente non venivano dichiarate nella dichiarazione dei redditi. L’Agenzia delle Entrate ha invece accertato il recupero di queste due rate del canone di locazione.

Secondo la CTR è necessario fare una distinzione: se le opere eseguite sull’immobile assolvono esclusivamente agli interessi del conduttore, nel qual caso nulla quaestio, oppure se le stesse costituiscano comunque in un vantaggio differito alla riconsegna in favore del locatore. Solo in questo ultimo caso, infatti, il canone intero va dichiarato dal locatore.

Il conduttore potrà, in toto o in parte, dedurre i costi documentati a tal fine sostenuti. Nello stesso senso, precedentemente, CTR Lombardia n. 3999/22/2019 del 15 ottobre 2019.

Sempre in senso conforme Corte di Cassazione n. 15808/2006, secondo la quale il locatore non può detrarre dal canone di locazione quanto dovuto per lavori di ristrutturazione, trattandosi appunto di lavori che vanno a beneficio della proprietà.

Invece per la esclusione della possibilità di configurare una operazione di tipo permutativo, CTR Lazio n. 3284/7/19 del 28 maggio 2019; nella fattispecie la concessa riduzione del canone aveva il solo fine di agevolare il conduttore nella fase di avvio dell’attività.

Per le locazioni commerciali, è in ogni caso legittima la clausola con cui viene concordata l’iniziale predeterminazione del canone in misura differenziata e crescente negli anni. Ma tutto ciò salvo che le parti non abbiano invece, con tale accordo, cercato di neutralizzare gli effetti della svalutazione monetaria, e in particolare i limiti dettati dall’ art. 32 della L. 392/78.

In questo senso, Corte di Cassazione, sentenza n. 10834 del 17 maggio 2011, n. 22908 del 10 novembre 2016 e più recentemente n. 23986 del 26 settembre 2019. Nella fattispecie il conduttore sosteneva la nullità del patto di determinazione del canone a scaletta, riconosciuto invece valido dalla Cassazione. Nello specifico non si parlava in ogni caso di lavori. Più in generale, per la negazione della ammissibilità di aumenti al di fuori dell’lstat, Cassazione n. 8669 del 4 aprile 2017.

Si segnala come ci sia anche un orientamento opposto, sempre della Cassazione (n. 19475/2005),

“in relazione al principio della libera determinazione convenzionale del canone locativo in materia di locazione di immobili destinati ad uso non abitativo, la clausola convenzionale, che prevede future maggiorazioni del canone diverse dall’aggiornamento (art. 32 della L. 392/78), per qualificarsi legittima, deve chiaramente riferirsi ad elementi predeterminati, desumibili dal contratto e tali da essere idonei ad influire sull’equilibrio economico del rapporto, in modo autonomo dalle variazioni annue del potere di acquisto della moneta”.

In assenza di tali elementi, la clausola contrattuale deve intendersi nulla. Nello stesso senso anche Cassazione n. 6474/2017.

Per un approfondimento di questi aspetti, vedasi anche nostro articolo “Il canone di locazione a scaletta” ne Commercialista Telematico del 5 settembre 2022.

 

Conclusioni sulle spese per migliorie di beni di terzi

In conclusione, le spese per migliorie o per manutenzioni straordinarie sostenute su beni di terzi detenuti in locazione o in comodato, se relative ad esigenze specifiche del conduttore sono liberamente deducibili per lo stesso, con Iva detraibile, anche se non rimborsabile, generalmente.

Per i professionisti non deve trattarsi di spese di ristrutturazione integrale, ma di solo adattamento alle esigenze della attività. Per le imprese, la durata dell’ammortamento di tali spese è in funzione della utilità delle stesse, e il principio civilistico condiziona l’aspetto fiscale.

Quanto ai canoni di locazione, una riduzione delle prime mensilità in funzione dei lavori da sostenere potrebbe comportare delle problematiche; una riduzione per consentire un più agevole avvio dell’attività non dovrebbe invece creare problemi.

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