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Quote di s.n.c. in successione o donazione. Valutazioni

di Giuseppe Rebecca
La Settimana Fiscale / Il Sole 24 ore, numero 25 - 22 giugno 2018

Premessa

Esaminiamo il caso relativo alla valutazione delle quote di una società di persone caduta in successione, oppure oggetto di donazione.

Occorre innanzitutto premettere che vige, in generale il regime dell’esenzione da imposizione, nel caso di successione/donazione a favore di discendenti e/o coniuge che si impegnano a proseguire l’attività per almeno 5 anni, nella società di persone acquisita (Ris. 446/2008).

Così precisa l’articolo 3, comma 4-ter, del Testo Unico concernente l’imposta sulle successioni e donazioni, approvato con decreto legislativo 31 ottobre 1990, n. 346, come modificato dall’articolo 1, comma 78, lett. a), della legge 27 dicembre 2006, n. 296, il quale ha ampliato il novero delle fattispecie esenti dall’imposta sulle successioni e donazioni, includendovi anche i trasferimenti di aziende, di quote sociali e di azioni “…effettuati anche tramite i patti di famiglia di cui agli articoli 768-bis e seguenti del codice civile a favore dei discendenti e del coniuge.

Non è richiesto, come invece per le società di capitali, che venga anche acquisito il controllo, ex art. 2359, primo comma, n. 1) c.c., con la donazione/successione.

Al di fuori dell’ipotesi di esenzione, tali donazioni (successioni di quote scontano l’imposta sulle successioni/donazioni. E’ in questi casi che la determinazione del valore delle quote diventa fondamentale.

Venendo, dunque, alla valutazione delle quote, è necessario fare una distinzione tra società che hanno un bilancio e quelle senza.

Società con bilancio

Il caso è semplice. Ove si sia in presenza di una contabilità, sarà utilizzato l’ultimo bilancio approvato o l’ultimo inventario regolarmente redatto e vidimato, In questo caso il valore della quota dovrà essere determinato in misura pari al valore proporzionalmente corrispondente a quello del patrimonio netto della società da essi risultante, tenendo conto dei mutamenti sopravvenuti, ma escludendo l’avviamento. In definitiva, si considera il valore contabile. Questo prevede l’art. 16 del TUS [1].

La giurisprudenza è copiosa, sul punto (Cass. N. 15187/2010, n. 23462/2007 n. 6915/2003 e Corte Costituzionale n. 250/2002) e ha sempre confermato che in presenza di bilancio o di inventario l’Agenzia delle Entrate non può rettificare il valore che ne risulta, solo eventualmente eccepirne la legittimità stessa. E questo sia per le società di capitali che per le società di persone.

Ove applicabile il regime dell’esenzione, nessun effetto avrà tale valutazione, i cui effetti si avranno solo qualora l’esenzione non fosse applicabile.

Sul punto si può ricordare la sentenza della Cassazione n. 25007/2015 riferita alla successione dello stilista Gianni Versace.

La questione riguardava l’espressione “mutamenti successivi”, come considerarli; nello specifico, la società aveva distribuito utili e riserve, dopo l’approvazione del bilancio, ma prima della morte del de cuius.

La società aveva anche redatto un bilancio, non sottoposto all’approvazione dell’assemblea, alla data di apertura della successione, bilancio che teneva conto di queste distribuzioni. E forse proprio questo, come vedremo, ha fatto fare confusione alla Corte di Cassazione.

Mentre le Commissioni Tributarie di primo e secondo grado avevano accolto la tesi dell’erede, la Cassazione ha ribaltato la soluzione alla luce delle seguenti considerazioni:

1) l’art. 16 del DLegislativo 346/90 fa riferimento all’ultimo bilancio approvato (e nella fattispecie nessun bilancio successivo era stato approvato, ante decesso del de cuius);

2) le distribuzioni di utili non configurano “mutamenti sopravvenuti“ tali da poter essere considerati nella determinazione del valore delle azioni.

Ma è proprio questa seconda affermazione che non convince. La distribuzione era anteriore al decesso, di talchè non poteva essere eccepita la eventuale natura elusiva. La norma è infatti stata dettata proprio per tener conto di fattori che, intervenuti tra la data di approvazione del bilancio e il decesso, non rendono la rappresentazione data dal bilancio inadeguata, essendosi variato il patrimonio, nel frattempo (Cass. n. 6915/2003).

Una delibera di distribuzione di dividendi ante decesso deve essere considerata, ai fini della determinazione del valore di quote ereditate, checché ne dica la Cassazione. Ovviamene se l’importo sia anche stato distribuito.

La Cassazione, a nostro avviso errando, ha dato risalto al fatto che la distribuzione di utili, deliberata ante decesso, fosse avvenuta dopo la approvazione del bilancio, e che questa risultasse solo da un bilancio non approvato.

Probabilmente sarebbe bastato limitarsi a fornire la prova della distribuzione degli utili, piuttosto che redigere un bilancio, che in effetti non è servito a nulla, ed anzi ha comportato lo sviamento dell’attenzione del giudice.

E in effetti così afferma, la Cassazione.

“Ne consegue che – contrariamente a quanto ritenuto dalla commissione tributaria – la base imponibile relativamente ad azioni, titoli e quote sociali non può essere determinata, ove risultino valori di bilancio regolarmente approvati, assumendo come criterio di computo distinte risultanze tratte da documenti diversi, come nella specie l’asserito ulteriore “bilancio infrannuale” non regolarmente redatto o non regolarmente approvato secondo le ordinarie regole di diritto societario (artt. 2364 e 2435 c.c.).

Né possono rilevare alla stregua di “mutamenti sopravvenuti”, suscettibili di essere considerati come limite alla valorizzazione in base all’ultimo bilancio, le circostanze evidenziate in sentenza circa la previsione di distribuzione di utili e dividendi, determinativa di una riduzione delle attività imputate a riserva. E’ sufficiente al riguardo osservare che l’art. 2433 c.c., comma 2, vieta, nella società per azioni, il pagamento di dividendi se non per utili “risultanti dal bilancio regolarmente approvato”. E ciò confema l’irrilevanza, nell’ottica delle ordinarie regole civilistiche come anche nei riflessi che ne conseguono nel campo fiscale, di documenti diversi tesi a legittimare un’attività distributiva del tipo di quella evocata”.

E’ stata proprio la predisposizione di un bilancio infrannuale, non approvato, che ha confuso la Cassazione, che lo ha ritenuto atto elusivo, tanto da emettere una sentenza così dirompente.

Si può ricordare che, ancorchè riferita alle imposte sulle donazioni, la Cassazione (n. 17062/13) aveva ritenuto che “il valore del patrimonio netto della società risultante dall’ultimo bilancio può essere incrementato, o ridotto, in ragione dei mutamenti sopravvenuti tra la data di chiusura dell’esercizio al quale il bilancio si riferisce e la data della donazione, potendosi anche utilizzare le risultanze di un successivo bilancio, antecedente alla data della donazione, ancorchè approvato in epoca successiva”.

In realtà aver presentato un bilancio alla data del decesso non aveva alcunchè di elusivo, ma costituiva un elemento di semplificazione (a questo punto controproducente).

In definitiva, posto che si trattava di valutare una partecipazione caduta in successione, si è tassato due volte lo stesso valore. Una prima volta con la partecipazione, una seconda volta sul patrimonio del de cuius, cui è necessariamente confluito il dividendo distribuito.

Società senza bilancio

Analizziamo questa fattispecie, invero un po’ trascurata dalla dottrina: la successione/donazione di quote di società che non redigono il bilancio, ovvero le società di persone in contabilità semplificata. Però trattarsi di qualsiasi tipologia di attività, ma l’aspetto più interessante riguarda le società immobiliari.

Il caso ha evidenti effetti pratici qualora non si possa applicare il regime dell’esenzione; e quindi qualora i donatari/eredi non siano discendenti o coniuge del donante/de cuius oppure non desiderino continuare l’attività per almeno 5 anni.

Se non vi è bilancio pubblicato né inventario regolarmente redatto e vidimato, il valore delle quote della società è determinato tenendo conto del valore complessivo dei beni e dei diritti appartenenti alla società, al netto delle passività. Così dispone l’art. 16 del T.U.S. (e Circolare 30 dicembre 2003, n. 58 E). Il valore dei beni non può che essere il valore di “mercato” degli stessi. Si ha però motivo di ritenere che se per gli immobili viene dichiarato un valore non inferiore al valore catastale, il valore dichiarato non potrà essere contestato e/o rettificato dall’Ufficio (dovendo trovare applicazione anche in questo caso il disposto dell’art. 34 del TUS).

Tutto ciò come confermato dall’Amministrazione Finanziaria (Circolare n. 3/2008): per la determinazione del valore degli immobili è possibile il ricorso alla cosiddetta valutazione automatica.

Invero manca, nelle disposizioni relative alla valutazione delle quote di società non quotate prive di bilancio, uno specifico rinvio alle regole sulla valutazione automatica. Una interpretazione sistematica delle norme induce comunque a ritenere che il “valore dei beni e dei diritti” (art. 16 comma 1 lett. b del D.Lgs. 346/90) appartenenti alla società le cui quote sono cadute in successione non possa che rispettare le regole previste, dal Testo Unico dell’imposta sulle successioni e donazioni, per i beni medesimi e che, quindi, per gli immobili, possa applicarsi la regola della “valutazione automatica”, tuttora applicabile, ex art. 34 comma 5 del D.Lgs. 346/90, ai trasferimenti per successione.

Del resto, si tratta della stessa questione positivamente risolta dall’Amministrazione Finanziaria, seppure ai fini dell’imposta di registro, nel caso di aziende con immobili. Con C.M. 29/12/1990, n. 87, l’Agenzia Entrate si è infatti espressa in questi termini: “la specifica rilevanza dei diversi beni aziendali ai fini dell’applicazione delle diverse aliquote non può non riflettersi anche sulla determinazione della base imponibile sulla quale tali aliquote sono applicate (art. 23, comma 1); conferma tale conclusione l’ultimo comma del citato art. 23 che espressamente richiama l’applicazione delle diverse aliquote in o di cessione di aziende, precisando anche che le passività si imputano ai diversi beni che compongono l’azienda in proporzione del rispettivo valore degli stessi. Ne deriva che nella valutazione di una azienda comprensiva di immobili, se per tali ultimi beni sono stati indicati corrispettivi distinti, risulta preclusa la rettifica del valore degli stessi se indicato in misura non inferiore a quella desumibile dal parametro catastale ai sensi del citato comma 4 dell’art. 52, fermo restando la possibilità di sottoporre a valutazione gli altri componenti, come ad esempio le aree edificabili e l’avviamento”.

Ovviamente, nella cessione di azienda c’è il riferimento all’avviamento, che invece è sempre escluso, invece, nel caso di donazione/successione di azienda e di quote di società.

Conclusione

In conclusione, per la donazione/successione di quote di società di persone a favore di discendenti o del coniuge, il valore è sempre determinato sulla base del bilancio depositato o dell’inventario.

Qualora manchi il bilancio, ovvero nei casi di società in contabilità semplificata, si dovrà far riferimento ai valori effettivi, e per gli immobili ai valori catastali, che essere soggetti a eventuali riprese fiscali.



[1] “Art. 16 Azioni e obbligazioni, altri titoli, quote sociali (At. 22 D.P.R. n. 637/1972)

Testo in vigore per gli atti e le scritture presentati per la registrazione dal 29 novembre 2006 e per le successioni apertesi dal 3 ottobre 2006.

1) La base imponibile, relativamente alle azioni, obbligazioni, altri titoli e quote sociali compresi nell’attivo ereditario, è determinata assumendo:

a) per i titoli quotati in borsa o negoziati al mercato ristretto, la media dei prezzi di compenso o dei prezzi fatti nell’ultimo trimestre anteriore all’apertura della successione, maggiorata dei dietimi o degli interessi successivamente maturati, e in mancanza il valore di cui alle lettere successive;

b) per le azioni e per i titoli o quote di partecipazione al capitale di enti diversi dalle società, non quotate in borsa né negoziati al mercato ristretto, nonché per le quote di società non azionarie, comprese le società semplici e le società di fatto, il valore proporzionalmente corrispondente al valore, alla data di apertura della successione, del patrimonio netto dell’ente o della società risultante dall’ultimo bilancio pubblicato o dall’ultimo inventario regolarmente redatto e vidimato, tenendo conto dei mutamenti sopravvenuti, ovvero, in mancanza di bilancio o inventario, al valore complessivo dei beni e dei diritti appartenenti all’ente o alla società al netto delle passività risultanti a norma degli articoli da 21 a 23, escludendo i beni indicati alle lettere h) e i) dell’art. 12;

c) per i titoli o quote di partecipazione a fondi comuni d’investimento, il valore risultante da pubblicazioni fatte o prospetti redatti a norma di legge o regolamento;

d) per le obbligazioni e gli altri titoli diversi da quelli indicati alle lettere a), b) e c) il valore comparato a quello dei titoli aventi analoghe caratteristiche quotati in borsa o negoziati al mercato ristretto o in mancanza desunto da altri elementi certi.

2) In caso di usufrutto si applicano le disposizioni dell’art. 14 , comma 1, lettere b) e c).

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